Angela Basarocco
Angela Basarocco Religiosa | |
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Foto ritratto di Suor Cecilia Basarocco. | |
Età alla morte | 71 anni |
Nascita | Racalmuto (Ag)[1] 15 novembre 1914 |
Morte | Niscemi (Cl)[2] 20 ottobre 1986 |
Sepoltura | Niscemi, Cimitero monumentale |
Appartenenza | Suore della Sacra Famiglia di Spoleto |
Professione religiosa | 20 marzo 1935 |
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Angela Basarocco, suor Cecilia conosciuta come l'Angelo bianco o l'eroina di Niscemi (Racalmuto (Ag)[1], 15 novembre 1914; † Niscemi (Cl)[2], 20 ottobre 1986), è stata una religiosa italiana che con grande spirito di dedizione ed eroicità svolse la sua opera infermieristica presso l'ospedale di Niscemi. Il 12 luglio 1974 fu insignita di una medaglia d'oro al valore civile dal Comune di Gela per aver impedito un'esecuzione sommaria durante la seconda guerra mondiale.
Biografia
Formazione
Nacque il 15 novembre 1914 a Racalmuto[1], in provincia di Agrigento. Il 20 marzo 1935, a ventun anni emise i voti religiosi tra le Suore della Sacra Famiglia di Spoleto. Nello stesso anno fu mandata a Niscemi[2] per far parte della comunità dell'Ospedale Civile, che si era aperta nel 1901. L'ospedale era stato ricavato dai locali del Convento dei padri Riformati, costruito nella prima metà del 1700, divenuto proprietà del Comune in seguito alle leggi emanate dopo l'unità d'Italia.
L'opera in ospedale
Suor Cecilia svolse il suo servizio di consacrazione a contatto con quella parte di umanità, provata dal dolore. A Niscemi dal 1901 al 1937 si contavano quattro comunità, l'ultima chiusa nel 1999. Suor Cecilia è sempre rimasta nella comunità dell'ospedale sino al 20 ottobre 1986, anno della sua morte. Per oltre cinquant'anni l'ospedale è stato la sua casa, la sua missione di cristiana e religiosa. Era una garanzia in tutte le emergenze ed anche una sicurezza di corretta gestione per il servizio agli infermi. Alle suore, per lo più, veniva riconosciuto il ruolo di caposala. Suor Cecilia costituiva un riferimento naturale e permanente per qualsiasi persona ammalata e per i loro familiari. Chiunque bussasse a quel portone, di giorno e di notte.
Tanti testimoniano la sua prontezza a correre in aiuto, ovunque, con disponibilità e senza discriminazione di persona. Lei stessa, dopo alcuni anni, confessava di avere seguito dei banditi di notte. Questi, la chiamarono con la scusa di soccorrere in casa un'infermiera che conosceva, invece la obbligarono ad andar su una cavalcatura per curare clandestinamente un loro compagno, ferito in un agguato. Ma per lei non importava chi fosse, bastava sapere che avesse bisogno di cure. Si trattava di un essere umano, nel quale vedeva Gesù stesso.
Per la sua forza interiore ed il suo coraggio, i suoi modi schietti, venne definita una "Virago", donna virile, dall'on. Giuseppe Alessi, prestante e vigorosa. Capace di caricarsi gli ammalati e di trasporli in braccio dal portone d'accoglienza al primo piano, all'epoca lo stabile non aveva ascensore. Collaborava attivamente in chirurgia, talvolta anticipando, o addirittura sostituendo il medico, quando non c'era.
Non troviamo in lei testimonianze di una fede semplicemente "parolaia", ma di gesti concreti. Suor Cecilia assomigliava a quelle sculture tratteggiate quasi a colpi d'ascia, lasciate apposta grezze, perché l'artista potesse esprimere in modo più efficace le sue intuizioni. Il suo animo era il suo volto. Un volto dall'età pressoché indefinita, quasi il tempo non fosse capace di intaccarne i tratti e indebolirne le energie.
La sua audacia non conosceva barriere. Nelle tremende giornate dell'11 e del 12 luglio 1943 che segnarono lo sbarco anglo-americano nell'isola, a Gela[3] la sorpresero come unica guida dell'ospedale. Tutto il personale si era dato alla fuga e suor Cecilia era rimasta sola, a curare i feriti e ad accudire i soldati italiani e dodici soldati tedeschi, che si erano rifugiati anch'essi nell'ospedale di Niscemi, non sapendo dove dirigersi. Suor Cecilia va loro incontro, promette assistenza e dà loro asilo. Quando, poche ore dopo, le avanguardie americane arrivarono all'ospedale, suor Cecilia ottenne che i militari italiani potessero raggiungere le loro case. Ma le cose si aggravarono per i militari tedeschi, che, considerati spie, furono condannati all'immediata fucilazione. Suor Cecilia, davanti all'ingresso dell'ospedale, esorta gli Americani ad allontanarsi, mentendo in nome della solidarietà e li scongiura a rispettare quei luoghi. "Autoblindo e carri armati prendono posizione, circondano l'ospedale [...] i mitra sono spianati [...] i militari tedeschi sono scovati!".
I soldati furono schierati al muro dell'ospedale col plotone d'esecuzione pronto a far fuoco. In quel momento accade qualcosa d'incredibile. L'intrepida suora "uscì dall'ospedale come una forsennata" si pose con le braccia aperte, dinanzi ai dodici condannati e gridò agli americani: « Sparate, sparate anche su di me, Iddio vi perdoni!». Nessuno degli Americani ebbe il coraggio di far fuoco. "Venne promesso alla suora che i tedeschi sarebbero stati portati a Caltagirone[4]. Poi i feriti furono trasportai a Gela[3] e imbarcati per raggiungere i luoghi di prigionia. Così nacque il mito di Suor Cecilia, l'angelo bianco, l'eroina di Niscemi.
La Morte
Il 25 marzo 1985, già con l'avvisaglia di un cancro ai polmoni, celebrò il 50º di professione religiosa, confortata dalle parole del profeta: « Ti ho chiamata per nome. Tu mi appartieni!» (Is 43,1 ). Portò lei stessa all'Offertorio della Celebrazione Eucaristica i ferri chirurgici, suoi strumenti di lavoro, che serviranno ad operarla.
Dissimulava la sua malattia e, fino agli ultimi periodi, volle essere presenza vigile di carità nel reparto ospedaliero di Niscemi. Qui si spense alle ore 23 del 20 ottobre 1986, a 71 anni. Secondo le testimonianze dei presenti, la sua vita ebbe fine mentre sussurrava, come un soffio: « Padre la tua volontà».
Le esequie furono officiate da Mons. Vincenzo Cirrincione, assistito da don Giuseppe Giugno nella Chiesa di Santa Maria d'Itria e venne sepolta nel cimitero monumentale di Niscemi[2].
Il contesto lavorativo
Dall'edificio del Convento dei padri Riformati il Comune ricavò un ospedale al piano superiore, utilizzando come posti-letto le celle dei frati, mentre al piano basso approntò i locali per il carcere del luogo. Sul lato ovest del Convento, si erge la relativa ampia chiesa, dedicata a San Francesco d'Assisi. Un po' più retrostante, sempre sul lato ovest, si trova la piccola, ma imponente costruzione di Maria Santissima del Bosco, il santuario di Niscemi. Quando il fondatore dell'Istituto don Pietro Bonilli[5] vi destinò le suore, tra le quali suor Angela, il paese contava 14.700 abitanti. Allora gli ospedali erano identificati come "opere pie" e fruivano di qualche sussidio pubblico precario, le suore vivevano della carità della gente e della loro dedizione volontaria. Per quanto la presenza delle suore in ospedale desse più garanzie e affidabilità, va ricordata la difficoltà dovuta ai pregiudizi culturali: oltre che luogo di sofferenza, l'ospedale era considerato un luogo che imprimeva un marchio d'infamia a quanti vi ricorrevano. Finire in ospedale, infatti, significava innanzitutto essere identificati come poveri in canna, visto che gli ammalati non potevano permettersi in proprio né medico né medicine. Per non essere qualificati come miserabili mendicanti di salute, l'alternativa era quella di pagarsi dottori e medicine, fino a ridursi sul lastrico, oppure fingere di star bene e rassegnarsi a morire in ogni età, senza la visita di un medico e il tentativo di curarsi in qualche modo. Così, diagnosi e terapia erano attinte dalla scienza o magia popolare. La persona ammalata non veniva più ingaggiato nel lavoro e nessuno si sarebbe azzardato a dargli in affitto o mezzadria un suo terreno. Per una ragazza era poi la fine: qualificata come eterna malaticcia, per sposarsi non avrebbe mai trovato un buon partito.
La spiritualità
Nella quotidiana e paziente pedagogia dell'incontro con il Sacramento dell'Eucaristia, suor Angela aveva interiorizzato il senso dei diritti umani. Aveva acquistato la sicurezza di un Amore, che si esprime in ogni attività e nello slancio di un generoso dono di sé. Sapeva che gli eventi della giornata racchiudono un'insospettabile grandezza e vivendoli con amore verso Dio e i fratelli, era possibile superare in radice ogni frattura tra fede e quotidiano. In tal modo suor Angela realizzava il "genio femminile": irradiava nella società l'autentico amore, capace di costruire la "città di Dio".
A difesa dei più deboli
Molti gli episodi che testimoniano il suo costante comportamento ispirato dall'amore, dal senso della legalità, dal rispetto delle relazioni interpersonali; la sua "coerente protesta" per ogni forma di predominio e di prepotenza di cui erano spesso vittime le donne e i minori. Suor Cecilia condannava questa mentalità ingiusta e deleteria, che considera l'essere umano uno strumento dell'interesse egoistico e del solo piacere. Un esempio significativo è dato dal seguente episodio: venne ricoverata in ospedale una ragazza, usata e abusata come prostituta. Suor Cecilia, venuta a conoscenza per la confidenza della stessa giovane, si adoperò perché le venisse prolungato il ricovero. Con ingegnosi pretesti, suggeriti dalla carità, illuse gli sfruttatori, che ne pretendevano la dimissione, per sottrarla al loro iniquo disegno. Proprio come Gesù, Signore della vita, la religiosa ebbe un atteggiamento di "coerente protesta" contro chi voleva calpestare la dignità della donna.
Riconoscimenti
- Il 12 luglio 1974 in occasione della 31ª ricorrenza dell'anniversario dello sbarco degli americani in Sicilia, suor Cecilia fu invitata dal Comitato organizzatore nell'aula consiliare del Comune di Gela. Portata come in trionfo, il comune le consegnò una "medaglia d'oro" al valore civile per il gesto altamente significativo, che compì con tanta dignità. Per l'occasione, due dei soldati tedeschi vennero appositamente in Sicilia per esprimere il loro ringraziamento a colei, che li aveva sottratti alla morte, nella drammatica circostanza del 12 luglio 1943.
- Nonostante si parlasse della chiusura dell'ospedale e del licenziamento delle suore, come omaggio riconoscente, il 3 dicembre 1994 l'ospedale venne intitolato dall'Amministrazione Liardo a suor Cecilia Basarocco "che aveva creduto all'Amore".
- Nel 1994 a lei è stato intitolato l'ospedale di Niscemi; nel 2013 ha dato il nome a una via di Racalmuto[6].
- Nel 120º anno della presenza delle Suore della Sacra Famiglia a Niscemi, a luglio 2021 l'ASP (Aziende di servizi alla persona) di Caltanissetta ha reso omaggio al Presidio ospedaliero di Niscemi, attraverso la realizzazione di un'opera d'arte realizzata e donata dall'artista Ing. Maurizio Giuseppe Maria Vicari, raffigurante Suor Cecilia Basarocco[7].
Note | |
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Bibliografia | |
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Collegamenti esterni | |
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