Abbazia di San Salvatore (Abbadia San Salvatore)
Abbazia di San Salvatore | |
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Chiesa abbaziale | |
Stato | Italia |
Regione | Toscana |
Provincia | Siena |
Comune | Abbadia San Salvatore |
Diocesi | Montepulciano-Chiusi-Pienza |
Religione | Cattolica |
Indirizzo | Via del Monastero, 42 53021 Abbadia San Salvatore (SI) |
Telefono | +39 0577 778083 |
Fax | +39 0577 778083 |
Posta elettronica | abbaziasansalvatore@virgilio.it |
Sito web | |
Proprietà | Ordine cistercense |
Oggetto tipo | Abbazia |
Oggetto qualificazione | cistercense |
Dedicazione | Gesù Cristo |
Sigla Ordine fondatore | O.S.B. |
Sigla Ordine qualificante | O.Cist. |
Sigla Ordine reggente | O.Cist. |
Fondatore | Erfo |
Data fondazione | 742 |
Stile architettonico | Romanico, Rinascimentale |
Altitudine | m. 822 s.l.m. |
Coordinate geografiche | |
Toscana | |
L'Abbazia di San Salvatore è un monastero cistercense situato alle pendici del monte Amiata, nel territorio del comune di Abbadia San Salvatore (Siena); é posto nei pressi dell'antica via Francigena.
Storia
Origini e periodo benedettino
Il complesso monastico, secondo la tradizione, venne fondato nel 742 da Rachis († 757), re dei Longobardi nel luogo dove questi, durante una battuta di caccia, ebbe un'apparizione di Gesù Cristo.
In realtà la fondazione del monastero, affidato ai benedettini, fu curata dal nobile longobardo Erfo, figlio di Pietro († 756), duca del Friuli, e rientrava in un preciso disegno politico di Ratchis, che seppe avvalersi del favore monastico di questi a beneficio della nazione longobarda, ottenendo con la fondazione di un cenobio sulle pendici del monte Amiata il duplice scopo di protezione e controllo dei traffici lungo la strategica via Francigena e di sviluppo agricolo della Tuscia longobarda. Pertanto, già nel 750, Erfo assegnò al monastero fortificato il controllo feudale dei territori amiatini che comprendevano i pascoli del monte Amiata fino alla valle del fiume Paglia attraversata dalla via Francigena.[1]
Dal X al XII secolo, il potere territoriale dell'abbazia crebbe, diventando una delle più ricche della Toscana, ed in concomitanza si sviluppò l'antistante borgo (Castrum Abbatiae), che fu subito fortificato, dotandolo di una cinta muraria difensiva. Già all'inizio del X secolo, i suoi possedimenti superavano la zona dell'Amiata, espandendosi in val d'Orcia, in val di Chiana e persino nel territorio viterbese. In questo periodo di prosperità e almeno fino alla casata degli Svevi il monastero, il borgo e le terre del San Salvatore rimasero strettamente legate all'autorità dell'imperatore, godendo comunque di autonomia completa sul piano amministrativo e religioso. L'abate esercitava sugli uomini e sulle cose un vero e proprio governo, amministrava la giustizia civile e penale, ed a lui vassalli e feudo dovevano pagare dazi e decime.
Il benessere e la supremazia dell'Abbazia iniziò a decadere con l'avvento dei conti Aldobrandeschi (di Santa Fiora), attestato anche da una petizione del 1081, indirizzata all'imperatore Enrico IV di Franconia (1050 – 1106), nel quale i monaci del San Salvatore accusavano i membri della nobile casata di far costruire centri fortificati sopra terreni e villaggi del feudo amiatino allo scopo di usurparne il legittimo dominio al monastero. La disputa con gli Aldobrandeschi non fu risolta ed essi seppero appropriarsi di numerose terre dei monaci. Il potere dell'abbazia fu ulteriormente ridotto a partire dal XII secolo dagli stessi abitanti del borgo che rivendicarono per loro l'autonomia dal monastero; l'abate Rolando fu forzato a cedergli numerosi terreni e diritti, tra cui quello di eleggere i propri rappresentanti compreso il podestà.
Periodo cistercense
Il cenobio, per breve tempo assegnato ai Camaldolesi, dal 1228 venne affidato dal papa Gregorio IX all'Ordine cistercense, con intento di risollevarlo dal declino. I documenti storici attestano, infatti, come il patrimonio del monastero venne migliorato e notevolmente accresciuto durante i primi secoli della presenza cistercense. Così pure l'importanza politica dell'abate che godette di notevoli privilegi, come un vero e proprio feudatario, e che esercitava, in campo religioso e civile, l'amministrazione della giustizia in tribunale.
Nel 1265 le terre del monastero vennero occupate dall'emergente Repubblica di Siena, costringendo l'abbazia a firmare un atto formale di sottomissione, che tuttavia mantenne il controllo militare del territorio solo per un breve periodo che di fatto cominciò a divenire area di brigantaggio e rifugio di fuorilegge (e zona di razzia del celebre brigante Ghino di Tacco, †1303), decretando così il declino definitivo della via Francigena nella valle del Paglia.
Le numerose ristrutturazioni del complesso abbaziale, eseguite tra la seconda metà del XVI e nel XVII secolo, sono segno di una vitalità economica ed un notevole impegno all'interno della comunità monastica. Tuttavia questi rifacimenti, soprattutto in alcuni ambienti, non permettono la lettura degli eventuali interventi architettonici eseguiti subito dopo l'arrivo dei cistercensi, che molto probabilmente ci dovettero essere per adeguare le strutture benedettine preesistenti alle esigenze più articolate del nuovo Ordine.
Il XVIII secolo, invece, si presenta per la comunità monastica con molti problemi, legati soprattutto alla mediocre e alle volte scadente disciplina religiosa di alcuni membri ed alla trascurata osservanza regolare di tutta la comunità, come risulta da alcuni carteggi redatti dagli abati e dai singoli monaci.
Dalla soppressione alla riapertura
Nel 1782, il granduca Pietro Leopoldo di Toscana (1747 – 1792) decretò la soppressione dell'abbazia e la privatizzazione dei terreni; in seguito a tale provvedimento, la chiesa venne ridotta a parrocchiale e furono sottratti dal complesso monastico gran parte degli arredi e dei documenti, fra cui il prezioso Codex Amiatinus che venne trasferito nella Biblioteca Medicea Laurenziana a Firenze.[2]
Nel tempo, il monastero, demolito in alcune parti, fu occupato da privati; anche il piccolo chiostro dei Novizi fu distribuito fra le famiglie povere del borgo.
Nel 1925 vengono condotti i primi interventi per porre fine al degrado dell'intero complesso e nel 1939, dietro sollecitazione di mons. Giuseppe Conti, vescovo di Chiusi e Pienza, il monastero venne riaperto e nuovamente affidato all'Ordine cistercense.
Descrizione
Il complesso monastico si compone sostanzialmente di due corpi di fabbrica:
Chiesa di San Salvatore
La chiesa abbaziale, dedicata al Salvatore, fu ricostruita in forme romaniche tra la fine del X e la prima metà dell'XI secolo, e consacrata il 13 novembre 1035 sotto l'abate Winizzo.
Esterno
La chiesa presenta una facciata con due torri campanarie impostate ai lati[3] - quella di sinistra merlata (h. 24 m.) e l'altra incompiuta – decorate archetti pensili ed aperte da monofore.
La facciata, arretrata rispetto alle torri, mostra un portale d'ingresso ad arco a tutto sesto ed una trifora su colonnine.
Interno
L'interno, rimaneggiato nel 1590, è a croce latina ad unica navata con tetto a capriate e presbiterio con volte a botte ed a crociera, sopraelevato al di sotto del quale si apre la cripta; caratteristico il grande arco di accesso alla crociera, decorato nel sottarco con dipinti murali raffiguranti:
Tra le opere conservate si segnalano:
- all'altare,
- Gesù Cristo crocifisso (fine del XII secolo), in legno policromo e dipinto, di ambito toscano.
- Coro ligneo (XV secolo)
- sulla parete destra, Martirio di san Bartolomeo apostolo (1694), olio su tela, di Francesco Nasini.
Ai lati del presbiterio si trovano due cappelle, decorate con dipinti murali (1652 - 1653), ad affresco, eseguiti dai fratelli Francesco e Annibale Nasini, raffiguranti:
- a sinistra, nella cappella della Madonna della Pieve, Storie della vita di Maria Vergine raffiguranti:
- alle pareti, Annunciazione, Presentazione di Gesù al Tempio e Visitazione;
- sulla volta, Assunzione di Maria.
- a destra, nella cappella del Salvatore, Leggenda di Rachis, raffiguranti:
- alla parete destra, Il re longobardo Rachis mentre caccia sul monte Amiata;
- alla parete sinistra, Gesù Cristo appare su un albero al re longobardo Rachis.
Cripta
La cripta, secondo alcuni studiosi, sarebbe la chiesa originaria longobarda risalente all'VIII secolo, mentre altri ritengono che sia stata costruita contemporaneamente all'aula ecclesiale superiore, edificata nell'XI secolo.
La cripta presenta una pianta a croce greca; dei quattro bracci, tre sono originali ed uno è ricostruito. L'interno è caratterizzato dalla presenza di 32 colonne, di cui 25 originali, con forme diverse una dall'altra e con capitelli distinti da un apparato ornamentale differente: alcuni presentano una decorazione antropomorfa, altri zoomorfa, altri ancora fitomorfa, geometrica o mista.
Monastero
Dalla chiesa, per una porta a sinistra, si accede al chiostro quadrangolare - tra i pochi resti dell'antico monastero - notevolmente rimaneggiato nel tempo, che presenta sul lato settentrionale e meridionale un portico della prima metà del XVII secolo, mentre gli altri due sono andati distrutti, poiché, dopo la soppressione del cenobio, furono occupati da magazzini e stalle, e solo recentemente sono stati parzialmente recuperati. Va, comunque, qui sottolineato come l'impostazione planimetrica del chiostro è rimasta, più o meno, quella benedettina, anche se successivamente sono subentrati i cistercensi, che lo hanno lasciato a sinistra della chiesa, mentre secondo l'architettura dell'Ordine questo dovrebbe essere posto a destra della stessa.
Dal lato orientale del chiostro, una scala in ferro conduce al piano superiore, dove è allestito il Museo dell'Abbazia.
Note | |
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Bibliografia | |
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