Farisei

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James Tissot, Farisei interrogano Gesù Cristo (1886-1894), acquerello su carta; New York (USA), Brooklyn Museum

I Farisei sono una corrente religiosa e politica del giudaismo sorta intorno al II-I secolo a.C., all'epoca dei Maccabei e menzionata molte volte nel Nuovo Testamento, soprattutto nei Vangeli.[1]

Fonti antiche

Oltre al Nuovo Testamento, la fonte principale per comprendere i farisei è Giuseppe Flavio, che in più luoghi cita questo gruppo ebraico[2]. I più significativi sono:

Il nome

Il termine è in greco φαρισαῖοι, farisaioi e deriva dall'aramaico Pĕrīšajjā[3], corrispondente all'ebraico perûšîm. La parola è un aggettivo plurale che significa "divisi", "separati"[3]. L'origine del nome rimane oscura[4] e da ciò dipende la molteplicità dei tentativi di spiegazione; sicuramente il termine ha potuto assumere significati diversi nelle varie epoche:

Altri pensano che si tratti di un soprannome nato al momento della rottura con i sadducei, sotto il regno di Giovanni Ircano (135-104 a.C.). Forse cela anche un'allusione all'opposizione dei farisei contro la politica nazionalistica di quest'ultimo[5].

Sembra comunque che il nome farisei fosse usato dai loro avversari; essi si chiamavano piuttosto "compagni" o "santi"[3].

Storia

Giovanni D'Enrico, Gesù Cristo condannato a morte (part. Statue dei farisei), 1610 ca., in terracotta dipinta; Cappella del Sacro Monte di Varallo

L'origine

Giuseppe Flavio afferma che essi, insieme ai sadducei (corrente che diversi punti dottrinali opponevano ai farisei) e agli esseni, hanno origini molto antiche, sebbene li nomini per la prima volta al tempo di Gionata Maccabeo (161-143 a.C.)[3].

In realtà l'origine di farisei e sadducei deve essere ricercata nel periodo in cui si diffuse l'ellenismo e quindi si può risalire quasi ai tempi di Esdra. L'ellenismo diffuse nel giudaismo libertà di pensiero e rilassatezza di costumi, scardinandone lo spirito religioso e la fedeltà alla tradizione. I primi a cedere - per opportunismo - alle nuove idee furono le classi aristocratiche, fra cui principalmente le famiglie dell'alto clero, mentre per reazione si formava un'opposta corrente: costoro "fecero un patto e un giuramento di camminare nella legge di Dio, data per mezzo di Mosè, servo di Dio, promettendo di osservare e mettere in pratica tutti i comandi del Signore, il Signore nostro, le sue norme e le sue leggi" (Nee 10,30 ); essi "si erano separati dai popoli di terre straniere per aderire alla legge di Dio" (Nee 10,29 ). In questa testimonianza si può vedere l'inizio della corrente farisaica, anche se è difficile affermare con sicurezza che si trattasse, già a quel tempo, di una fazione vera e propria.

Appaiono invece chiaramente definiti, ai primi tempi dei Maccabei, gli asidei (οἱ ἀσιδαῖοι, hoi asidáioi), cioè "pii", in ebraico ḥăsîdhîm, che sono sostanzialmente uguali ai posteriori farisei[3]. Essi costituirono la forza principale su cui i Maccabei poterono contare per la liberazione del popolo dal dominio straniero (1Mac 2,42; 7,13 ; 2Mac 14,6 ).

La rottura con i Maccabei

Ben presto, però, gli Asmonei, discendenti dei Maccabei, si trovarono in opposizione con i farisei, continuatori degli asidei: la tensione cominciò sotto Gionata, quando questi ottenne nel 153 a.C. il sommo sacerdozio dal re di Siria Demetrio. Giovanni Ircano, figlio di Simone e già discepolo dei farisei, ruppe decisamente con essi e passò ai sadducei. Suo figlio, il re Alessandro Ianneo, perseguitò aspramente i farisei, ma quando fu prossimo a morire raccomandò alla moglie, la regina Alessandra[6], di accordarsi con i farisei per conciliarsi la benevolenza del popolo, poiché essi avevano su di esso un gran potere.

Nelle lotte tra Ircano II e Aristobulo II i farisei parteggiarono per il primo.

A cavallo dell'era cristiana

Nel periodo successivo, fino alla catastrofe dell'anno 70, sadducei e farisei continuarono ciascuno il proprio cammino, i primi dominando nel Tempio e nella vita politica, i secondi conquistando sempre più il favore del popolo, soprattutto grazie ai dottori della Legge o scribi, che appartenevano nella stragrande maggioranza ai farisei. E il popolo era portato a vedere nei farisei i genuini difensori delle sue tradizioni e conseguentemente della sua nazionalità e indipendenza.

Dei vari gruppi giudaici esistenti prima del 70 solo i farisei sopravvissero agli eventi di quell'anno e da allora in poi l'ebraismo fu improntato ai canoni del fariseismo.

Dottrina

Le posizioni dottrinali dei farisei sono conosciute soprattutto grazie a Giuseppe Flavio[7] e al Nuovo Testamento; spesso esse sono formulate in contrasto con le posizioni dei sadducei[8].

La tradizione

Il punto fondamentale che li contraddistingue è il fatto che essi, a differenza dei sadducei, riconoscono l'autorità di una legge orale a fianco della Torah scritta; tale legge orale è costituita dall'insieme delle tradizioni interpretative della Torah; la sua autorità è fondata ricollegandola al Sinai e allo stesso Mosè[9]. A questo proposito, Gesùi spesso reagisce non contro il principio di una tradizione, ma contro il peso esagerato che veniva attribuito ad alcune di esse (Mt 15,1-20 ). Paolo, che rivendica pienamente il suo passato fariseo (At 26,5 ; Fil 3,5-6 ), richiama il proprio attaccamento alle tradizioni dei padri (Gal 1,14 ).

Altre dottrine

La presenza della tradizione viva a fianco della Torah scritta permetteva di essere attenti alle condizioni nuove, all'evoluzione delle idee religiose e anche di accogliere e assimilare (trovando in esse fondamenti scritturistici) concezioni desunte da altre culture con le quali il pensiero giudaico entrava in contatto[8]. Era grazie a questa torah orale che il giudaismo manteneva una costante apertura sul futuro e a partire da essa sono comprensibili altri punti importanti della dottrina farisaica:

Il messianismo

La tradizione orale rende pure conto della viva speranza messianica che si sviluppò negli ambienti farisei e di cui i Salmi di Salomone[10] (I secolo a.C.) rendono testimonianza.

I farisei, prima sull'onda della delusione verso i principi asmonei e poi in seguito alla dominazione romana, volsero gli occhi verso il tempo in cui l'Unto di Davide sarebbe venuto a instaurare il Regno di Dio. Erano convinti che una stretta osservanza della Legge avrebbe accelerato il verificarsi di questo evento.

Il destino e la libertà

Secondo Giuseppe Flavio i farisei ammettevano che "certe cose, ma non tutte, sono fissate dal destino"[11] e che le altre dipendono dalla nostra volontà:

« Tutto è previsto e tuttavia rimane libertà di scelta. »
( Mishna, trattato Pirque Aboth 3,16)

C'era quindi posto per la fede, per la Provvidenza e per la libertà dell'uomo.

Tale posizione era intermedia tra quella dei sadducei, che attribuivano tutto al libero arbitrio e gli esseni, che attribuivano invece tutto al destino[12].

Collocamento nella società del loro tempo

I farisei praticavano una rigida separazione da quanti non aderivano agli stessi principi e affermavano la necessità di allontanare dalla comunità i peccatori.

In campo politico erano moderati e non appoggiarono le rivolte antiromane organizzate dagli zeloti.

Gesù critica severamente il loro legalismo e la loro ipocrisia (Mt 6,1-2; 23,2-6 ) e mette in guardia i suoi discepoli dall'imitare il loro comportamento.

Fariseismo e cristianesimo

Il cristianesimo è debitore al fariseismo di idee fondamentali; anche se sono somme le divergenze dottrinali, è con il fariseismo che il cristianesimo sembra avere il massimo dei idee in comune[13].

Alcuni giungono a sostenere che Gesù, fra tutte le tendenze del suo tempo, si avvicinò più di tutto a quelle dei dottori farisei, professando però un'autorità che nessuno di essi mai rivendicò. E fu questo che lo portò alla condanna. Bisogna però osservare che nei Vangeli i farisei scompaiono quasi totalmente dai racconti della passione; è significativo poi anche il solenne intervento di Gamaliele in favore degli Apostoli, ricordato in At 5,35-39 .

I rapporti con Gesù

I farisei inizialmente assumono nei confronti di Gesù un atteggiamento ambivalente. Sono interessati ai suoi insegnamenti, in particolare a quelli riguardanti la morale e la venuta del Regno di Dio, ma sono scandalizzati dal fatto che né Gesù, né, di conseguenza, i suoi discepoli, rispettano i precetti da loro ritenuti fondamentali, come quelli del sabato o della purificazione rituale.

La violazione del sabato è considerata un delitto talmente grave che è proprio in seguito a una guarigione sabbatica che, per la prima volta in Matteo, i farisei, usciti dalla sinagoga, tennero consiglio contro di lui per toglierlo di mezzo (Mt 12,14 ). La strategia è semplice: i farisei mirano innanzitutto a isolare Gesù, inimicandogli il favore del popolo. Questo viene realizzato mediante attacchi diretti alla sua persona, sulla quale viene gettato il discredito e mediante attacchi alla sua dottrina, miranti a dimostrare che essa non integra, ma rigetta la Legge mosaica e, con essa, il suo vero autore, ovvero Dio. Gli attacchi ad personam non si arrestano nemmeno dinanzi alle evidenze taumaturgiche, sortendo effetti grotteschi (Mt 12,24 ).

La risposta di Gesù è un formidabile sunto di logica e di ironia.

« Ma egli, conosciuto il loro pensiero, disse loro: Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. Ora, se satana scaccia satana, egli è discorde con sé stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno? E se io scaccio i demoni in nome di Beelzebùl, i vostri figli in nome di chi li scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici »

In Giovanni, Gesù, da emissario del Diavolo, è già diventato un eretico e un succube del Diavolo.

« Gli risposero i Giudei: "Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano ed hai un demonio? »

Da notare che Giovanni adopera il termine farisei con molta più parsimonia rispetto agli altri evangelisti. Sembra che egli riservi tale titolo solo ai maggiorenti tra i farisei, o, per lo meno, ai rappresentanti ufficiali del movimento. Nel caso citato gli interlocutori di Gesù, come spesso nel Vangelo di Giovanni, sono designati con il termine Giudei. Non è da leggervi necessariamente una precisazione etnica o geografica, quanto, probabilmente, religiosa. Per Giovanni i Giudei sono gli ebrei tradizionalisti. Essi argomentano come i farisei, conoscono le Scritture e contestano Gesù sulla base di queste. Se non si tratta di farisei in senso stretto, è probabile che si tratti di simpatizzanti tali. Gesù replica alle accuse rivelandosi come Dio in persona, suscitando le ire degli interlocutori che tentano di lapidarlo.

Giovanni, in precedenza, aveva puntualizzato ai suoi lettori che:

« Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio » (5,18 )

È importante riportare integralmente l'episodio precedente, in quanto i botta e risposta tra Gesù e i Giudei sono significativi della dialettica rabbinica, in cui l'ironia è spesso usata come uno stiletto. Contrariamente ai sinottici, l'intero Vangelo di Giovanni riporta discorsi di Gesù in cui Egli rivela la sua divinità. Questo ha indotto molti critici moderni a bollare il quarto evangelo come un testo di teologia, più che un resoconto storico. In realtà Giovanni riporta discorsi di Gesù diversi da quelli riportati dagli altri evangelisti. Giovanni non smentisce, ma precisa e integra i Vangeli di Matteo, Marco e Luca. Le due tradizioni sono pertanto conciliabili.

Si tenga inoltre conto che è assai probabile che i contenuti dei discorsi di Gesù, ivi comprese le rivelazioni sulla sua natura divina, variassero in funzione della preparazione culturale degli interlocutori e della loro capacità di comprensione del messaggio. Logico quindi che i discorsi rivolti al popolino della Galilea fossero di tono e contenuti ben diversi da quelli rivolti ai dottori della Legge gerosolimitani o ai propri discepoli più intimi, tra cui lo stesso Giovanni.

Per i Giudei attribuirsi il nome divino è la peggiore delle bestemmie, ed è proprio questo che scatena la loro ira verso Gesù: la lapidazione era la pena di morte destinata tradizionalmente ai bestemmiatori.

« Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare. Straniero o nativo del paese, se ha bestemmiato il nome del Signore, sarà messo a morte. »

Il brano contenuto in Mt 15,1-20 mostra un'esemplare tattica farisaica per mettere in difficoltà Gesù sul piano dottrinale. Un'apposita delegazione di esperti della Legge, costituita da farisei e scribi, viene fin da Gerusalemme per interrogare Gesù.

In realtà la domanda posta a Gesù consiste nell'accusa, rivolta ai suoi discepoli (e quindi indirettamente ai suoi insegnamenti), di violare uno dei precetti fondamentali della Legge, quello della purificazione rituale. Lo scopo dei farisei è mostrare al popolo che Gesù insegna a trasgredire la Legge. La discussione che si sviluppa da questa provocazione è interessante, in quanto si svolge secondo le consuete modalità delle dissertazioni tra rabbini: citazione di passi delle Scritture, dimostrazioni logiche e insegnamento finale. Gesù ci infila anche una parabola, che interpreterà subito dopo, su richiesta di Pietro. L'attacco fariseo diventa spunto per il contrattacco di Gesù, che esorta a diffidare degli insegnamenti dei suoi avversari, anticipando tematiche che verranno sviluppate in seguito, attraverso le celebri invettive contro farisei e scribi.

Farisei e scribi non attaccano direttamente Gesù, ma rimproverano il comportamento dei suoi discepoli. Essi quindi chiedono conto di tale violazione al loro maestro. Può darsi che tale approccio indiretto consista in una prassi delle discussioni rabbiniche per mostrare comunque rispetto formale al dottore della Legge interrogato. Gesù non risponde subito alla loro domanda, ma li prende in contropiede, contestando una delle tante conclusioni che i farisei traggono dalla loro tradizione. Gesù infatti non affronta l'argomento delle purificazione rituale introdotto dai farisei con le loro accuse, ma quello dell'offerta al Tempio, il Qorbàn. Alla presunta sacralità della tradizione farisaica, Gesù contrappone la sacralità effettiva dei comandamenti di Dio, per dimostrare che l'osservanza maniacale dei precetti desunti dalla Legge ha finito per stravolgere il significato profondo della Legge e per spacciare come volontà divina quelli che in realtà sono "precetti di uomini". Ed egli rispose loro:

« Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione? »

Si noti l'aggettivo vostra, riferito a tradizione e contrapposto al comandamento di Dio. Gesù inizia a dimostrare che la volontà di Dio e le interpretazioni che ne desumono i farisei sono cose ben distinte e spesso incompatibili.

« Dio ha detto: Onora il padre e la madre e inoltre: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte.

Voi invece dite: Chiunque dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è un'offerta a Dio, non è più tenuto a onorare suo padre. Così avete annullato la parola di Dio con la vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini »

Il precetto farisaico al quale si riferisce Gesù è quello dell'offerta sacra. I rabbini avevano stabilito la norma che, se un fedele aveva deciso di destinare un suo bene al Tempio, l'offerta era irrevocabile: bastava pronunziare la parola Qorbàn (offerta sacra) e l'oggetto designato diventava proprietà sacra del Tempio di Gerusalemme.

Il possessore del bene consacrato poteva tuttavia continuare a goderne, finché non avveniva l'effettiva consegna al Tempio. Così poteva accadere che qualcuno, per non dover cedere parte dei suoi beni per il sostentamento dei genitori, dichiarasse Qorbàn tutto quanto possedeva. Tale consacrazione, se non impediva l'utilizzo dei beni da parte del possessore, ne precludeva definitivamente l'accesso a terzi, genitori indigenti compresi. Zittiti i farisei, Gesù risponde alla loro domanda provocatoria. Lo fa rivolgendosi al popolo e raccontando una parabola.

« Poi riunita la folla disse: Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo. »

Questa affermazione, con la quale si respinge il concetto di purità e impurità che sta alla base dei precetti di purificazione rituale tanto cari ai rigidi farisei, ovviamente suscita l'indignazione di questi ultimi, che viene riferita a Gesù. Gesù non si scompone e lancia un'altra frecciata ai suoi avversari:

non bisogna lasciarsi intimorire dalle escandescenze dei farisei, perché essi, come i ciechi, brancolano nel buio e non riescono a trovare la strada giusta da seguire. E nonostante questo, si ergono a guide spirituali di tutto il popolo, trascinandolo con sé nel baratro (Mt 15,12-14 ).

Pietro non ha capito il significato della parabola e chiede spiegazioni. Gesù sembra quasi sorridere mentre redarguisce bonariamente i suoi, dai quali, dopo tanta frequentazione, si aspetterebbe un po' più di prontezza mentale. Quindi spiega con chiarezza ciò che egli intendeva dire con il linguaggio figurato usato in precedenza: a rendere impuro l'uomo non sono i cibi ingeriti, ma i propositi e le azioni malvagie che escono dal cuore dell'uomo, ovvero che costituiscono il frutto della sua volontà e delle sue passioni (Mt 15,15-20 ).

Non sempre i farisei agiscono da soli. Talvolta superano le diffidenze che li separano dagli altri gruppi politico-religiosi, per portare contro Gesù attacchi ben concertati. Nel celebre episodio del denaro di Cesare i farisei si alleano provvisoriamente con gli erodiani. Il motivo è semplice: in questo caso i farisei vogliono suscitare contro Gesù una reazione popolare o, in alternativa, una reazione dei detentori del potere politico, gli erodiani, appunto. Il tributo pagato ai Romani era particolarmente inviso al popolo, in quanto i Romani erano un invasore occupante. Gli zeloti, una derivazione particolarmente politicizzata del movimento farisaico, si rifiutavano di pagare l'imposta e godevano del favore del popolo.

I farisei tendono a Gesù un tranello per comprometterlo sul piano politico. Chiedendogli se è giusto o no pagare il tributo a Cesare, essi si aspettano che egli si pronunci o favorevolmente (attirandosi l'odio popolare) o sfavorevolmente (divenendo quindi passibile di denuncia presso l'autorità costituita, per tramite degli erodiani). Il tetrarcato di Erode Antipa, infatti, altro non era che una specie di governo fantoccio (oggi diremmo "collaborazionista") in cui le successioni dinastiche e l'ammissione ai posti di comando erano decise direttamente dagli imperatori romani. Queste poche righe di Matteo sono un capolavoro di intuizione psicologica (Mt 22,15-21 ).

Nelle lodi sperticate rivolte a Gesù sta tutta la melliflua astuzia di coloro che gli stanno tendendo una trappola: lodarlo per inorgoglirlo, farlo diventare temerario per indurlo a esporsi. Gesù, come in altre occasioni, gioca con le sue regole. Non risponde né sì, né no, ma coglie l'occasione per impartire una lezione morale: se i farisei e tutti gli ebrei accettano di utilizzare monete coniate dall'impero romano, con tale accettazione, di fatto, essi legittimano l'autorità romana che li governa. Quindi è superfluo chiedersi se sia giusto pagare a essa le imposte: gli svantaggi derivanti dall'essere sudditi debbono essere accettati così come i vantaggi.

Già a questo punto la risposta sarebbe esauriente, ma Gesù non si accontenta e aggiunge una postilla che reinquadra tutto l'argomento di discussione in un contesto ben più ampio: così come a Cesare deve essere reso ciò che egli ha dato ai giudei, anche a Dio deve essere reso ciò che Egli ha dato all'umanità.

Il che significa due cose:

  1. Così come l'uomo è tenuto a adempiere dei doveri nei confronti dell'autorità politica, egli è tenuto a adempiere dei doveri anche nei confronti dell'autorità divina, poiché da entrambe riceve dei benefici
  2. L'autorità politica e quella divina sono su due piani distinti: ciò che Cesare dà e chiede in cambio è diverso da ciò che Dio dà e chiede in cambio.

Quindi non ci deve essere commistione tra i doveri della politica e i doveri della fede. Le trame dei farisei e dei loro alleati contro Gesù finiscono per provocare un violento contrattacco da parte di quest'ultimo. È in questo contesto che nascono le famose invettive che Gesù indirizza contro scribi e farisei ipocriti (Mt 23,13 ).

Non bisogna tuttavia pensare che tali esecrazioni nascano semplicemente come reazione a ripetute provocazioni. Le maledizioni contro farisei e dottori della Legge si rivolgono infatti essenzialmente contro l'ipocrisia dei loro comportamenti, la vanità rivelata dagli atteggiamenti in pubblico, le forzate interpretazioni della Legge, che viene spesso e volentieri piegata verso quella tradizione, costituita in gran parte da precetti di uomini (Mt 15,9 ). Gesù non rigetta completamente ciò in cui credono i farisei, infatti invita la folla e i suoi discepoli a ubbidire a quanto dicono, quando trasmettono la dottrina tradizionale ricevuta da Mosè, ma a diffidare dal loro esempio (Mt 23,2-3 ).

Allo stesso tempo, Gesù raccomanda di guardarsi dalla loro dottrina, ovvero da quanto insegnano sulla base di interpretazioni personali e arbitrarie della Scrittura (Mt 16,6.12 ).

Le invettive

Il discorso anti-farisaico ha bisogno di essere esaminato accuratamente confrontando, ove possibile, la versione di Matteo e quella di Luca (alcune delle invettive riportate dal primo, mancano nel secondo).

Prima invettiva: la chiusura del regno dei Cieli

« Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così

voi non vi entrate e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci »

« Guai a voi, dottori della Legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati e a

quelli che volevano entrare l'avete impedito »

Gli scribi e i farisei si sono impossessati della chiave della conoscenza, essendosi arrogati il diritto di fornire l'unica interpretazione ammissibile della Legge. Il vuoto formalismo religioso che ne deriva, moltiplicando a dismisura precetti e rituali fini a sé stessi, impedisce agli uomini di accedere alla vera conoscenza della volontà di Dio e quindi alla salvezza.

Seconda invettiva: il proselitismo farisaico

« Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e,

ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi. »

I proseliti erano pagani convertiti al giudaismo. Nel mondo greco-romano la propaganda giudaica era molto attiva, prima della distruzione di Gerusalemme. Gesù rimprovera ai farisei la frenetica ricerca di discepoli, che ha come unico risultato quello di portare anch'essi alla perdizione. La Geenna in origine era la Valle di Hinnom, situata a sud di Gerusalemme. Era utilizzata come immondezzaio della città e vi si tenevano accesi grandi fuochi a scopo igienico. Il termine Geenna venne quindi a simboleggiare il luogo di tormenti nell'oltretomba, il nostro Inferno.

Terza invettiva: i giuramenti

« Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio si è obbligati. Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta? Ebbene, chi giura per l'altare, giura per l'altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l'abita. E chi giura per il Cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso. »

Gesù sta parlando dei voti fatti con giuramento. Per sciogliere i voti pronunciati imprudentemente, i rabbini ricorrevano a sottili argomentazioni, stravolgendo l'ordine di importanza delle cose. Gesù denuncia la fallacia di tali argomentazioni.

Quarta invettiva: le decime sugli erbaggi

« Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anéto e del cumino e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! »

« Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio e poi trasgredite la giustizia e l'amore di Dio. Queste cose bisognava curare senza trascurare le altre. »

La legge mosaica stabiliva che un decimo del raccolto annuale dei campi doveva essere prelevato e portato al Tempio, come tributo a Dio, il vero padrone della Terra di Israele (Dt 14,22 ). I farisei applicavano puntigliosamente tale precetto anche alle piante più insignificanti e, nel contempo, non si facevano scrupolo di trasgredire i comandamenti veramente importanti: giustizia, misericordia e fedeltà a Dio.

Quinta invettiva: i lavaggi rituali

« Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto! »

« Voi farisei purificate l'esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità. Stolti! Colui che ha fatto l'esterno non ha forse fatto anche l'interno? Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, ed ecco, tutto per voi sarà mondo. »

Prima di mangiare, i farisei compivano abbondanti lavacri rituali, che comprendevano le mani, le braccia fino al gomito e le stoviglie. Gesù condanna l'ipocrisia del rituale: nessun lavaggio è purificatorio, se il contenuto dei piatti e dei bicchieri è frutto di rapina e malvagità. Per purificare veramente il pranzo, quindi, bisogna rimuovere ciò che è frutto del male o trasformarlo in strumento di bene, per esempio, tramite l'elemosina. Solo a quel punto la purificazione sarà reale e non semplicemente un rito esteriore.

Sesta invettiva: i sepolcri

« Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. »

« Guai a voi perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo »

Nonostante il paragone adoperato (i sepolcri) sia il medesimo, le frasi riportate da Matteo e da Luca hanno significati diversi. In Matteo, Gesù ripropone ai farisei l'accusa di ipocrisia, di formalismo esteriore, cui fa riscontro una malvagità interiore. I sepolcri, secondo l'uso dell'epoca, venivano imbiancati in modo tale che la gente, di notte, non li toccasse inavvertitamente, contraendo quindi un'impurità. Al rischio di contrarre questa impurità si riferisce invece il paragone riferito da Luca: i farisei non sono sepolcri imbiancati, quindi visibili, ma sepolcri occulti. Con la loro dottrina essi contaminano chi viene in contatto con loro.

Settima invettiva: le tombe dei giusti

« Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!

Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l'altare. In verità vi dico, tutte queste cose ricadranno su questa generazione »

« Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi date testimonianza e approvazione alle opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite loro i sepolcri. Per questo la Sapienza di Dio ha detto: Manderò a loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno; perché sia chiesto conto a questa generazione del sangue di tutti i profeti, versato sin dall'inizio del mondo, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. »

Grandi costruzioni sepolcrali a carattere espiatorio, i mausolei, venivano innalzate in memoria dei grandi perseguitati. I dottori della legge credevano così di riparare agli errori dei loro padri, ma in realtà ammettevano implicitamente di essere i discendenti degli assassini dei profeti.

Gesù li accusa di completare l'opera dei loro padri, riferendosi alla sua prossima condanna a morte. Anche il resto del brano è una profezia. Gesù, che si identifica con la Sapienza di Dio, invierà i suoi discepoli, in veste di profeti, sapienti e scribi, a questa generazione per convertirla. I suoi inviati saranno però perseguitati e uccisi. L'uccisione di Gesù e dei suoi inviati, venuti a compiere un estremo tentativo per la redenzione dell'umanità, fa sì che anche tutti i delitti precedenti, dai più antichi ai più recenti, vadano a gravare sulla generazione che si macchierà di quest'ultima colpa.

L'ultimo delitto, infatti, consiste nel rifiuto definitivo del disegno di salvezza che Dio offre agli uomini, salvezza che li avrebbe mondati dalle colpe passate. Lo Zaccaria a cui Gesù fa riferimento è lo Zaccaria di cui si parla in 2Cr 24,20-22 [14]. Il Secondo Libro delle Cronache era l'ultimo del canone ebraico. Quindi Abele e Zaccaria simboleggiano il primo e l'ultimo dei giusti uccisi. La notazione Zaccaria, figlio di Barachìa, che troviamo in Matteo, ma non in Luca, è probabilmente la glossa di un antico copista che ha confuso lo Zaccaria del secondo libro delle Cronache con il profeta Zaccaria dell'omonimo libro (Zc 1,1 ).

Note
  1. Mt 3,7; 5,20; 9,11.14.34; 12,2.14.24.38; 15,1.12; 16,1.6.11.12; 19,3; 21,45; 22,15.34.41; 23,2.13.15.23.25.26.27.29; 27,62 ; Mc 2,16.18.24; 3,6; 7,1.3.5; 8,11.15; 10,2; 12,13 ; Lc 5,17.21.30.33; 6,2.7; 7,30.36.37.39; 11,37.38.39.42.43.53; 12,1; 13,31; 14,1.3; 15,2; 16,14; 17,20; 18,10.11; 19,39 ; Gv 1,24; 3,1; 4,1; 7,32.45.47.48; 8,3.13; 9,13.15.16.40; 11,46.47.57; 12,19.42; 18,3 ; At 5,34; 15,5; 23,6.7.8.9; 26,5 ; Fil 3,5 .
  2. Giuseppe Ricciotti (1950) 1043. Ricciotti afferma che i passi di Giuseppe Flavio che si riferiscono ai farisei furono raccolti da Benedictus Niese.
  3. 3,0 3,1 3,2 3,3 3,4 Giuseppe Ricciotti (1950) 1041.
  4. Roger Le Déaut (1988) 128.
  5. Thomas Walter Manson, Sadducei e farisei, l'origine e significato dei nomi, in Bulletin of the John Rylands University Library 22:144-59, ipotizza che il nome sia una trasposizione di "persiani", in riferimento all'influenza di concezioni iraniane su qualcuna delle loro dottrine. Un'altra spiegazione collega il termine con la parola parash, "dividere", da cui "spiegare, interpretare la Scrittura". Secondo Roger Le Déaut (1988) 128, che riporta queste interpretazioni, esse sarebbero però meno probabili di quelle esposte nel testo.
  6. Alessandra regnò per nove anni dopo la morte del marito.
  7. Guerre giudaiche II, 8,14: § 162-166; Antichità Giudaiche XIII, 5, 9: § 171-173; XIII, 10, 6: § 297-298; XVIII, 1, 3: § 12-17.
  8. 8,0 8,1 Roger Le Déaut (1988) 132.
  9. Pirque Aboth 1, 1.
  10. 17,23-18,9.
  11. Citato in Roger Le Déaut (1988) 133.
  12. Secondo Giuseppe Flavio. Nella sua presentazione sembra che questi descriva i farisei secondo i tratti degli stoici.
  13. Roger Le Déaut (1988) 133.
  14. Zaccaria, figlio del sommo sacerdote Joiada e che fiorì ai tempi di Joas (Gioas re di Giuda). Morto che fu Joiada, a cui Joas doveva la sua elevazione al trono, il re seguì il partito idolatrico dei maggiorenti del regno e poiché Zaccaria si opponeva rimproverando al popolo la sua infedeltà, fu lapidato con la complicità del re nell'atrio stesso del tempio di Gerusalemme.
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni