Sposalizio di Maria Vergine (Raffaello)
Raffaello Sanzio, Sposalizio di Maria Vergine (1504), olio su tavola | |
Sposalizio di Maria Vergine | |
Opera d'arte | |
Stato | |
Regione | Lombardia |
Regione ecclesiastica | Lombardia |
Provincia | Milano |
Comune | |
Diocesi | Milano |
Ubicazione specifica | Pinacoteca di Brera |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Città di Castello (Perugia) |
Luogo di provenienza | Chiesa di San Francesco, Cappella di San Giuseppe |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Maria Vergine e san Giuseppe si sposano in presenza del sommo sacerdote |
Datazione | 1504 |
Autore |
Raffaello Sanzio |
Materia e tecnica | olio su tavola |
Misure | h. 170 cm; l. 117 cm |
Iscrizioni | RAPHAEL URBINAS / MDIIII |
Note opera firmata e datata | |
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Lo Sposalizio di Maria Vergine è un dipinto, eseguito nel 1504, ad olio su tavola da Raffaello Sanzio (1483 - 1520), proveniente dalla Cappella di San Giuseppe nella Chiesa di San Francesco a Città di Castello (Perugia) e conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano. Si tratta di una delle opere più celebri dell'artista, che chiude il periodo giovanile e segna l'inizio della fase della maturità artistica.
Descrizione
Soggetto
La scena si svolge su una pavimentazione prospettica accuratamente definita, il sagrato del grande tempio, che si conclude sfumando in un lontano paesaggio di colline, prati e boschi. In primo piano compaiono:
- a sinistra, Maria Vergine con un corteggio di cinque donne, accoglie la volontà divina con un atteggiamento dolce e remissivo. La Madonna è vestita di rosso per indicare la sua umanità, con un mantello blu che indica la sua divinità di cui è rivestita come madre di Dio.
- a destra, san Giuseppe dona alla sposa l'anello, simbolo del vincolo matrimoniale; il Santo è insieme ad un gruppo di uomini, tra cui uno, che spezza con un ginocchio una verga non fiorita, il quale simboleggia i pretendenti respinti da Maria a vantaggio di san Giuseppe che, infatti, è l'unico uomo individuato con il bastone fiorito ed indica che lui è il prescelto per divenire il padre terreno di Gesù Cristo; è l'unico raffigurato a piedi scalzi, simbolo di umiltà.
- al centro, il Sommo Sacerdote, che indossa i paramenti pontificali, è colto nell'atto di unire le mani dei due sposi, officiando la funzione.
Ambientazione
Il tempio occupa la parte superiore del dipinto e ne costituisce il fulcro visivo e lo sfondo scenografico, che si sviluppa in maniera circolare attorno ad esso, fino a coinvolgere il paesaggio di colline digradanti ai lati. Inoltre, le piccole figure sotto il porticato sono evidenti artifici per consentire all'osservatore di definire una scala di rapporti che rende il tempio misurabile.
Il tempio sopraelevato ha sedici lati ed è circondato, al piano terra, da un porticato con colonne ioniche e archi a tutto sesto. Sull'architrave al centro del portico, sopra gli archi, si trova la firma dell'artista e la data, negli spazi tra l'arco. In alto il portico è raccordato al corpo centrale da una serie di volute. Il piano superiore è scandito da lesene e finestre architravate rettangolari, con un cornicione oltre il quale s'innesta la cupola con lanterna. Il portale centrale, con timpano triangolare, è aperto e allineato ad un'apertura gemella sull'altro lato, pure aperta, permettendo di mostrare il cielo e amplificare il respiro dell'opera, nonché esprimere la piena armonia tra architettura e mondo naturale.
La grande coerenza architettonica del tempio e l'eleganza delle membrature dimostra la conoscenza, complessa e aggiornata, dell'architettura contemporanea, in particolare gli studi sugli edifici a pianta centrale di Leonardo e Bramante a cavallo tra i due secoli. La precisione della resa dell'edificio ha fatto anche ipotizzare che Raffaello potesse essersi avvalso di un modellino ligneo.
Tutti gli elementi sono legati da relazioni di proporzione matematica, con un preciso ordine gerarchico. Ciò è legato all'ambiente artistico urbinate, da cui proveniva Raffaello, avvezzo fin dalla gioventù ai problemi di ottica e di prospettiva. Inoltre la stessa poetica dell'artista andava ormai orientandosi verso la ricreazione di una bellezza intesa come ordine astratto nella rappresentazione geometrica, in cui l'artista non deve:
« | Fare le cose come le fa la natura, ma come ella le dovrebbe fare. » |
Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche
- La disposizione dei personaggi in primo piano non è allineata e con pose rigidamente bilanciate e simmetriche, come nello Sposalizio di Maria Vergine di Pietro Perugino, ma più naturale, con una maggiore varietà delle pose e dei raggruppamenti. Infatti, le figure si dispongono quasi inavvertitamente e con perfetta semplicità lungo una studiata serie di semicerchi, che riprendono la forma della cupola e la sagoma stessa del dipinto.
- La stesura cromatica dimostra un uso più corposo del colore, con una migliore resa della plasticità e della calda atmosfera, grazie ad una gamma di sfumature più ampia di quella dei pittori quattrocenteschi, che proietta già Raffaello verso la conquista della maniera moderna.
- Nel dipinto è assente il pathos, tipico di Michelangelo, per lasciare il posto ad un'impostazione classica: le figure sono legate da una vaga e poetica malinconia in cui nessun'espressione è più caricata di altre, nemmeno quella del pretendente che spezza il ramo in segno di rancore, in alcun modo corrucciato o teso, ma ugualmente aggraziato.
Iscrizione
Nel tempio, sull'architrave al centro del portico, sopra gli archi, si trova l'iscrizione con la firma e la data dell'opera, negli spazi tra l'arco:
« | RAPHAEL URBINAS / MDIIII » |
Notizie storico-critiche
Il dipinto fu commissionato dalla famiglia Albizzini per la Cappella di San Giuseppe nella Chiesa di San Francesco a Città di Castello (Perugia). Si trattava dell'ultima importante opera commissionata al giovane artista nella città tifernate, dopo altre tre:
- Stendardo processionale della Santissima Trinità (1499 ca.);
- Pala del beato Nicola da Tolentino (1500 - 1501);
- Crocifissione Gavari (1502 - 1503).
Per quest'opera Raffaello s'ispirò allo Sposalizio di Maria Vergine (1503 - 1504) di Pietro Perugino (oggi conservato a Caen in Francia), che proprio in quel periodo il suo maestro stava dipingendo per la Cattedrale di San Lorenzo di Perugia, vedendola probabilmente ancora in fieri. Il confronto con l'opera di Perugino, che a sua volta s'ispirava nello sfondo all'affresco della Consegna delle chiavi a san Pietro (1481 - 1482) dipinta dallo stesso artista nella Cappella Sistina, dimostra l'acuirsi delle divergenze tra maestro e allievo, verso un generale superamento, da parte di Raffaello Sanzio, dei modi quattrocenteschi all'insegna di una rappresentazione più coinvolgente e realistica.
Nel 1798 il municipio di Città di Castello fu, in pratica, obbligato a far rimuovere il dipinto, per donarlo al generale napoleonico Teodoro Lechi (1778 – 1866), che tre anni dopo la vendette per 50.000 lire al mercante Giacomo Sannazzari, il quale alla sua morte nel 1804 lo lasciò in eredità, insieme con altre preziose opere, all'Ospedale Maggiore di Milano.
Nel 1806 fu acquistata da Eugenio di Beauharnais (1781 – 1824), che la destinò all'Accademia di Belle Arti milanese, le cui collezioni sono poi confluite nella Pinacoteca di Brera, inaugurata nel 1809.
Alla metà del XIX secolo, l'opera fu restaurata dal pittore Giuseppe Molteni (1800 – 1867),[1] poi negli anni Sessanta dopo un attentato vandalico, infine in tempi recenti, con conclusione nel 2009.
La Pinacoteca di Brera ha dedicato due mostre specifiche a questa celebre e preziosa opera:
Note | |
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