Cena in casa di Levi (Paolo Veronese)
Paolo Veronese, Cena in casa di Levi (part. Gesù Cristo tra gli apostoli), 1573, olio su tela | |
Cena in casa di Levi | |
Opera d'arte | |
Stato | |
Regione | Veneto |
Regione ecclesiastica | Triveneto |
Provincia | Venezia |
Comune | |
Diocesi | Venezia |
Ubicazione specifica | Gallerie dell'Accademia |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Venezia |
Luogo di provenienza | Basilica dei Santi Giovanni e Paolo |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Cena in casa di Levi |
Datazione | 1573 ca. |
Autore |
Paolo Veronese (Paolo Caliari) |
Materia e tecnica | olio su tela |
Misure | h. 555 cm; l. 1280 cm |
|
La Cena in casa di Levi è un dipinto, eseguito nel 1573 circa, ad olio su tela, da Paolo Caliari, detto Paolo Veronese (1528 - 1588), proveniente dal Basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia ed ora conservato nelle Gallerie dell'Accademia di questa città.
Descrizione
Ambientazione
La scena, calata in una precisa ambientazione architettonica in prospettiva centrale, si svolge all'interno di un sontuoso palazzo in stile palladiano, presenta un loggiato costituito da tre arcate, che crea un illusionistico fondale teatrale, completato dagli edifici in prospettiva che s'intravedono oltre la monumentale architettura. Nel loggiato si tiene un banchetto, mondano, della Venezia del tempo, fedelmente rappresentato nella ricchezza dei costumi degli invitati, delle stoviglie e delle pietanze.
Soggetto
All'interno del monumentale impianto architettonico, il pittore allestisce un sontuoso banchetto mondano, nel quale compaiono:
- Gesù Cristo, con il capo avvolto da un'aureola luminosa, è tranquillamente seduto al centro del dipinto e della grande tavolata, sulla quale convergono gli sguardi di vari commensali.
- Apostoli, a fianco di Gesù, disposti lungo la tavola, che occupa in orizzontale tutta la composizione;
- Commensali e servitori, presenti al banchetto, raffigurati negli atteggiamenti più diversi: nobili del patriziato veneto, paggetti e servi, soldati, animali e bambini che giocano sulle scale, nani e giullari in una composizione animata e vivace, di chiaro gusto profano. Questa enorme quantità di personaggi certamente non prevista nella canonica raffigurazione dell'Ultima cena, inoltre molte figure sono presentate completamente disinteressate alla presenza di Gesù Cristo alla cena, infatti, discutono tra loro animatamente o gli voltano addirittura le spalle.
Note stilistiche, iconografiche e iconologiche
- L'opera fu realizzata durante la fase matura dell'artista, quando era a capo di una delle più affermate botteghe pittoriche veneziane. Essa è parte della celebre serie delle monumentali "Cene", dipinte da Paolo Veronese per decorare i cenacoli dei conventi cittadini, tra le quali si ricordano:
- Nozze di Cana (1562 - 1563), olio su tela, realizzato per il Monastero di San Giorgio Maggiore a Venezia ed oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi.
- Cena in casa di Simone il fariseo (1570 ca.), olio su tela, originariamente nel Convento di San Sebastiano a Venezia, ed ora esposta alla Pinacoteca di Brera a Milano.
- Nelle "Cene" di Paolo Veronese emerge un grandioso spaccato di vita quotidiana della ricca Venezia che, pur sull'orlo del disastro economico, continua a celebrarsi pomposamente in feste e banchetti, con una ritualità ed uno sfarzo che rimarranno insuperati fino al XVIII secolo.
Notizie storico-critiche
Il dipinto fu commissionato a Paolo Veronese dai religiosi dell'Ordine di San Domenico per Basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, per sostituire un dipinto di Tiziano andato distrutto nel 1571.
Il soggetto doveva essere quello dell'Ultima Cena, ma l'artista affrontò tale tematica da un punto di vista fortemente innovativo e particolare, visione che non fu apprezzata dalla Sacra Inquisizione, contattata dal priore della Basilica, dopo varie richieste di modifiche al dipinto che non erano accettate da Paolo Veronese. Chiamato a rispondere di fronte al tribunale del Sant'Uffizio, nel luglio 1573, il pittore difese strenuamente le proprie scelte d'artista, analizzando la presenza e la disposizione d'alcune figure contestate dall'organo religioso.
L'opera però venne censurata dall'Inquisizione, che la trovò sconveniente per una smodata esaltazione del piacere di vivere (edonismo), per l'esteriorità che la caratterizzava e per un indegno accostamento della figura di Gesù Cristo a:
« | buffoni, imbriachi thodeschi, nani et altre scurrilità. » |
Queste particolarità finirono per creare un caso, che andò al di là delle intenzioni artistiche del pittore. Infatti, bisogna ricordare che da pochi anni si era concluso il Concilio di Trento (1545 - 1563) che, proprio nell'ultima seduta, aveva dettato norme anche per la corretta esecuzione di immagini sacre. Inoltre, in quegli anni era molto forte il contrasto tra Chiesa cattolica e Riforma protestante, e uno dei temi che più divideva era quello della transustanziazione, ovvero della trasformazione del pane e del vino, durante l'Eucaristia, in Corpo e Sangue di Gesù Cristo. I protestanti negavano decisamente la transustanziazione, che veniva per la prima volta espresso nelle parole pronunciate da Gesù, durante l'Ultima Cena. Per cui, avere un atteggiamento non ortodosso nei confronti di questo momento preciso della storia di Cristo, poteva apparire una velata affermazione d'adesione alle posizioni di Martin Lutero.
Per tale motivo Paolo Veronese fu convocato dal tribunale ecclesiastico. Interrogato sui motivi di quest'immagine non aderente ai principi cattolici, si giustificò invocando quella libertà dell'arte nei confronti della teologia e della religione che gli intellettuali ed artisti dell'Umanesimo e Rinascimento cercavano di rivendicare:
« | Nui pittori ci pigliamo la licentia che si piglino i poeti et i matti. [...] Se nel quadro vi avanza spacio io l'adorno di figure, secondo le inventioni. » |
Non riuscendo però a spuntarla, il pittore decise di cambiare il titolo dell'opera in Cena in casa di Levi, ispirandosi alla scena del Vangelo che descrive l'incontro tra Gesù Cristo e un ricco esattore d'imposte.
L'episodio, al quale si rifà il nuovo titolo è quello riferito alla vocazione di san Matteo, che, prima della chiamata di Gesù, era un pubblicano, ossia un esattore delle tasse per conto dei dominatori romani. Il suo nome, prima di prendere quello di Matteo, era Levi, ed egli, da uomo ricco derivante dalla sua posizione sociale, offrì un grande banchetto a Gesù al quale intervennero altri pubblicani. Il tribunale ecclesiastico considerò che la scena dipinta da Paolo Veronese era più in tono con questo banchetto che non con l'Ultima Cena, e così fu imposto al pittore di apportare piccole modifiche e di indicare il nuovo titolo sulle cornici superiori del parapetto della scala in primo piano.
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