Abbazia di Santa Maria di Chiaravalle di Fiastra (Tolentino)
Abbazia di Santa Maria di Chiaravalle di Fiastra | |
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Abbazia di Santa Maria di Chiaravalle di Fiastra, complesso monastico | |
Altre denominazioni | Abbazia di Fiastra |
Stato | Italia |
Regione | Marche |
Provincia | Macerata |
Comune | Tolentino |
Località | Fiastra |
Diocesi | Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia |
Religione | Cattolica |
Indirizzo | Contrada Abbadia di Fiastra, 18 62029 Tolentino (Macerata) |
Telefono | +39 0733 202122 |
Posta elettronica | fondazione@abbadiafiastra.net monacifiastra@gmail.com |
Sito web | |
Proprietà | Fondazione Giustiniani Bandini |
Oggetto tipo | Abbazia |
Oggetto qualificazione | cistercense |
Dedicazione | Maria Vergine |
Sigla Ordine qualificante | O.Cist. |
Fondatore | Guarnerio II di Spoleto, monaci cistercensi dell'Abbazia di Chiaravalle di Milano |
Data fondazione | 1142 |
Stile architettonico | romanico, gotico |
Inizio della costruzione | XII secolo |
Strutture preesistenti | Abbazia benedettina |
Materiali | laterizio, pietra, marmo |
Altitudine | 186 m. s.l.m. |
Coordinate geografiche | |
Marche | |
L'Abbazia di Santa Maria di Chiaravalle di Fiastra, detta anche Abbazia di Fiastra, è un complesso monumentale che ospita un monastero cistercense, situato nel comune di Tolentino (Macerata): questa abbazia costituisce uno dei monumenti più pregevoli e meglio conservati in Italia dell'architettura cistercense e rappresenta la più alta testimonianza della presenza dei cistercensi nelle Marche.
Storia
Origini e sviluppo
L'abbazia fu fondata nel 1142, su un precedente cenobio benedettino del IX secolo, quando Guarnerio II, duca di Spoleto e marchese di Ancona, donò un vasto territorio nei pressi del fiume Fiastra ai monaci cistercensi dell'Abbazia di Santa Maria di Chiaravalle di Milano. I religiosi, guidati forse dallo stesso san Bernardo (1090 - 1153), iniziarono la costruzione della chiesa e del monastero, utilizzando anche materiale proveniente dalle rovine dell'antica città romana di Urbs Salvia, distrutta dai Visigoti di Alarico tra il 408 e il 410 e poi abbandonata. Contemporaneamente fu avviata anche la bonifica dei terreni circostanti loro donati, allora paludosi e incolti, compresi fra i fiumi Fiastra e Chienti.
I monaci organizzarono il territorio agricolo dell'abbazia in sei grance (aziende agricole), che ben presto divennero veri e propri centri economici, fiorenti e autonomi. Il monastero acquisì e consolidò rapidamente il notevole patrimonio, divenendo così potente da irradiarsi attraverso le sue fattorie in un vasto territorio e allargando sempre più la propria giurisdizione.
Nel XIII secolo, l'abbazia giunge all'apice, con la presenza nel cenobio di circa 200 monaci, arrivando a controllare fino a 33 tra chiese e monasteri e occupando gran parte del territorio maceretese fino a Numana. Il cenobio godette per tre secoli di un periodo di floridezza e prosperità, promuovendo lo sviluppo religioso, economico e sociale di tutta l'area ed esercitando una benefica influenza non solo sul territorio marchigiano, ma anche sulle regioni limitrofe.
Dal Trecento ad oggi
Dalla seconda metà del XIV al XV secolo, il monastero si avvia verso un lento ma inesorabile declino, causato da una serie di eventi disastrosi quali il saccheggio della Società di San Giorgio di Giovanni Acuto del 1381 e il successivo e ben più devastante del 1422 per mano di Braccio da Montone (1368 - 1424), signore di Perugia, che abbatté la copertura a volte della chiesa, la torre nolare e uccise numerosi religiosi.
Nel 1456, alla morte dell'abate Antonio Varano, papa Callisto III dette in commenda l'abbazia, con tutte le sue pertinenze, al cardinal nipote Rodrigo Borgia (il futuro Alessandro VI), provocandone così la decadenza economica e religiosa. Dopo poco più di un secolo, si giunse al collasso definitivo del cenobio sotto la guida dell'ultimo abate commendatario, il cardinale Alessandro Sforza di Santa Fiora (1534 - 1581).
Nel 1581, il papa Gregorio XIII affidò l'abbazia, con tutti i suoi possedimenti, alla Compagnia di Gesù per sostenere economicamente il Collegio Romano.
Nel 1613 Fiastra entra a far parte della Congregazione Cistercense Romana e nel 1624, dietro disposizione di papa Urbano VIII, i pochi monaci rimasti furono condotti nel cenobio di San Vito a Roma.
Nel 1773, in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù, il monastero con tutte le sue proprietà fu ceduto in enfiteusi perpetua al marchese Alessandro Bandini di Camerino. Alla sua morte (1802), il figlio Sigismondo affrancò l'abbazia dall'enfiteusi, che pertanto da quel momento divenne, a tutti gli effetti, patrimonio della famiglia nobiliare. È in quest'epoca che Sigismondo iniziò a costruire la sua residenza, proprio sopra il lato meridionale del chiostro.
Dopo la morte dell'ultimo erede del casato, il marchese Sigismondo Giustiniani Bandini,[1] avvenuta nel 1918, l'abbazia e le sue pertinenze sono passate, per sua volontà, alla "Fondazione Giustiniani-Bandini", che il 18 giugno 1984, con la Regione Marche, hanno istituito la Riserva naturale dell'Abbadia di Fiastra che, riconosciuta dallo Stato Italiano il 10 dicembre 1985, nel febbraio del 1987, è stata posta anche sotto l'egida del WWF Italia.
Su invito della Fondazione, il 21 marzo 1985 i monaci cistercensi, provenienti anche questa volta da Milano, sono ritornati a vivere nell'Abbazia di Chiaravalle di Fiastra. La loro presenza ha ridato così vita all'antico monastero portandolo ad essere di nuovo un punto di riferimento spirituale per tante persone che vi giungono.
Descrizione
Il complesso monastico è attualmente costituito da vari corpi di fabbrica, dei quali si evidenziano:
- chiesa abbaziale,
- chiostro,
- sala capitolare,
- refettorio e dormitorio dei conversi,
- cellarium,
- sala delle Oliere (Raccolta archeologica),
- grotte e cantine (Museo del Vino).
- foresteria.
Chiesa
Esterno
La chiesa, dedicata a Santa Maria Assunta, è orientata (ossia con l'abside rivolto a Est) e presenta una facciata a salienti aperta da un rosone marmoreo (formato da una raggiera di 12 colonnine) e decorata da una fascia marcapiano di archetti ciechi ogivali. È preceduta da un nartece (atrio porticato) a tre campate - rinnovato nel 1904 e restaurato nel 2010 - con volte a crociera che poggiano su colonne addossate ai muri. È illuminato da quattro trifore a colonne binate e presenta un portale romanico, in marmo grigio, terminante in un arco a tutto sesto. Vi si accede con tre gradini dall'ampio piazzale realizzato nel 1998.
Dall'atrio, si accede alla chiesa attraverso un portale strombato con archi concentrici a tutto sesto, sorretti da pilastri e colonne alternate, in marmo policromo, con capitelli decorati a motivi fitomorfi.
Interno
L'interno di dimensioni imponenti (72 metri di lunghezza, compreso il nartece, 20 di larghezza e 25 di altezza), ma incompiuto, ha una pianta a croce latina con abside rettangolare, si presenta a tre navate, di cui la mediana con tetto a capriate (tranne nella prima campata e nel presbiterio) e le laterali con volte a crociera appena accennate. Le navate suddivise in otto campate, con archi a tutto sesto impostati su pregevoli capitelli romanici decorati a motivi fitomorfi, zoomorfi, geometrici e figurativi (gigli, foglie, rosette, pesci, uccelli, drago che divora un serpente, ecc.), scolpiti dagli stessi monaci con materiale di spoglio tratto dalle dalle rovine dell'antica città romana di Urbs Salvia, sono divise da pilastri cruciformi le cui mezze colonne interne alternativamente raggiungono il pavimento o sono troncate a 2,50 metri dal suolo.
Le pareti laterali dell'edifico sono aperte da otto semplici monofore centinate. Il transetto, a cinque campate, presenta ai lati del presbiterio quattro cappelle quadrangolari, due per lato. L'abside è illuminata da un rosone a cerchio quadrilobo, dal quale si irradiano otto colonne.
Nel braccio sinistro del transetto si apre la porta che conduce al cimitero dei monaci (ripristinato nell'anno 2000), mentre in quello destro si conserva la scala che metteva direttamente in comunicazione il dormitorio dei monaci con la chiesa e la porta che conduceva alla sacrestia e nel vicino armario, cioè il locale nel quale erano conservati i libri liturgici.
Di notevole interesse storico-artistico:
- nel presbiterio:
- al centro, Base dell'altare maggiore è costituita da un'ara romana, proveniente dall'antica città di Urbs Salvia; sulla fronte è scolpita una Croce templare.
- sulla parete di fondo, Crocifissione di Gesù Cristo tra san Benedetto da Norcia e san Bernardo di Chiaravalle, con il cardinale commendatario Latino Orsini inginocchiato (1473), affresco, attribuito a Stefano Folchetti.
- nella prima cappella a sinistra, dedicata a san Benedetto da Norcia, si notano sulla parete di fondo tre dipinti murali, databili alla seconda metà del XV secolo e attribuiti a Girolamo di Giovanni, raffiguranti:
- in alto, sopra la monofora, Annunciazione;
- ai lati della monofora, San Pietro apostolo e Santa Caterina d'Alessandria.
- nella prima cappella a destra, dedicata alla Madonna di Loreto,
- sulla volta, Trasporto della Santa Casa a Loreto (XVII secolo), affresco, di ambito bolognese.
- nella seconda cappella a destra, dedicata a San Bernardo, presenta un'interessante ciclo di dipinti murali raffiguranti:
- Storie della vita dei sant'Antonio abate e san Paolo eremita (XV secolo), affreschi, attribuiti alla scuola camerinese.
- nella navata sinistra:
- sull'ultimo pilastro, Madonna con Gesù Bambino (fine XIV secolo), affresco;
- sul terzo pilastro, Sant'Amico (1539), affresco.
- nella navata destra:
- a metà della parete, Madonna con Gesù Bambino tra san Nicola di Bari e san Sebastiano (1539), affresco.
Campanile
All'incrocio della navata centrale con il transetto sopra la volta si elevava, secondo l'uso cistercense, la torre campanaria che si suppone fosse molto alta e solenne, simile a quella di Chiaravalle di Milano venne distrutta durante il saccheggio del 1422. Mentre l'attuale campanile, che si innalza sul lato settentrionale della chiesa, si presenta a base quadrangolare aperto alla sommità da quattro grandi monofore.
Chiostro
Il complesso monastico si articola attorno ad un chiostro quadrangolare (37 m. per lato), secondo la planimetria tipica dell'Ordine, intorno al quale gravitano gli ambienti destinati alla vita cenobitica. Nelle sue forme attuali è frutto della ristrutturazione operata alla fine del XV secolo dai cardinali commendatari, dopo il saccheggio del 1422. Il chiostro si presenta ad archi a sesto ribassato, poggianti su pilastri in cotto, dalla complessa sezione a esagono schiacciato, con basi e imposte modanate e un fregio diamantato nella zona dell'imposta.
Al centro del chiostro si trova un grande pozzo ottagonale, in pietra e mattoni, usato per attingere l'acqua da una cisterna dove veniva convogliata l'acqua piovana. La struttura in ferro è riferibile al periodo gesuitico.
Lato settentrionale
Il lato settentrionale, addossato alla chiesa, era detto della collatio (in italiano, raccolta), perché qui i monaci, la sera, seduti su panche di pietra ascoltavano una scelta ragionata di letture sacre stabilità già nella Regola di San Benedetto, terminata la quale si celebrava l'ultimo ufficio della giornata: la Compieta.
Nell'angolo nord-est del chiostro, accanto alla porta d'ingresso della chiesa, si trova una nicchia in cui i monaci depositavano i libri della collatio quotidiana e appoggiavano la lampada.
Lato orientale
Il lato orientale[2] era quello giornalmente più frequentato dato che qui si apriva la porta d'ingresso alla chiesa e si accedeva alla scala diurna che conduceva al dormitorio dei monaci, alla sala capitolare, allauditorium (o parlatorio) e allarmarium (deposito dei libri liturgici e atti giudiziari); di questi ambienti cenobitici si conserva solo:
- Sala capitolare era l'ambiente monastico più importante dopo la chiesa. Qui i monaci si radunavano ogni giorno per ascoltare la lettura di un capitolo della Regola di San Benedetto (da ciò il nome di Sala del Capitolo) e per prendere rilevanti decisioni sulla vita del monastero, comprese le questioni legali relative a possedimenti, acquisti, vendite, ecc. Alla sala si accede attraverso un ampio portale romanico a tutto sesto, formato da due massicci archi in mattoni, tra i quali gira un toro quasi a tutto tondo. Ai lati del portale vi sono due finestre, anticamente ad arco a tutto sesto come indicano le evidenti tracce. L'ambiente, ben conservato, è diviso in sei campate quadrate con volte a crociera, sostenute da due colonne rivestite in laterizio con semplici basamenti e capitelli di marmo. Tutto intorno alla sala gira una doppia gradinata in laterizio, di recente fattura, con al centro della parete orientale il seggio dell'abate e davanti una pietra tombale.[3] Sulla parete a destra dell'ingresso una lapide incisa a caratteri gotici ricorda l'importanza del silenzio con la frase:
« | Parla poco, odi assai et guarda al fine di ciò che fai. » |
Lato meridionale
Il lato meridionale dava accesso ai locali destinati all'aspetto materiale della vita quotidiana: il calefattorio, il refettorio e la cucina. All'inizio del XIX secolo questi ambienti sono stati demoliti per fare spazio al Palazzo Giustiniani Bandini,[4] fatto costruire, in stile neoclassico, da Sigismondo Bandini.
Lato occidentale
Sul lato occidentale, tra la chiesa e l'ingresso del chiostro, è il Cellarium (magazzino), restaurato nel 1994, dove venivano raccolti e conservati i frutti della terra: è uno spazioso ambiente rettangolare coperto da un soffitto ligneo, sostenuto al centro da arcate che poggiano su pilastri esagonali.
Inoltre, su questo lato era posto il settore riservato ai conversi. Oggi ne restano solo:
- a piano terra, il Refettorio dei conversi, a pianta rettangolare (m. 32 x 7), diviso in due navate e coperto con volte a crociera sorrette da sette colonne cilindriche da basamenti, fusti e capitelli, di cui due corinzi, provenienti dalle rovine della città romana di Urbs Salvia.
- al primo piano, il Dormitorio dei conversi, attualmente è allestito a sala convegni.
Tra il cellarium e il chiostro corre un lungo corridoio attraverso il quale i conversi raggiungevano la chiesa, la cui porta d'accesso è ora murata.
Sala delle Oliere
Dal lato occidentale una scala immette in un grande ambiente, che corre sotto tutto il lato settentrionale del chiostro, detto Sala delle Olle o Oliere, dove in grandi recipienti di terracotta si conservava l'olio prodotto dall'abbazia. Il pavimento presenta una scanalatura centrale che, in caso di rottura, convogliava in appositi pozzetti l'olio.
In questo ambiente, oggi è ospitata un'interessante raccolta di reperti archeologici (frammenti di statue, epigrafi, iscrizioni funerarie, anfore, ecc.), provenienti da Urbs Salvia e appartenenti alla collezione Giustianini Bandini.
Grotte e cantine
Sul lato orientale del chiostro, a fianco della chiesa, si apre un passaggio che conduce alle Grotte del monastero,[5] sotterranei con temperatura costante tutto l'anno, che venivano usate dai monaci per la conservazione dei viveri. Lo stesso corridoio conduce alle cantine, costruite al tempo dei gesuiti (1749), dove venivano lavorate le uve raccolte nelle vigne dell'Abbazia. Esse sono formate da un grande locale con un piano interrato; qui è stato recentemente allestito il Museo del Vino.
Foresteria
Sul piazzale antistante la chiesa rimane un corpo di fabbrica di grandi dimensioni: è l'antica foresteria (hospitium), dove si accoglievano e si assistevano i pellegrini e i viandanti.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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