Deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro (Rogier van der Weyden)
Rogier van der Weyden, Deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro (1460 ca.), olio su tavola | |
Compianto su Gesù Cristo morto | |
Opera d'arte | |
Stato | |
Regione | Toscana |
Regione ecclesiastica | Toscana |
Provincia | Firenze |
Comune | |
Diocesi | Firenze |
Ubicazione specifica | Galleria degli Uffizi |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Firenze |
Luogo di provenienza | Villa Medicea di Careggi, cappella |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro |
Datazione | 1460 ca. |
Ambito culturale | ambito fiammingo |
Autore |
Rogier van der Weyden (Rogier de la Pasture) |
Altre attribuzioni | Albrecht Dürer, Antonio Solario |
Materia e tecnica | olio su tavola |
Misure | h. 111 cm; l. 96 cm |
|
La Deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro, detta anche Compianto su Gesù Cristo morto, è un dipinto, eseguito nel 1460 circa, ad olio su tavola, dal pittore fiammingo Rogier de la Pasture detto Rogier van der Weyden (1399 ca. - 1464), proveniente dalla cappella della Villa Medicea di Careggi presso Firenze ed attualmente conservato nella Galleria degli Uffizi della medesima città.
Descrizione
Ambientazione
La scena, ambientata davanti all'apertura rettangolare del sepolcro, è inserita un paesaggio ridente di una serena giornata inondata da un sole cristallino che vuole prefigurare la resurrezione.
In primo piano, si nota un prato descritto minutamente, mentre dietro la roccia spunta in lontananza l'altura del Golgota con le tre croci. Il borgo murato, che appare all'orizzonte, con case in stile nordico minutamente descritte, allude a Gerusalemme.
Soggetto
Nel dipinto compaiono:
- al centro:
- Gesù Cristo morto, appena deposto dalla croce, è avvolto nel sudario con i piedi che poggiano sopra la lastra in pietra. Il suo corpo viene sorretto da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo che lo mostrano all'osservatore (fedele) frontalmente con le braccia aperte come se fosse in croce.
- Giuseppe di Arimatea, riccamente abbigliato, calvo e barbuto.
- Nicodemo, anche lui riccamente abbigliato, con lo sguardo rivolto allo spettatore.[1]
- ai lati:
- a sinistra, Maria Vergine con un velo di un bianco sul capo, straziata dal dolore, solleva insieme all'apostolo le braccia di Gesù, ricreando la sua posizione sulla croce;
- a destra, San Giovanni apostolo, piangente, vestito con tunica e mantello rossi.
- in basso: Santa Maria Maddalena, inginocchiata a terra, apre le braccia vinta dal dolore. Sul prato, accanto alla santa, è posato il consueto attributo iconografico del vasetto degli unguenti.
- in alto, a sinistra: Due pie donne, stanno avanzando, lungo il sentiero, verso il sepolcro: queste sono le stesse che tre giorni dopo scopriranno il sepolcro vuoto, abbandonato da Gesù Cristo risorto.
Inoltre, nella scena sono presenti alcuni dettagli, resi con grande cura, di valore simbolico, collocati sul prato in primo piano:
- bastone fra due pietre;
- pisside.
Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche
- L'evento della storia sacra è rappresentato in modo solenne e questo è un tratto tipico del pittore, che lo distingue dal suo maestro Robert Campin (1378 ca. - 1444): la scena campeggia in primo piano, il paesaggio è solo un contenitore prospettico, quasi fosse una quinta di teatro: l'elemento chiave, che accoglie tutta la scena, è il sepolcro monumentale con la lastra tombale fortemente scorciata su cui poggiano i piedi di Cristo e di san Giovanni.
- La composizione pittorica s'ispira chiaramente alla Deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro (1438 - 1443), dipinto da Beato Angelico nello scomparto centrale della predella - oggi conservato alla Alte Pinakothek di Monaco[2] - per la Pala di San Marco, commissionata da Cosimo il Vecchio. L'artista potrebbe aver visto l'opera dell'Angelico in occasione di una sosta a Firenze, durante il soggiorno effettuato in Italia per il Giubileo del 1450, come è documentato nel De viris illustribus (1453 - 1457) di Bartolomeo Fazio.[3] Per il pittore fiammingo era però difficile seguire la composizione ordinata e solenne dell'Angelico, costituita di pause con una suddivisione ordinata dei piani, perché questo avrebbe significato rompere con la propria visione stilistica. La scena, infatti, è più affollata e complessa, con un gruppo posto a cerchio attorno a Gesù, sbilanciato dall'asse diagonale che va dalla figura di santa Maria Maddalena a quella di san Giovanni tramite la pietra sepolcrale. Perpendicolare a questa si contrappone l'immagine di Cristo, leggermente inclinato di lato. Il punto di vista e la linea dell'orizzonte sono più alti, secondo la visione "avvolgente" dei fiamminghi, le linee sono ritmicamente spezzate e gli sguardi più angosciati. Questi elementi rendono l'osservatore più partecipe, anche dal punto di vista emotivo. I colori sono più accesi e forti, la luce più brillante, grazie anche alla tecnica a olio, all'epoca poco conosciuta in Italia. Alla sintesi tipicamente italiana dell'Angelico si contrappone poi la resa minuziosa e lenticolare dei dettagli, dal nitido paesaggio, alle erbette che crescono sulla roccia o alla staccionata di legno.[4]
Notizie storico-critiche
Il dipinto è probabilmente la "tavola d'altare [... con] el sepolcro del Nostro signore [...] e cinque altre figure" menzionata sia nell'inventario dei beni di Lorenzo il Magnifico del 1492, sia ne Le Vite del Vasari (1568),[5] collocata nella cappella della villa medicea di Careggi, dove rimase fino al XVII secolo, quando il cardinale Carlo de' Medici (1595 - 1666), divenuto usufruttuario della casa, la trasferì nella propria residenza in città, il Casino Mediceo in piazza San Marco. Dopo la morte del cardinale nel 1666, il dipinto entrò nella raccolta conservata alla Galleria degli Uffizi con l'attribuzione ad Albrecht Dürer. Nel 1822 venne ascritto ad Antonio Solario, mentre successivamente è sempre stato riconosciuto come opera di Rogier van der Weyden.
La tavola potrebbe essere stata commissionata da Cosimo il Vecchio (1389 - 1464) o da suo figlio Piero il Gottoso (1416 - 1469) in occasione dei lavori di ristrutturazione approntati dai Medici alla villa di Careggi intorno al 1460.
Rogier van der Weyden, che era già considerato il più grande pittore fiammingo vivente, secondo alcuni studiosi eseguì l'opera nel suo paese, le Fiandre, mentre per altri quando venne in Italia per il Giubileo del 1450.
L'opera esposta a Firenze, nelle collezioni medicee, dovette suscitare sin da subito grande scalpore tanto da divenire un modello per vari artisti fiorentini della seconda metà del Quattrocento, fra i quali si ricordano: Domenico Ghirlandaio, Leonardo, Monte di Giovanni, Bartolomeo di Giovanni, Raffaellino del Garbo e Michelangelo.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
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