Cappella Colleoni
Cappella Colleoni | |
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Veduta della chiesa | |
Stato | Italia |
Regione | Lombardia |
Comune | Bergamo |
Diocesi | Diocesi di Bergamo |
Religione | cattolica |
Oggetto tipo | Cappella |
Stile architettonico | rinascimentale |
Inizio della costruzione | 1470-1472 |
Completamento | 1476 |
Data di consacrazione | 1455 |
Coordinate geografiche | |
Italia |
La Cappella Colleoni, opera rinascimentale di Giovanni Antonio Amadeo, si trova nella piazza Duomo di Bergamo alta, addossata alla basilica di Santa Maria Maggiore.
Storia
Voluta da Bartolomeo Colleoni, quale mausoleo proprio e per l'amatissima figlia Medea, sepulcrum sibi vivus extruxsit [...] pro patrie munificenzia et imperii maiestate,[1] dedicata ai santi Bartolomeo, Marco e Giovanni Battista, venne costruita tra il 1470 e il 1476 ma non completata del tutto, alcune opere vennero aggiunte successivamente.
Si è discusso su queste date specialmente su quella d'inizio, voluta da alcuni nel 1470 e da altri, come Bortolo Belotti, nel 1472. Entrambe possono essere accettate laddove si dia credito allo scrittore seicentesco Donato Calvi che nel 1476 affermava che il 1º giugno 1470 [...] fur oggi poste le fondamenta della Cappella o Oratorio contiguo a Santa Maria Maggiore del famoso capitano Bartolomeo a sua perpetua memoria fatto edificare, ove successivamente eretto il suo glorioso Sepolcro.[2]
La costruzione vera e propria del complesso monumentale iniziò, invece, nel corso del 1472 con l'abbattimento della sagrestia di Santa Maria Maggiore, sagrestia la cui esistenza agli inizi del 1472 è provata da una supplica dei rettori della chiesa al Colleoni che eum rogabant ne destrueret.[3]
Manu militari
L'abbattimento della sagrestia di Santa Maria Maggiore per fare posto al Mausoleo ha fatto nascere la questione se sia stato un atto di soldatesca iattanza[4] del Colleoni, stanco delle lungaggini burocratiche che ritardavano l'inizio dei lavori, o sia avvenuto con l'accordo degli amministratori della chiesa.
La lettura del mastro di contabilità della nuova sagrestia laddove dice che la precedente era stata ruinata ac accepta per Illustrem condam Bertolomeum colionum[5] ha fatto nascere quella che monsignor Angelo Meli, uno dei maggiori studiosi della Cappella, definisce la "leggenda" dell'intervento armato. Si è inteso il termine ruinata come conseguenza dell'azione violenta del potere militare mentre voleva esprimere solamente il fatto fisico dell'abbattimento in sé senza con ciò volerlo derivare da una azione di forza.
A sostegno dell'abbattimento concordato c'è la dichiarazione di Vanoto Colombi, un fedelissimo del Capitano Generale, che il 4 aprile 1483 testimoniava che la sagrestia
(LA) | (IT) | ||||
« | destructa fuit et ruinata de consensu tamen presidentium et gubernantium ipsam eclesiam » | « | fu distrutta e abbattuta con il consenso dei rettori e degli amministratori della stessa chiesa, » | ||
(ex A. Meli, Op. cit., p. 216. )
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ma l'affetto e la fedeltà del Colombi verso il Capitano la rendono sospetta.
Certo è che il potere e il carisma del Colleoni erano tali da imporsi da soli senza che occorresse l'intervento di soldati.
Il dubbio è destinato a rimanere ma è poca cosa di fronte allo splendore del mausoleo che Bartolomeo Colleoni, pur volendolo per sé, ha lasciato alla sua città arricchendone il patrimonio artistico con un'opera di universale bellezza[6].
Per quanto riguarda la data finale del completamento dei lavori è ritenuto corretto il 1476 anche in considerazione del fatto che l'Amadeo nel 1474 lavorava alla Certosa di Pavia, cosa che non gli sarebbe stato permesso se la cappella non fosse già stata ultimata e che nel 1475 chiese il saldo delle sue spettanze.
L'architettura
L'Amadeo adottò una soluzione architettonica che trova un accordo formale con la basilica, a cui si affianca, nel tamburo ottagonale e nella cuspide della lanterna. La scelta della copertura e la policromia dei marmi riprendono il protiro di Giovanni da Campione, esaltano le caratteristiche da mausoleo ma rendono allo stesso tempo l'edificio adatto alle celebrazioni liturgiche.
È il capolavoro di Giovanni Antonio Amadeo, un'opera di eccelsa fattura dall'ispirazione composita, saldamente radicata nel Medioevo ma proiettata nel Rinascimento lombardo, completato da addizioni successive che rinviano al manierismo barocco.
Il movimento dei volumi e la loro tensione verso l'alto alleggeriscono la costruzione mentre l'insieme delle sculture, che ne fanno parlare la facciata con i loro significati simbolici, la rendono un'allegoria del cursus honorum del condottiero che l'aveva voluta.
Facciata
La facciata, composta da tarsie e decorazioni in marmi policromi a losanghe bianche, rosse e nere, ha un rosone sopra il portale, ai lati del quale sono due medaglioni che raffigurano Cesare e Traiano. La sua geometria si sviluppa in senso verticale, seguendo tre fasce parallele, racchiusa da due lesene istoriate culminanti in due pinnacoli uniti da una elegante loggia alleggerita da dieci bifore.
La copertura è formata da un tamburo ottagonale, che poggia sulla loggetta, e dalla cupola a spicchi che termina con la lanterna. Nel tamburo c'è un piccolo rosone, in asse con quello maggiore sottostante, che contiene il serpente di bronzo di Mosè quasi a sottolineare una linea di continuità tra il personaggio biblico e il Colleoni.
La parte alta del basamento della facciata contiene nove formelle con bassorilievi, cinque raffiguranti dieci storie bibliche accoppiate: la Creazione di Adamo e la Creazione di Eva; la Tentazione e la Cacciata dall'Eden; il Lavoro di Adamo ed Eva e il Sacrificio di Isacco; le Offerte a Dio di Caino e Abele e lUccisione di Abele; il Cacciatore Lamech e la Morte di Caino; e quattro bassorilievi con la vita di Ercole: Ercole ed Anteo, Ercole e l'Idra di Lerna, Ercole e il Toro di Creta, come motivo simbolo di forza e coraggio è il bassorilievo di Ercole contro il Leone Nemeo che riecheggia i modi di Antonio Bregno e di Antonio Rizzo da Righeggia[7].
Sopra le lesene delle finestre ai lati del portale, lavorate con motivi floreali e medaglioni con piccoli busti, vi sono le quattro statue delle Virtù.
La cancellata in ferro battuto, su cui si trova lo stemma del Colleoni, è invece del 1912, ed è stata realizzata da Vincenzo Muzio su disegno di Gaetano Moretti.
Interno
L'interno è costituito da un ambiente a pianta quadrata e da un altro, in posizione laterale, più piccolo con il presbiterio.
Il cenotafio del Colleoni (morto il 3 novembre 1475) è posto sulla parete di fronte all'ingresso.
I pilastri, che hanno alla base delle teste di leoni, sostengono un primo sarcofago con bassorilievi con Scene della crocefissione di Cristo; sopra vi è un secondo sarcofago, di cui è ignota la destinazione[8], sostenuto da tre statue, anch'esso con bassorilievi che raffigurano le scene dell'Annunciazione, della natività Gesù e dell'adorazione dei Re Magi[9].
La statua equestre del condottiero in legno dorato, realizzata da Sisto e Siry da Norimberga nel 1501, conclude la struttura piramidale del monumento. Il sarcofago superiore e la statua equestre affiancata dalle statue di Dalila e Giuditta, che vi poggiano, sono racchiusi da un arco sorretto da due coppie di leggere colonne portate da basi di marmo rosso scolpito, il tutto su uno sfondo turchino che restituisce un insieme policromo di eccezionale eleganza e bellezza.
Il monumento funebre di Medea, figlia prediletta del Colleoni, morta il 6 marzo 1470, anch'esso opera dell'Amadeo, si trova sulla parete di sinistra.
Sul sarcofago giace una gentile statua di Medea, supina con un'espressione serena quasi dormiente, protetta da una delicata Maternità inserita fra santa Chiara e santa Caterina in un complesso visivo di grande dolcezza.
Sul fronte ritornano, quasi a contrasto con la leggiadria della scena, le armi del Colleoni: i testicoli colleoneschi e i gigli di Andegavia[10] che con le fasce borgognone racchiudono una Pietà, a memoria costante della forza e del potere raggiunti.
Il sarcofago ha avuto la collocazione attuale solo nel 1842, quando è stato trasferito dal Santuario della Basella di Urgnano dove si trovava fino a quella data.
Sotto il monumento, il bancale in noce con tarsie bibliche è opera di Giacomo Caniana (1785).
Il presbiterio, a cui è annessa una piccola sagrestia, ha un altare scolpito da Bartolomeo Manni nel 1676[11] su cui sono le statue di San Giovanni Battista, San Bartolomeo apostolo e San Marco Evangelista.
I banchi intagliati sono opera di Giovanni Antonio Sanz e le tarsie bibliche sono sempre del Caniana, (1773); alla parete è la tela La Sacra Famiglia con San Giovanni Battista, di Angelika Maria Kauffmann, 1789[12].
Gli affreschi dei pennacchi, delle lunette e della cupola riproducenti Episodi della vita di San Giovanni Battista, di San Marco e di San Bartolomeo sono di Giambattista Tiepolo, che li realizzò tra il 1732 e il 1733 su incarico dei Reggenti del Luogo Pio della Pietà Bartolomeo Colleoni e con l'aiuto di Francesco Capella[13].
Nel 1732 i due fratelli Francesco Domenico ed Eugenio Camuzio procedono al rinnovo della decorazione a stucco delle cupole della cappella, abbellite nel 1733 dagli affreschi del giovane Tiepolo. Giocosa e leggera è l'alternanza degli elementi plastici sugli spicchi della cupola, dai fastigi architettonici che ornano i tondi con ghirlande e conchiglie alle composizioni mistilinee contenenti puttini in campiture tinte di rosa, azzurro e giallo[14].
Tra le ultime opere di Muzio Camuzio è la decorazione a stucco del registro inferiore della cappella; la sua età ormai avanzata non sembra incidere sulle sue capacità scultoree, come appare dal realismo, dalla severità e dalla crudezza delle figurazioni sui sopraporta e dei busti del condottiero[15].
Le lunette sono state restaurate nel 1996.
Il simbolismo
La cappella è formalmente un luogo cristiano ma sostanzialmente un mausoleo, apoteosi della forza e del trionfo di un imperator, il Colleoni, discendente da Ercole come amava definirsi.
Il complesso è
« | [...] un insieme monumentale pieno di allusioni nascoste e palesi, di analogie strutturali e semantiche, nel quale il committente stesso si eresse un monumento che trascende la sua personalità in una sfera ideale. » | |
([16])
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La facciata, con i suoi ornamenti e con il gioco dei volumi ascendenti, quasi piega il sacro al pagano nell'esaltazione di un condottiero che equipara a Cesare e a Traiano.
Al centro della facciata campeggia uno splendido rosone, fonte primaria di luce per l'interno della cappella, luce che, tuttavia, si proietta non sull'altare ma sul monumento equestre del Colleoni che domina prepotente sui simboli religiosi presenti quasi timidamente. Il presbiterio e l'altare sono sistemati in un locale laterale in una posizione che può apparire secondaria, mentre lo scenario è monopolizzato dal condottiero che con il suo monumento dorato si impone al visitatore[17].
Il rosone contiene una ruota, comunemente simbolo di rinascita ma qui allegoria del sole, quel sole che diede la vittoria a Giosuè di cui Bartolomeo si sentiva erede[18]. Un simbolo che
« | [..] serviva alla rappresentazione di coloro che si volevano inserire nella tradizione imperiale: la figura di Giosuè è essenziale nella concezione della Cappela Colleoni » | |
(Friedrich Piel, La Cappella Colleoni e il Luogo Pio della Pietà in Bergamo, Bergamo, LPP, 1975)
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Le trabeazioni delle finestre laterali si inseriscono nel rosone quasi a fermare il movimento della ruota, in questo caso della Fortuna, a sottolineare il momento in cui il condottiero raggiunse l'acme della virtus e della potenza[19].
Avvalorano questa lettura la presenza sul rosone di una statua di un soldato romano in postura di compiaciuta attesa e i busti di Cesare e Traiano che si protendono in uno sforzo evidenziato dalla tensione dei muscoli del collo[20].
L'opera, tutta, dà
« | [...] il senso globale della personalità di Bartolomeo Colleoni, quale egli sicuramente non era ma quale egli voleva apparire alla civitas di cui si sentiva patronus. » | |
(Francesco Rossi[21])
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Il cristiano si confonde col pagano, chiesa che testimonia il cammino verso Dio o tempio che divinizza l'imperator come richiamano le iscrizioni sotto i due busti romani, Divus Iulius Caesar e Divus Traianus Augustus[22].
Le finestre che affiancano l'ingresso contengono delle colonne che richiamano dei fusti di cannone, proprio quei fusti che il Colleoni liberò dall'affusto fisso rendendoli facilmente spostabili, creando così l'artiglieria mobile[23].
Tutto nella cappella esalta il miles in uno strano miscuglio di religiosità e laicismo di cui è difficile individuare i confini e le prevalenze[24].
Il mistero
Per secoli si è creduto che la salma di Bartolomeo Colleoni non si trovasse nel mausoleo ma in qualche altro luogo poiché i sarcofaghi risultavano vuoti ad ogni ispezione, alimentando un appassionante mistero storico sulle sorti dei resti del condottiero.
Si arrivò anche alla leggenda, nata e propagatasi spontaneamente, dello spostamento del feretro dall'arca ad altro sito, forse sotto il pavimento di Santa Maria Maggiore, per ordine di san Carlo Borromeo, basata sul fatto reale che a seguito di una visita pastorale del cardinale, 1575, erano stati effettivamente tolti dalla cappella alcuni cimeli.
(LA) | (IT) | ||||
« | [...] vexilla appensa tollantur intra triduum, nec ullo modo restituantur. » | « | [...] siano tolti entro tre giorni i vessili appesi e non più rimessi. » | ||
([25] )
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La leggenda rimase tale, non comprovata da alcun cenno negli atti della visita pastorale, ed è impensabile che questa omissione fosse deliberata o casuale, specialmente in considerazione della riforma ecclesiastica che il Borromeo stava portando avanti con forza e determinazione: un trasloco così importante e particolarmente sentito dalla comunità bergamasca non avrebbe potuto essere fatto senza un provvedimento formale.
Il cardinale, d'altra parte, mantenne il feretro di Medea nel suo sepolcro nella chiesa di Santa Maria di Basella di Urgnano e un comportamento diverso nei confronti di quello del padre, Bartolomeo, sarebbe stato contraddittorio e incomprensibile.
È probabile che quella diceria si fosse diffusa per il bisogno di dare una spiegazione razionale alla scomparsa dei resti del Colleoni[26].
La soluzione del mistero parve arrivare il 14 gennaio 1950 con la riapertura di una massiccia arca lapidea di tipo barbarico già ritrovata l'11 luglio 1651 sotto il pavimento di Santa Maria Maggiore e contenente alquante ossa di statura et misura longhissima, quasi di gigante, et con l'ossa un bastone et una spada di legno[27].
La commissione che presenziò a questa riesumazione dichiarò frettolosamente che i resti appartenevano al Colleoni senza rilevare le evidenti contraddizioni che vi si opponevano. Non si spiegava il perché dell'utilizzo di un'arca altomedioevale, l'assenza di qualsiasi elemento di identificazione del feretro, la presenza di una spada di legno anziché di una vera, l'altezza dello scheletro non corrispondente alla statura tramandataci del Colleoni[28]
I dubbi, mai sopiti, portarono al riesame dei reperti ad opera di una commissione, indicata dal Ministero della Pubblica Istruzione, presieduta da padre Agostino Gemelli che il 21 maggio 1956[29] escluse che le ossa in questione appartenessero al Colleoni: si concludeva una vicenda ma il mistero rimaneva, anzi vi si aggiungeva quello della vera appartenenza delle ossa, forse di un guerriero medievale mentre rimaneva inspiegabile la spada di legno.
La soluzione
L'interesse sulla sorte dei resti del Colleoni si era affievolito col passare dei secoli, nonostante sporadiche ispezioni, in una sorta di distratta rassegnazione fino al 1922 quando, il 15 giugno, Vittorio Emanuele III di Savoia durante una visita ufficiale[30] chiese agli accompagnatori dove si trovassero le spoglie del condottiero, creando una situazione di disagio perché nessuno fu in grado di dare una risposta[31]. Questo fatto, particolarmente imbarazzante e in un certo senso umiliante per gli autorevoli ospiti che avrebbero dovuto rispondere, spinse a nuove ricerche e a nuove ipotesi che, tuttavia, non sciolsero il mistero secolare infittito dall'anonimato del feretro contenuto nel sarcofago barbarico rinvenuto nella basilica di Santa Maria Maggiore[32].
Solamente monsignor Meli[33] insisteva sulla presenza del corpo del Colleoni all'interno della cappella perché così volevano tutte le testimonianze dell'epoca.
Marin Sanudo descrivendo, nel 1483, la Cappella fu particolarmente esplicito, questa [cappella] fece far in vita sua Bartholamio Coglion [...] Capitano di la Signoria General di Terra; era Signor de Martinengo, Roman, Malpaga, et altri castelli. Qui è il corpo suo sepulto in archa magnificentissima[34].
Questa narrazione di un osservatore che scriveva pochi anni dopo lo svolgimento dei fatti si aggiungeva ad altre meno esplicite ma tutte coerenti verso la tumulazione dentro la cappella, mentre non esisteva alcuna altra testimonianza che affermasse cosa contraria se non il fatto che le arche erano vuote.
I tentativi successivi alla visita di Vittorio Emanuele III furono senza esito, ma posero nuovamente il problema all'attenzione della comunità storico-scientifica sotto la spinta della convinzione del Meli che insisteva per la presenza, seppure non provata, del feretro dentro la cappella.
Nel 1968 fu coinvolta la fondazione Lerici[35] che, nel novembre 1969, inviò propri tecnici dotati di nuovi strumenti di prospezione magnetometrica.
L'ispezione si svolse nella giornata del 21 novembre 1969[36] attraverso due fasi pressoché contemporanee, una empirica e una geofisica.
Si saggiò con un bastone il fondo dell'arca maggiore che diede una risonanza inconsueta mentre la fortuita caduta di un pezzo della lastra di copertura produsse nell'asse sottostante una fessura dalla quale si intravvedevano quelle che sembravano essere delle ossa.
La prospezione geofisica segnalò, al contempo, la presenza di oggetti metallici variamente disposti alimentando una speranza che si sostituì al disinganno.
Alle ore quattordici e trenta si procedette alla rottura di uno strato ondulato di calce, ed ecco apparire di sotto una cassa lunga e piatta: il beffardo ingannatore[37].
La cassa fu aperta alle sedici circa e apparve il feretro di Bartolomeo Colleoni con le braccia incrociate, in buono stato di conservazione con l'abbigliamento che una spia sforzesca aveva descritto vestito duno zupone de raso carmesino: calze de grana, una turca de panno dargento, Guanti, Spata et Speroni, et col bastone et bereta capitaniesca[38].
Tutto corrispondeva tranne la spada che non fu trovata subito ma il 5 febbraio 1970 in occasione della pulitura della bara: era nascosta dal corpo del Capitano General[39].
La bara conteneva anche una targa di piombo[40] a memoria del personaggio sepolto
« | BARTOLOMEUS COLIONUS NOBILIS BERGO. PRIVILEGIO ANDEGAVENSIS ILL.MI IMPERIJ VENETORUM IMPERATOR GENERALIS INVICTUS VIXIT ANNOS LXXX IMPERAVIT IIII ET XX OBIIT. III. NO. NOVEMBRIS CCCCLXV SUPRA MILLE » |
Il Colleoni fu sepolto nel suo monumento il 4 gennaio 1476, due mesi dopo la morte, 3 novembre 1475, perché a quella data non era stato ancora completato del tutto: riposa tuttora là.
Opere d'arte
La Cappella Colleoni, capolavoro di Giovanni Antonio Amadeo, è il gioiello artistico lasciato dal condottiero, pro patrie munificenzia et imperii maiestate, a Bergamo, la città di cui si sentiva patronus[41].
« | La cappella si colloca sotto molti aspetti al limite tra Medioevo e Rinascimento, non solo per quel che riguarda la sua decorazione e la sua struttura, ma anche, per quel che concerne la sua posizione nel contesto urbano. » | |
(Arnaldo Gualandris, op. cit. p. 289.)
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La statua equestre di Bartolomeo Colleoni in legno dorato opera di due scultori tedeschi, Leonardo Siry e Sisto da Norimberga, fu scolpita dopo il 1493 e sistemata sui sarcofaghi nel 1500[42][43]. Si tratta di un'opera particolarmente elegante e allo stesso tempo imponente che esalta il condottiero nel massimo del suo potere. La tranquilla e composta espressione del viso è lontana anni luce dallo spavaldo furore che emana dal monumento del Verrocchio a Venezia, diversi i momenti e diverse le tensioni: a Venezia il Colleoni combatte e costruisce la propria fortuna, nella Cappella espone consapevole il potere raggiunto[44]. La postura eretta del corpo, la testa con la berretta capitanesca che fissa davanti, il bastone del comando alzato bloccano il tempo, contraddetti solo dal cavallo che si gira verso gli osservatori, anch'esso partecipe di una scena che il blu dello sfondo magnifica[45]. | |
Il sarcofago superiore, opera di Giovanni Antonio Amadeo come tutto il monumento lapideo, presenta nella facciata dei bassorilievi rappresentanti scene della natività e precisamente una Annunciazione a sinistra di chi guarda, una Natività vera e propria e una Adorazione dei Re Magi[46]. Un'iconografia che prelude a quella ben più drammatica del sarcofago inferiore. | |
L'ornatura contrasta, per la drammaticità delle scene, con quella del sarcofago superiore. Vi sono rappresentate, infatti, una Salita al Calvario, una Crocefissione e una Deposizione. I due sarcofaghi sono raccordati da tre guerrieri seduti che osservano il Colleoni con ai lati le statue di Sansone e David, in quello strano miscuglio di sacro e pagano che caratterizza tutta la cappella. Completano la scenografia, quasi teatrale, delle leggere colonne su basi di marmo rosso che con il sovrastante arco racchiudono la statua equestre su uno sfondo blu creando un insieme policromo al tempo stesso di particolare finezza e grande spettacolarità[46]. Sul bordo inferiore del sarcofago quasi una processione o una giostra giocosa di puttini nudi evidenziano le armi del Colleoni. | |
La statua di Sansone, o forse Ercole, fa parte di quel gruppo di eroi che raccorda il sarcofago inferiore a quello superiore contribuendo a creare l'architettura piramidale caratteristica dell'intero monumento. Dalla parte opposta una statua di Davide chiude la scena. | |
Lo stemma del Colleoni che campeggia sul basamento del sarcofago maggiore raffiguracon turgido naturalismo i testicoli colleoneschi che derivavano dal suo nome e ne costituivano il grido di guerra Coglia, coglia, coglia[47]. | |
Il sepolcro di Medea, anch'esso opera di Giovanni Antonio Amadeo, esprime una delicatezza e una leggiadria che contrastano con l'allegoria colleonesca dell'insieme architettonico, quasi un elemento spurio. In effetti era stata collocata nel Santuario della Basella a Urgnano e trasferita nella cappella solo nel 1842[46]. | |
Sono rappresentati le armi del Colleoni con in mezzo una Pietà. Il primo stemma raffigura i tipici testicoli colleoneschi con i gigli angioini, il secondo le fasce borgognone[46]. Bartolomeo era particolarmente orgoglioso del primo, mentre usava raramente il secondo forse a causa del suo inconcludente rapporto con Carlo il Temerario[48]. | |
Tiepolo affrescò la base della cupola con scene del martirio di Giovanni Battista e le vele con allegorie della Giustizia, della Carità, della Fede e della Sapienza[46]. Il Tiepolo affrescò anche le lunette dell'altare. | |
La mensa, disegnata da Leopoldo Pollack, è sorretta da due angeli di Grazioso Rusca, XIX secolo[49]. | |
Arricchiscono il presbiterio due banchi in legno finemente scolpiti e intarsiati. Gli intarsi opera di Giacomo Caniana, 1750-1790, raffigurano scene bibliche, mentre le sculture sono di Giovanni Antonio Sanz, 1750-1803[46]. Entrambe le opere lignee rappresentano il gusto dell'epoca in cui furono eseguite con particolare delicatezza ed eleganza[49]. Sopra il banco di sinistra si trova una tela di Angelica Kauffman, 1741-1807[46]. |
Note | |
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Bibliografia | |
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Collegamenti esterni | |
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