Giustizia
Il concetto cristiano di Giustizia ha varie accezioni e fa riferimento a diversi contesti:
- Indica in genere la volontà di aderire ai comandi di Dio; si configura come una virtù che orienta la vita del credente.
- È sinonimo di giustificazione.
- Indica lo stato di innocenza e di perfetta rettitudine, gratuitamente concesso da Dio all'uomo prima del peccato: giustizia originale.
- Indica la seconda delle quattro virtù cardinali: è quella virtù che porta il credente ad operare perché ciascuno abbia il dovuto. Nella dottrina classica viene tradizionalmente ripartita secondo i tre rapporti fondamentali della vita sociale:
- Riguarda il rapporto degli individui tra di loro: giustizia commutativa.
- Riguarda il rapporto tra la comunità e i singoli membri che partecipano al bene comune: giustizia distributiva.
- Riguarda il rapporto tra l'individuo e la comunità, facendo sì che gli interessi particolari siano subordinati a quelli del bene comune: giustizia legale.
Sebbene la giustizia occupi il posto più elevato tra le virtù morali, la sua realizzazione nella vita cristiana la rende, tuttavia, inseparabile dalla carità. Dal cristiano si esige molto di più che il rispetto degli inalienabili diritti altrui: egli resta, comunque, sempre debitore nell'amore (Rm 13,8 ).
Nella Bibbia
Per approfondire, vedi la voce Giustizia (Bibbia) |
Il concetto biblico di giustizia è determinato a partire dal rapporto con Dio. Sia nell'Antico sia nel Nuovo Testamento si ritiene, senza contestazioni, che vi siano uomini giusti i quali compiono la volontà divina nel timore di Dio e nell'amore verso il prossimo.
Nei Padri della Chiesa
I Padri della Chiesa e i primi scrittori cristiani riprendono molte delle questioni emerse.
Lattanzio
Per Lattanzio la giustizia di cui parla il Vangelo non è soltanto la costante e perpetua volontà di dare a ciascuno ciò che è suo (come si legge nel Digesto, I, I, 10), ma consiste principalmente nel sentimento della pietà. Lo scrittore dedica all'approfondimento del tema il libro V e il libro VI dell'opera Divinae institutiones, composta intorno agli anni 304-313. Lattanzio lamenta la scomparsa della giustizia dal mondo; essa ritornerà solo quando tutti gli uomini avranno riconosciuto il vero Dio e saranno uniti fra loro dal vincolo della figliolanza divina[1]. Scrive infatti:
« | La pietà e l'equità sono come le sue vene profonde; da queste due fonti proviene infatti tutta la giustizia, ma il suo principio e la sua origine risiede nella prima, nella seconda si trova ogni forza e razionalità. » | |
(Divinarum Institutionum, V, 14, 11: Sources Chretiennes 204, 202)
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Facendo un confronto con il diritto romano, Lattanzio sottolinea come i pagani, mancando del concetto di figliolanza divina, non fossero in grado di applicare la giustizia, ma si limitassero al rispetto delle norme, ossia alla sola equità. Afferma poi che, non riconoscendo essi Dio come Padre, e dunque mancando anche della fratellanza in Cristo, questa equità non interessava tutti gli uomini ma solo un parte dei cittadini.
Per Lattanzio la giustizia di cui parla il Vangelo non è soltanto la costante e perpetua volontà di dare a ciascuno ciò che è suo (come si legge nel Digesto, I, I, 10), ma consiste principalmente nel sentimento della pietà. Lo scrittore dedica all'approfondimento del tema il libro V e il libro VI dell'opera Divinae institutiones, composta intorno agli anni 304-313. Lattanzio lamenta la scomparsa della giustizia dal mondo; essa ritornerà solo quando tutti gli uomini avranno riconosciuto il vero Dio e saranno uniti fra loro dal vincolo della figliolanza divina[2]. Scrive infatti:
« | La pietà e l'equità sono come le sue vene profonde; da queste due fonti proviene infatti tutta la giustizia, ma il suo principio e la sua origine risiede nella prima, nella seconda si trova ogni forza e razionalità. » | |
(Divinarum Institutionum, V, 14, 11: Sources Chretiennes 204, 202)
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Facendo un confronto con il diritto romano, Lattanzio sottolinea come i pagani, mancando del concetto di figliolanza divina, non fossero in grado di applicare la giustizia, ma si limitassero al rispetto delle norme, ossia alla sola equità. Afferma poi che, non riconoscendo essi Dio come Padre, e dunque mancando anche della fratellanza in Cristo, questa equità non interessava tutti gli uomini ma solo un parte dei cittadini.
San Gregorio di Nissa
San Gregorio di Nissa, (m. 394) commentando[3] la quarta beatitudine di Matteo (Mt 5,6 ), si sofferma a riflettere sulla possibilità di edificare una società fondata sull'uguaglianza[4].
Ambrogio
Sant'Ambrogio (m. 397) propone ulteriori riflessioni sul tema. Vi dedica parte del De officiis, la prima esposizione completa di un'etica cristiana, a imitazione dell'opera di Cicerone che ha lo stesso titolo.
Ritorna sulla giustizia anche nell'opera Expositio in psalmum 118. Partendo dal concetto classico, mette in rapporto la giustizia con la pietà, la carità e la misericordia[5], ma sottolinea ugualmente la radicale apertura al bene dell'altro propria della giustizia:
« | Solo la giustizia è quella virtù che in ogni circostanza, proprio perché la sua natura è di aprirsi agli altri più che di rinchiudersi in se stessa, ha utilità quotidiana e vantaggio comune; salvaguarda l'utilità degli altri anche a costo di un personale svantaggio. È la sola che non ricavi il minimo vantaggio e che abbia invece il massimo merito » | |
(Commento al Salmo 118, 16,14: Biblioteca Ambrosiana 10, 183)
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In questi testi Ambrogio stabilisce un parallelo tra la giustizia, la pietà verso Dio, la carità verso il prossimo e la misericordia. Chi agisce nella giustizia, opera per il bene comune[6]
Agostino
Sant'Agostino (354-430) considera che, nella sua essenza specifica, la virtù della giustizia coincide con la versione veterotestamentaria della regola d'oro:
« | Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te (Tb 4,15 ). [...] Nessuno vuole essere danneggiato da qualsiasi altro; per cui egli stesso non deve danneggiare alcuno » | |
(De Doctrina Christiana, 3,14,22: NBA 8,159.161)
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Nell'opera De fide et operibus (413) sottolinea come la fede senza le opere non basti alla salvezza, e che per l'utilità sociale occorre riconoscere a tutti il proprio merito.
Ancora riferimenti alla giustizia si trovano nel libro XIX del De Civitate Dei. Sant'Agostino concepisce la giustizia come una virtù fondamentale per la vita sociale e politica: in essa sottolinea il valore di ogni persona, titolare di diritti inalienabili[7].
Nella Scolastica
San Tommaso d'Aquino riprende la definizione della virtù della giustizia elaborata dal diritto romano, secondo cui è "la volontà costante e perenne di dare a ciascuno il suo". Nella Summa Theologiae così la definisce:
« | La giustizia è l'abito mediante il quale si dà a ciascuno il suo con volere costante e perenne. » | |
(II-II, q. 58, a. 1, c.)
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Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |