Incredulità di san Tommaso (Caravaggio)
Caravaggio, Incredulità di san Tommaso (1600-1601), olio su tela | |
Incredulità di san Tommaso | |
Opera d'Arte | |
Stato | Germania |
Regione | - class="hiddenStructure noprint" |
Provincia | Brandeburgo |
Comune | Potsdam |
Diocesi | Berlino |
Ubicazione specifica | Bildergalerie |
Uso liturgico | nessuno |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Incredulità di san Tommaso |
Datazione | 1600-1601 |
Ambito culturale | |
Ambito lombardo | |
Autore |
Caravaggio (Michelangelo Merisi) detto Caravaggio |
Materia e tecnica | olio su tela |
Misure | h. 107 cm; l. 146 cm |
|
L’Incredulità di san Tommaso è un dipinto, realizzato tra il 1600 ed il 1601, ad olio su tela, da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571 – 1610), conservato presso la Bildergalerie di Potsdam (Germania).
Descrizione
Soggetto
Nel dipinto, dal formato orizzontale, su un fondo scuro, neutro e completamente spoglio, compaiono per tre quarti d'altezza i quattro protagonisti, tutti disposti in primo piano:
- a sinistra,
- Gesù Cristo reso con una fisicità esasperata e un incarnato più chiaro rispetto agli apostoli, che reclinando il capo, con la mano destra scosta la veste (sudario) mostrando il costato e, con la sinistra guida quella destra di san Tommaso, invitandolo ad infilare il dito fin sotto la pelle, dentro la ferita esangue; il suo volto sembra accennare un'impercettibile smorfia di dolore mentre accompagna con lo sguardo il gesto che compie con la mano dell'apostolo: questo pone l'attenzione sul fatto che il corpo di Cristo resuscitato è veramente umano e carnale, non insensibile ed evanescente.
- a destra, Tre apostoli, con le fronti aggrottate, sono curvi in un inchino spontaneo di fronte al mistero della resurrezione, i loro occhi sono attenti e le bocche aperte senza proferire parola, sono impietriti, ritratti nel momento che li vede colti da stupore; si differenziano solo leggermente nell'atteggiamento psicologico:
- San Tommaso apostolo ha gli occhi sbarrati che si perde con lo sguardo attonito nell'abisso di ciò che gli si manifesta di fronte e ha un'espressione sconvolta e stupefatta: si sta verificando in lui l'invito di Gesù a non essere più incredulo, ma credente. Egli nel suo dubitare rappresenta la debolezza e l'imperfezione che è presente in ogni uomo, che non deve essere negata e nascosta, anzi ammessa e dichiarata, perché destinata ad essere superata nell'amore di Cristo. Il dubbio che lo avvolge si dipana immediatamente nel momento stesso in cui tocca il corpo di Gesù, divenendo conversione e certezza di salvezza.
- Altri due apostoli, partecipano con apprensione alla scena, come se a loro volta avessero bisogno della stessa conferma di san Tommaso. Infatti, si nota proprio dai loro sguardi che il dubbio era cresciuto anche nel loro cuore.
Note stilistiche, iconografiche e iconologiche
- La figura di Gesù, influenzata dalla scultura classica per il torace e per il drappeggio del bianco chitone, assume un particolare risalto grazie alla proiezione luminosa da sinistra a destra, ed alla riduzione all'essenziale degli elementi.
- Il geometrico bilanciamento dei quattro protagonisti induce a riconoscervi non solo un accurato progetto compositivo, ma una relazione simbolica che lega ciascuno all'altro. Risulta, infatti, significativa la disposizione, a croce, delle teste di Cristo e dei tre apostoli.
- Nel dipinto Caravaggio descrive il momento della constatazione in un'inquadratura di tre quarti dove sono disposte le figure su di uno sfondo scuro che permette di concentrare l'attenzione dello spettatore sulla testa di san Tommaso, mentre la luce illumina il profilo e il costato di Gesù. Inoltre, l'inquadratura permette di fissare l'attenzione sull'atteggiamento timoroso e dubbioso dell'apostolo, confortato dal Maestro a cui oppone la testa, in basso, rispetto alla sua, in alto. La disposizione ravvicinata dei quattro protagonisti e la concentrazione delle loro espressioni realizza un'ulteriore tensione emotiva per lo sguardo dell'osservatore-fedele, che non può non focalizzarsi sul punto del dramma: la rivelazione della presenza reale di Cristo risorto. Il Merisi con questo colpo di genio avvicina la scena allo spettatore e mette l'episodio alla sua portata quasi a sottolineare che l'evento coinvolge tutti; a invitare chi guarda a entrare nella scena stessa fino a farsi co-protagonista. E siccome il Caravaggio è il pittore della realtà con questo capolavoro riesce a far comprendere che quello che lui racconta non è per niente fantastico o visionario, ma è "l'accaduto", perché il Vangelo prima ancora di essere dottrina o insegnamento è un fatto reale, storicamente verificabile.
- L'elemento centrale è la mano di Gesù che prende quella di san Tommaso e la guida verso la ferita. Iconograficamente non è una novità, perché già Albrecht Dürer (1471-1528) in una sua celebre incisione aveva raffigurato così l'episodio evangelico, ma quel gesto si perdeva fra i numerosi dettagli dell'opera. Qui invece è proprio il fulcro della scena: Caravaggio ha una percezione così reale del fatto da immaginare che l'invito verbale di Cristo all'apostolo avesse un suo naturale sviluppo in quell'azione così piena di premura. Il dito di san Tommaso tocca un uomo vivo, s'addentra nella carne viva: la semplicità geniale di Caravaggio spazza via, quasi con brutalità, ogni connotato visionario dalla scena.
- Sul piano compositivo si osserva l'intersecarsi di due assi principali, quello orizzontale che è costituito dal braccio dell'apostolo incredulo e dalle mani di Gesù, e quello verticale che passa per la teste dei due apostoli e prosegue lungo il collo di san Tommaso. Completa questa disposizione un arco formato dalle due schiene, quella dell'apostolo di destra e di Cristo. Uno stupendo e sapiente intreccio di forme umane che, in primo piano, appare con grande impatto emotivo davanti al fruitore: il gesto di san Tommaso e la mano di Cristo che benevola lo accompagna è esaltata dalla luce che proviene da sinistra (la luce della rivelazione) che illumina il dubbio e lo stupore (le fronti corrugate degli apostoli) e la realtà del corpo del Salvatore, dando forza alla verifica che annulla ogni timore.
- La disposizione delle quattro teste forma una piccola croce e il bilanciamento geometrico e il rimando degli sguardi fa percepire una relazione simbolica che lega ciascuno all'altro come in un crescendo cromatico che porta al gesto estremo del discepolo.
- La luce, come sempre nei dipinti di Caravaggio, gioca un ruolo unico facendo emergere i personaggi dall'oscurità: mentre il volto di Gesù rimane nella penombra, la luce permette di cogliere su quello dei due apostoli, compagni di san Tommaso come "il dubbio fosse attecchito anche nei loro cuori, pur senza avere la sfrontatezza dell'incredulo". Inoltre, questa colpisce la mano di Cristo che afferra quella dell’apostolo e la guida ad entrare dentro la ferita quasi a fugare ogni dubbio: il discepolo, spaccone e inquieto quando non c'è Gesù, si rivela timido e riluttante in sua presenza, tanto da dover essere aiutato dal Signore a compiere il gesto sfrontato della verifica. Caravaggio rende perfettamente il desiderio di un uomo che non si accontenta di vedere per credere, ma ha bisogno di toccare concretamente quel corpo. L'invito a penetrare la ferita viene da Gesù stesso, come se l'esperienza di san Tommaso fosse un'anticipazione dell'incorporazione nel corpo glorioso di Cristo, che tutti i credenti proveranno alla fine dei tempi.
- Il Caravaggio, come molti altri artisti nel corso dei secoli, tende a rappresentare, attraverso la tecnica e gli strumenti propri della pittura, la corporeità dell'Incarnazione, Morte e Resurrezione di Cristo, il mistero di Gesù, che è totalmente uomo e totalmente Dio, per fugare quei dubbi che persino gli apostoli, secondo la narrazione di Luca, ebbero: "Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma" (24,37). L'artista ci invita a vedere con gli occhi e a meditare nel cuore le parole di Cristo: "Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho" (24,38-39). Al riguardo sant'Agostino (354-430) afferma:
« | Cristo avrebbe potuto risanare le ferite della sua carne al punto da non fare apparire neppure le impronte delle cicatrici. Aveva il potere di non mantenere nelle sue membra il segno dei chiodi, di non mantenere la ferita del costato. (...) Lui, che lasciò fissi sul suo corpo i segni dei chiodi e della lancia, sapeva che in futuro ci sarebbero stati eretici tanto empi e distorti da affermare che il Signore Nostro Gesù Cristo simulò di avere carne e che avrebbe detto menzogne ai suoi discepoli e ai nostri Evangelisti quando disse: Tocca e vedi.(...) Supponiamo che ci sia qui un manicheo. Che cosa direbbe? Che Tommaso vide, toccò, palpò le impronte dei chiodi, ma che era una carne falsa.» » |
Notizie storico-critiche
Provenienza
Nel 1606 il marchese Vincenzo Giustiniani (1564–1637), banchiere e collezionista, faceva riferimento a questo soggetto quando ne menzionava una copia a Genova e vent'anni dopo il dipinto compariva nell'inventario della sua raccolta, rendendo verosimile l'ipotesi di una sua committenza dell'opera, peraltro confermata anche da varie fonti e come si può anche desumere da Le vite de' pittori, scultori et architetti moderni (1672), redatta dallo scrittore e storico dell'arte Giovanni Pietro Bellori (1613–1696). Effettivamente non poteva altro che essere stato uno dei maggiori protettori del pittore ad accettare la fredda durezza e brutalità di questa raffigurazione così realistica. Inoltre, nell'inventario della collezione Giustiniani del 1638 si legge:
« | Nella stanza grande de quadri antichi. Un quadro sopra porta di mezze figure con l'historia di San Tommaso che tocca il costato di Christo col dito dipinto in tela alto palmi 5, larga palmi 6, di mano di Michelangelo da Caravaggio con cornice nera profilata e rabescata d'oro. » |
L'opera, rimasta a Roma sino alla fine del XVIII secolo, venne acquistata nel 1815 da Federico Guglielmo III (1770-1840), re di Prussia, insieme ad altri dipinti della raccolta dei Giustiniani. In seguito passò in varie residenze degli Hohenzollern.
Nel 1945, durante la Seconda Guerra Mondiale, se ne persero le tracce e solo nel 1958, il dipinto, che era stata sottratto dai russi, venne restituito alla Repubblica Democratica Tedesca, che dal 1963 lo trasferì nella Bildergalerie del castello Sanssouci a Potsdam, dove tuttora è conservato.
Copie e fortuna dell'opera
L'estremo realismo della scena scandalizzò non poco il committente, marchese Vincenzo Giustiniani, ma per comprendere l'effetto che questo dipinto di Caravaggio ebbe sulla Roma del XVII secolo basti ricordare che dell'opera si contano 24 copie e fra i copisti figurano pittori del calibro di Guercino e Rubens.
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