Olocausto rosso
Olocausto rosso si riferisce agli stermini commessi da dittature comuniste, che sono crimini contro l'umanità attuati mediante terrorismo di Stato comunista da tutti gli Stati comunisti.[1][2] Secondo varie fonti ben documentate da molti libri, come Arcipelago Gulag, Il libro nero del comunismo, Il libro nero del comunismo europeo, Il costo umano del comunismo, Nubi nere s'addensano, Laogai-i gulag di Mao Tze Dong, le persone massacrate soltanto in Cina e Unione Sovietica sono oltre 100.000.000 valutando stime diverse secondo le categorie umane considerate.[3] Gli storici definiscono genericamente tali regimi come dittature, ma specificatamente, distinguono tra totalitarismo e autocrazia. Gli studiosi ritengono che le politiche dei governi e gli errori nella gestione portarono a questi eccidi e, sulla base di tale conclusione, tutti questi massacri sono nelle categorie: omicidi di massa, democidio, politicidio, classicidio e genocidio. Notevole è il numero di persone del clero assassinate dai comunisti nel mondo: presbiteri e religiosi delle varie Chiese cristiane, ma in particolare cattolici, nonché tanti membri ecclesiastici di altre religioni. Di genocidio si documenta per Cina, Unione Sovietica, Iugoslavia, Cambogia, Vietnam, Corea del nord, mentre per altre dittature si tratta di eccidi. I maggiori sterminatori furono: Mao Tse Tung, Stalin, Lenin, Pol Pot, Josip Broz Tito, Kim Il Sung, Ho Chi Minh, Fidel Castro considerando le dimensioni numeriche delle popolazioni nei Paesi di tali dittatori.[4]
Terminologia
L'espressione "Olocausto rosso" fu usata prima da giornalisti poi da storici diventando una definizione storiografica: lo storico tedesco Horst Möller pubblicò Der rote Holocaust und die Deutschen in lingua tedesca nel 1999, poi lo storico statunitense Steven Rosefielde pubblicò un libro su questo argomento dal titolo Red Holocaust in inglese nel 2010.[5] [6]
Regimi comunisti
Si riferisce a quei paesi che hanno dichiarato di essere stati socialisti di tipo leninista, stalinista, maoista o marxista: in altre parole, stati comunisti, a un certo punto della loro storia.
Gli studiosi utilizzano diversi termini per descrivere gli omicidi intenzionali di un gran numero di non combattenti. I seguenti termini sono stati usati per descrivere crimini da parte dei governi comunisti.
Genocidio
Secondo la Convenzione sul Genocidio, il crimine di genocidio non si applica alle uccisioni di massa e sociali di gruppi politici. Difatti la protezione dei gruppi politici è stata eliminata dalla risoluzione delle Nazioni Unite dopo una seconda votazione, perché molti Stati, come l'URSS di Stalin, prevedono che la clausola di applicare limitazioni impedisce il loro diritto di sopprimere i disordini interni[7][8]
Politicidio
Il termine "politicidio" è usato per descrivere l'uccisione di gruppi politici o economici che altrimenti sarebbero coperti dalla Convenzione sul genocidio. Manus Midlarsky usa il termine "politicidio" per descrivere un arco di uccisioni di massa dall'Unione Sovietica, alla Cina e Cambogia. Nel suo libro La trappola letale: il genocidio nel ventesimo secolo, Midlarsky solleva analogie tra i delitti di Stalin e Pol Pot[9].
Democidio
Rudolph Joseph Rummel ha coniato il termine "democidio", che comprende genocidio, politicidio e omicidio di massa. Helen Fein ha definito le uccisioni di massa di Stato in Unione Sovietica e Cambogia come "genocidio e democidio." Frank Wayman e Atsushi Tago hanno evidenziato il significato della terminologia che, a seconda dell'uso di democidio (genericamente trattasi di uccisione di Stato) o politicidio (eliminanzione dei gruppi che sono politicamente opposti), adottano un criterio per l'inclusione in un set di dati, analisi statistiche cercando di stabilire un collegamento tra le uccisioni di massa in grado di produrre risultati molto diversi, tra cui l'importanza o meno del tipo di regime.
Crimine contro l'umanità
Jacques Semelin e Michael Mann[10] ritengono che "crimine contro l'umanità" è più appropriato di genocidio o politicidio quando si parla di violenza da parte di regimi comunisti.[11]
Michael Mann ha proposto il termine "classicidio" per indicare "l'abbattimento d'intere classi sociali".
Stephen Wheatcroft scrive che, nel caso dell'Unione Sovietica, termini come "il terrore", "le purghe" e "repressione" si riferiscono agli stessi eventi e ritiene termini giusti "repressione" e "uccisioni di massa".
Uccisione di massa
Questo termine è stato definito da Benjamin Valentino come "l'uccisione intenzionale di un notevole numero di non combattenti", quando "un numero enorme" è almeno 50.000 morti nel corso di cinque anni o meno. Egli applica questa definizione per i casi dell'URSS di Stalin, Cina di Mao e Cambogia sotto i Khmer Rossi, pur ammettendo che le uccisioni di massa su scala minore sono state effettuate dai regimi in Nord Corea, Vietnam, Europa dell'est e Africa.
Olocausto comunista
Il Congresso degli Stati Uniti ha definito tutte le uccisioni di massa "un olocausto senza precedenti del comunismo imperialista" mentre la Memorial Foundation di vittime del comunismo, istituita dal Congresso degli Stati Uniti, si riferisce a questo tema come "olocausto comunista".
Cause degli stermini
La teoria di Rudolph Joseph Rummel propone il comunismo come un fattore scatenante di stermini. Klas-Göran Karlsson scrive che "Le ideologie sono sistemi di idee, che non possono commettere reati in modo indipendente. Tuttavia, gli individui, partiti e Stati che si sono definiti comunisti, hanno commesso crimini in nome dell'ideologia comunista, ossia il comunismo è fonte diretta di motivazione per i loro crimini. "Secondo Rummel, gli stermini fatti da regimi comunisti possono essere spiegati con il connubio tra il potere assoluto e un'ideologia assolutista -marxista.
Secondo Rummel "Di tutte le religioni, laiche e non, il marxismo è di gran lunga più sanguinosa della inquisizione cattolica, crociate varie e guerra dei trent'anni tra cattolici e protestanti. In pratica, il marxismo ha fatto terrorismo sanguinario, mortali purghe, campi di prigionia e letale lavoro forzato, deportazioni mortali, carestie artificiali, esecuzioni sommarie e processi-farsa fraudolenti, sterminio e genocidio." Egli scrive che, in pratica, i marxisti vedono la costruzione della loro utopia, come "una guerra alla povertà, sfruttamento, imperialismo e le disuguaglianze e, come in una guerra vera, i non combattenti sono catturati in battaglia, quindi le vittime sono necessari nemici: il clero, i borghesi, capitalisti, sabotatori intellettuali, controrivoluzionari, elementi di destra, i tiranni, i ricchi e i padroni di casa. Come in una guerra reale, milioni devono morire, ma questi morti sono giustificati dallo scopo, come nella sconfitta di Hitler nella seconda guerra mondiale. Per i marxisti al potere, l'obiettivo di un'utopia comunista era sufficiente a giustificare tutte le morti."
Nel suo libro Olocausto rosso, Steven Rosefielde sostiene le contraddizioni interne del comunismo che ha causato la carneficina di circa sessanta milioni di persone, e forse decine di milioni di più, e che questo Olocausto in tempo di pace e altri crimini contro l'umanità perpetrati dai leader comunisti come Stalin, Kim Il Sung, Mao Tse-tung, Ho Chi Minh e Pol Pot, devono essere il fulcro di ogni valutazione del comunismo. Egli afferma che i despoti di cui sopra sono collettivamente colpevoli di olocausto.
Robert Conquest ha sottolineato che le purghe di Stalin non erano contrarie ai principi del leninismo, ma piuttosto, una conseguenza naturale del sistema istituito da Lenin, che ha personalmente ordinato l'uccisione del nemico di classe. Alexander Yakovlev, architetto della perestrojka e glasnost e poi capo della Commissione presidenziale per le vittime della repressione politica, elabora su questo punto, affermando che La verità è che nella repressione Stalin ereditò il sistema che c'era sotto Lenin: le esecuzioni, familiari di oppositori politici tenuti in ostaggio, campi di concentramento e tutto il resto. Lo storico Robert Gellately concorda, dicendo: "In altre parole, Stalin ha avviato ben poco che Lenin non aveva già introdotto o visualizzato in anteprima; Lenin disse ai suoi colleghi di governo bolscevico: "Se non siamo pronti a sparare a un sabotatore e guardie bianche, che tipo di rivoluzione è?"
Anne Applebaum afferma che, senza eccezioni, la credenza leninista del partito-stato era ed è caratteristica di ogni regime comunista e il bolscevico uso della violenza: è stato ripetuto in ogni rivoluzione comunista secondo la teoria di Lenin e Felix Dzerzhinsky fondatore della Ceka[12]; fa notare che ancora nel 1976, Mengistu Haile Mariam scatenò un Terrore Rosso in Etiopia.
Lo storico letterario George Watson vedeva il socialismo come conservatore, una reazione contro il liberalismo e il tentativo di ritorno all'antica gerarchia. Egli afferma che gli scritti di Friedrich Engels e altri mostrano che "la teoria marxista della storia richiede il genocidio per motivi impliciti nella sua pretesa che il feudalesimo, che nelle nazioni avanzate già dava luogo al capitalismo, deve a sua volta essere sostituito dal socialismo. Dopo la rivoluzione dei lavoratori, i padroni erano residui feudali in epoca socialista e, poiché non potevano avanzare di due passi alla volta, dovevano essere uccisi. Erano spazzatura razziale, come Engels li chiamava e servire solo per il letamaio della storia. Daniel Goldhagen, Richard Pipes e John N. Gray hanno scritto teorie sul ruolo del comunismo in libri per un pubblico popolare. Eric D. Weitz dice che "l'uccisione di massa negli stati comunisti è una naturale conseguenza del fallimento dello Stato di diritto conosciuto nel XX secolo. I genocidi sono avvenuti in periodi di grave crisi sociale, spesso generata da politiche dei regimi."
Stephen Hicks di Rockford College attribuisce la caratteristica violenza comunista all'abbandono di questi regimi dei diritti civili e il rifiuto dei valori della società civile. Hicks scrive che mentre "in pratica tutti i paesi liberal-capitalisti hanno un solido rispetto dei diritti e delle libertà che hanno reso possibile per le persone una vita fruttuosa e significativa, il comunismo ha dimostrato di essere più brutale delle peggiori dittature prima del ventesimo secolo. Ogni regime comunista è diventato dittatura e ha iniziato l'uccisione di persone su una scala enorme."
Nel libro nero del comunismo Courtois sostiene un'associazione tra comunismo e criminalità: "regimi comunisti...sterminio adottato come vera e completo sistema di governo" e dice che questa criminalità è al livello di ideologia piuttosto che pratica di Stato.
Lo storico Benjamin Valentino scrive che le strategie di uccisioni di massa sono scelte dai comunisti per espropriare economicamente un gran numero di persone. "Trasformazioni sociali di questa velocità ed entità sono state associate con un omicidio di massa per due ragioni principali: quella sociale, poiché dislocazioni di massa prodotta da tali modifiche hanno portato spesso al collasso economico, epidemie, e, cosa più importante, carestie diffuse. ...La seconda ragione è che i regimi comunisti, producendo la trasformazione radicale della società, sono stati costretti a uccisioni di massa poiché dopo i cambiamenti rivoluzionari si sono scontrati inesorabilmente con gli interessi fondamentali di larghi segmenti delle popolazioni." Michael Mann scrive: "Il maggior tasso di mortalità prodotta dai comunisti è il risultato di giganteschi errori di politica aggravati dalla faziosità, ma anche un po' di idee insensibili o vendicative delle vittime."
Secondo Jacques Semelin, "i sistemi comunisti nel ventesimo secolo hanno finito per distruggere le proprie popolazioni, non perché avevano progettato di annientarle come tali, ma perché volti a ristrutturare il corpo sociale da cima a fondo, anche se ciò significava massacri." Alcuni sostenitori della fede religiosa sostengono che le uccisioni sono state, almeno in parte, il risultato di un indebolimento della fede e lo scatenamento dei valori radicali dell'Illuminismo europeo sul mondo moderno, ossia il crollo dell'impulso religioso in Europa all'inizio del XX secolo ha lasciato un vuoto che è stato riempito da politici avidi di potere sotto la bandiera delle ideologie totalitarie.
Lo studioso John M. Thompson descrive il sistema di terrore sviluppato durante il potere di Stalin come "sconcertante"; egli pone il salasso comunista in Unione Sovietica negli anni 30 in funzione della personalità di Stalin - in particolare sostenendo che "molto di ciò che si è verificato deriva dalla mentalità disturbata, la crudeltà patologica e la paranoia estrema di Stalin: insicuro e sospettoso, nonostante avesse instaurato una dittatura sul partito e sul Paese, ostile e rabbioso di fronte alle critiche." Lo storico americano Helen Rappaport descrive Nikolay Yezhov, il burocrate dirigente della NKVD[13] durante la Grande Purga, come una figura di "intelligenza limitata e "politico fallito. ...Come altri istigatori di omicidi di massa nel corso della storia, egli compensava la sua mancanza di statura fisica con una crudeltà patologica e l'uso del terrore brutale."
Confronto con altri stermini
Daniel Goldhagen afferma che nel XX secolo i regimi comunisti "hanno ucciso più persone di qualsiasi tipo di altro regime." Altri studiosi nel campo degli studi comunisti e studi di genocidio, come Steven Rosefielde, Benjamin Valentino e Rudolph Joseph Rummel, sono venuti a conclusioni simili. Rosefielde afferma che è possibile che l'"Olocausto rosso" ha ucciso più non-combattenti che la Shoah e "Olocausto asiatico" fatto dal Giappone messi assieme, inoltre era almeno altrettanto efferato.
Persecuzione dei cristiani
Il clero e i fedeli delle varie confessioni cristiane sono sempre stati perseguitati e brutalmente massacrati dai seguaci del comunismo negli Stati dove i comunisti hanno preso il potere politico. Negli Stati dove i comunisti non sono riusciti a imporre la loro dittatura atea e non credente, cristiani e cattolici in particolare sono stati vittime di attentati e omicidi efferati. Tali vittime, dei massacri attuati dai comunisti, sono considerate martiri della Chiesa quindi molti di loro sono stati poi beatificati e santificati.
Stati comunisti
La persecuzione dei cristiani è stata una costante negli Stati comunisti, iniziando dalla Russia nel 1917 per proseguire, dopo la Seconda guerra mondiale, in molti paesi dietro la cortina di ferro. Ai cristiani di quei paesi, costretti alla clandestinità, si usava riferirsi con l'espressione Chiesa del silenzio.
Nikolaj Bucharin (1888 - 1938) nella sua opera L'ABC del comunismo (1919) dichiarò che "la religione e il comunismo sono incompatibili sia in teoria che in pratica"[14]. Nel 1931 a Mosca la Cattedrale di Cristo Salvatore, la più grande chiesa ortodossa mai costruita, venne deliberatamente distrutta. Nella Russia sovietica, l'aperta persecuzione contro i cristiani proseguì per buona parte degli anni trenta e si tradusse in numerose uccisioni, torture e deportazioni. Oltre a confiscare i beni ecclesiastici e a chiudere le chiese per convertirle in musei antireligiosi, le autorità tentarono inoltre di guidare un movimento modernista denominato "chiesa vivente", che non trovò però seguito presso la popolazione[15].
Già nei primi anni con Lev Trockij, commissario del popolo alla Guerra e membro del Politburo furono assassinati 28 vescovi e 1 200 sacerdoti[16]. Nel 1922 Lenin, a capo dello Stato sovietico, approfittando di una terribile carestia che colpì il paese, incrementò la persecuzione contro la Chiesa russa ordinando la confisca di tutti i suoi beni. Ottomila religiosi furono uccisi, migliaia tra vescovi e sacerdoti furono imprigionati ed esiliati senza contare il numero dei fedeli morti mentre difendevano gli oggetti consacrati. Il governo sovietico pose il patriarca di Mosca, Belavin Tichon, agli arresti domiciliari e venne dichiarato decaduto il patriarcato. La persecuzione contro la chiesa con Stalin, successore di Lenin, si fece ancora più accanita[17].
Nel pieno delle persecuzioni, Pio XI nell'enciclica Divini Redemptoris del 1937 definì il comunismo come un "flagello satanico" che "mira a capovolgere l'ordinamento sociale e a scalzare gli stessi fondamenti della civiltà cristiana" facendo precipitare le nazioni in una barbarie "peggiore di quella in cui ancora giaceva la maggior parte del mondo all'apparire del Redentore". Fu anche emanata la scomunica ai comunisti.
Con il tempo, soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale, la dirigenza sovietica prese però atto della persistenza della religione, comunque considerata un nemico dichiarato, e scese a compromessi, concedendo ai fedeli un proprio spazio di libertà, sia pure molto ristretto e soggetto a pressioni[15].
Tirando le somme si può affermare che la repressione della Chiesa ortodossa in Unione Sovietica nonché persecuzione contro i cristiani tutti è stata violentissima, considerando lo stato ateo dal 1917 al 1992. Secondo alcune fonti[18][19] 50 000 religiosi sono stati uccisi, molti dei quali torturati in modo brutale e mandati nei gulag durante i governi di Lenin e Stalin. Quasi tutti i seminari vennero chiusi, fu vietata ogni pubblicazione religiosa, abolito l'insegnamento religioso nelle scuole, e nel 1922 vennero proibiti i canti e le celebrazioni religiose perfino all'interno delle abitazioni private.
La persecuzione nei confronti dei cristiani e delle altre religioni venne portata avanti con metodi più o meno brutali ma in modo sistematico anche in tutti gli altri paesi governati dai regimi comunisti che proclamavano l'ateismo di stato[20]. I comunisti iugoslavi massacrarono in massa molti preti: tra questi i Martiri di Široki Brijeg e altri cinquanta nei massacri delle foibe, compreso Francesco Bonifacio;[21] secondo il cardinale Alojzije Viktor Stepinac, perseguitato e imprigionato, furono trucidati tra i 260 e 270 sacerdoti, inoltre furono chiuse le scuole cattoliche, espropriate le proprietà della Chiesa, requisite le tipografie e violata la libertà di stampa, aggrediti i vescovi ed eliminata la religione dall'insegnamento ufficiale delle scuole.[22] La persecuzione antireligiosa nella Romania comunista colpì le varie confessioni cristiane come la ortodossa e la cattolica, oltre quella ebraica. In Polonia Jerzy Popiełuszko fu assassinato nel 1984 e la notizia del suo assassinio scatenò un tumulto popolare; in Ungheria il cardinale József Mindszenty fu arrestato due volte: nel 1919 e nel 1948 quando fu pure torturato. Ancora oggi, nei paesi che si proclamano comunisti e dove vige l'ateismo, i cristiani subiscono discriminazioni e violenze a causa del loro credo[23].
Nella Repubblica popolare cinese i cristiani sono sempre perseguitati da quando tale Stato comunista fu istituito: tutte le confessioni sono viste come una minaccia pericolosa al mantenimento del potere da parte del regime, che tollera solo autorità clericali controllate e sottomesse alle leggi vessatorie dello Stato. Cattolici, protestanti, ortodossi, testimoni di Geova e altri non possono manifestare liberamente il loro credo religioso.[24][25]
Nella Repubblica Popolare Democratica di Corea non sono ammesse religioni sebbene le religioni in Corea del Nord abbiano avuto un ruolo storicamente importante nel paese.[26] I cristiani tentano di svolgere un'attività clandestina, ma il rischio di essere individuati, arrestati, torturati e giustiziati è notevole poiché la persecuzione è strutturata su un controllo capillare dei cittadini tramite polizia e forze militari. Coloro che possiedono una Bibbia sono giustiziati, spesso con esecuzioni pubbliche a prescindere dal fatto che siano cristiani oppure no, infatti accurate ricerche e studi statistici dimostrano che questo Stato comunista perseguita i cristiani più di tutti gli altri Stati del mondo, considerando i primi tre lustri di questo secolo.[27][28]
In Spagna
In Spagna, durante la guerra civile spagnola, i comunisti spagnoli e sovietici trucidarono migliaia di preti, suore e semplici credenti, che sono ricordati e commemorati come Martiri della guerra civile spagnola: tra questi figurano dodici vescovi.[29]La Chiesa cattolica poi, di tali Martiri, rese 2056 Beati e 11 Santi tra il 1987 e il 2022.[30]
In Italia
In Italia, dopo la fine della seconda guerra mondiale, negli anni quaranta del secolo scorso vi fu la strage dei preti perpetrata da comunisti, che volevano imporre una dittatura marxista: il sacerdote e storico imolese Mino Martelli calcolò in 110 il numero complessivo di delitti[31].
Il parroco Umberto Pessina venne ucciso nella sua parrocchia in San Martino di Correggio (Italia) nel 18 giugno 1946; il vescovo di Reggio Emilia, Beniamino Socche scrisse nel suo diario: la salma di don Pessina era ancora per terra; la baciai, mi inginocchiai e domandai aiuto per partire con tutta la forza che la Santa Chiesa dà nelle mani di un Vescovo... Parlai al funerale di don Pessina: naturalmente, la gente era sotto l'incubo del terrore: ma io presi la Sacra Scrittura e lessi le maledizioni di Dio per coloro che toccano i consacrati del Signore. Il giorno dopo era la festa del Corpus Domini; alla processione in città partecipò una moltitudine e tenni il mio discorso, quello che fece cessare tutti gli assassinii. "Io - dissi - farò noto a tutti i Vescovi del mondo il regime di terrore che il comunismo ha creato in Italia.[32]
Nei giorni 4,5,6 marzo 1946 in Andria militanti comunisti massacrarono otto persone. Nella strage di Andria furono trucidati tre carabinieri, tre civili e le due sorelle Porro, che erano cattoliche praticanti e devote: tale eccidio fu un crimine sul quale gli storici hanno pubblicato diversi libri.[33]
Gli Stati dove si sono verificati stermini
Unione Sovietica
Dopo che l'Unione Sovietica si dissolse, i documenti degli archivi sovietici si sono resi disponibili: risultano ufficiali circa 800.000 prigionieri di Stalin per reati politici, circa 1,7 milioni di decessi nei gulag e 390.000 decessi durante la persecuzione dei kulaki[34] per un totale di circa 3 milioni di vittime ufficialmente registrate in queste categorie.
Le stime sul numero di morti provocati da Stalin sono oggetto di accesi dibattiti da parte di studiosi nel campo degli studi sovietici. I risultati pubblicati variano a seconda del momento in cui la stima è stata effettuata, sui criteri e i metodi utilizzati per le stime e le fonti a disposizione. Alcuni storici tentano di fare delle stime separate per diversi periodi della storia sovietica, con perdite variabili da 8 a 61 milioni. Diversi studiosi come Simon Sebag Montefiore, Alexander Nikolaevič Yakovlev e Jonathan Brent stimano circa 20 milioni. Robert Conquest, nell'ultima edizione (2007) del suo libro Il Grande Terrore, stima che, mentre il numero esatto non sarà mai certo, l'autocrate comunista dell'URSS era responsabile di non meno di 15 milioni di morti.
Secondo Stephen G. Wheatcroft, il regime di Stalin può essere accusato della "morte intenzionale" di circa un milione di persone, sebbene il numero di morti causati dal regime è stato notevolmente più elevato e forse superiore a quello di Hitler. Wheatcroft esclude tutte le morti per fame e distingue le categorie di "esecuzione" e di "omicidio". Tuttavia, alcune delle azioni del regime di Stalin, non solo quelle durante Holodomor, ma anche dekulakizzazione[34] e campagne mirate contro determinati gruppi etnici, possono essere considerate come genocidio, almeno nella sua definizione generica. Lo studioso Adam Jones sostiene che il periodo sovietico 1917-1953 è paragonabile al genocidio attuato nella Cina di Mao Tse Dong e Cambogia dei kmer rossi.
Terrore Rosso
Durante la guerra civile russa, entrambi gli eserciti scatenarono campagne di terrore (il Rosso e Bianco Terrori ). Il Terrore rosso culmina con la esecuzione sommaria di decine di migliaia di nemici del popolo effettuata dalla polizia politica, la Ceka[12]. Molti sono stati messi a morte durante e dopo la soppressione di rivolte, come la ribellione di Kronstadt[35] e la ribellione di Tambov[36]. Il professor Donald Rayfield sostiene che la repressione che seguì la ribellione di Kronstadt e Tambov portò a decine di migliaia di esecuzioni capitali. Un gran numero di religiosi ortodossi furono uccisi.
Secondo Nicolas Werth la politica contro i cosacchi[37] intendeva "eliminare, sterminare e deportare la popolazione di un intero territorio". Nei primi mesi del 1919, da 10.000 a 12.000 cosacchi furono giustiziati e molti altri deportati dopo che i loro villaggi furono rasi al suolo.
Grandi purghe
Stalin tentò di consolidare la sua posizione come leader dell'Unione Sovietica, portando ad una escalation di arresti ed esecuzioni di molte persone, culminante nel 1937-1938 (periodo a volte indicato come "Yezhovshchina" o epoca di Yezhov[38]) e continuò fino a quando Stalin morì nel 1953. Circa 700.000 vittime sono state uccise da un colpo di pistola alla nuca, altre persone morirono dopo pestaggi e torture, mentre in "custodia investigativa" e nei Gulag morirono a causa di fame, malattie, freddo e super-lavoro.
Gli arresti furono eseguiti secondo leggi contro-rivoluzionarie, che non prevedevano una denuncia. Nei casi esaminati dalla Sicurezza di Stato Dipartimento dell'NKVD[13] (GUGB[39] NKVD[13]) nel periodo ottobre 1936 - novembre 1938, almeno 1.710.000 persone furono arrestate e 724.000 giustiziate.
A Vynnytsa in Ucraina nel giugno 1943 fosse comuni risalenti al 1937-1938 furono aperte e centinaia di corpi riesumati per l'identificazione da parte di familiari.
Per quanto riguarda la persecuzione del clero, Michael Ellman ha dichiarato che ...il 1937-1938 l'uso del terrore contro il clero della Chiesa russa ortodossa e di altri potrebbe anche qualificarsi come genocidio". Citando documenti ecclesiastici, Alexander Nikolaevič Yakovlev ha stimato che oltre 100.000 presbiteri e religiosi sono stati assasinati durante questo periodo.
Gli ex kulaki[34] e le loro famiglie costituivano la maggior parte delle vittime, con 669.929 persone arrestate e 376.202 giustiziate.
Le operazioni nazionali del NKVD
Nel 1930, la NKVD[13] condusse una serie di operazioni nazionali, che miravano contro alcuni "partiti nazionali" sospettati di attività contro-rivoluzionaria. Un totale di 350.000 furono arrestati e 247.157 giustiziati. Di questi, molti erano membri della Polska Organizacja Wojskowa[40]: 140.000 arresti e 111.000 esecuzioni. Anche se queste operazioni potrebbero costituire un genocidio come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite, o "un mini-genocidio", secondo Montefiore, non vi è ancora alcuna pronuncia autorevole sulla qualificazione giuridica di questi eventi.
Interessante notare che le stesse fonti sovietiche riportano i grandi massacri poiché in un incontro con Winston Churchill, durante la seconda guerra mondiale, Stalin confidò al capo di Governo britannico che negli anni precedenti aveva fatto fuori 10 milioni di kulaki: tale dichiarazione è riportata nel libro di memorie dello statista britannico.
Grandi purghe in Mongolia
Nell'estate e nell'autunno del 1937, Stalin inviò agenti NKVD[13] nella Repubblica popolare mongola per una grande repressione terroristica: tra 22.000 e 35.000 persone furono uccise. Circa 18.000 vittime erano buddiste lamaiste.
Stermini sovietici durante la seconda guerra mondiale
Sterminio della sovietica NKVD[13] a Leopoli[41], giugno 1941. Nel settembre del 1939, in seguito all'invasione sovietica della Polonia, forze speciali NKVD[13] iniziarono lo sterminio di "elementi ostili" nei territori conquistati. La NKVD[13] praticava sistematicamente la tortura, che spesso portava alla morte.
Lo sterminio più famigerato si è verificato nella primavera del 1940, quando l'NKVD[13] massacrò 21.857 prigionieri di guerra e intellettuali dirigenti polacchi in quello che è diventato noto come il massacro di Katyn[42]. Secondo l'Istituto polacco della memoria nazionale, 150.000 cittadini polacchi sono morti a causa della repressione sovietica durante la guerra.
Le esecuzioni sono state effettuate anche dopo l'annessione degli Stati prebaltici e durante le fasi iniziali dell'Operazione Barbarossa: l'NKVD[13] e unità allegate dell'Armata Rossa[43]. massacrarono prigionieri e oppositori politici a decine di migliaia prima di fuggire dall'avanzare delle forze dell'Asse[44].
Carestia sovietica del 1932-1933
All'interno dell'Unione Sovietica, i cambiamenti forzati nelle politiche agricole (collettivizzazione) e la siccità hanno causato la carestia sovietica del 1932-1933. La carestia è stata più grave in Ucraina, dove è chiamata Holodomor. Una parte significativa delle vittime della carestia (3-3.500.000) sono stati gli ucraini, mentre il numero totale delle vittime in Unione Sovietica è stimato in 6-8 milioni di persone.
Alcuni studiosi hanno sostenuto che le politiche staliniste che hanno causato la carestia potrebbero essere state concepite come un attacco contro l'ascesa del nazionalismo ucraino quindi può rientrare nella definizione legale di genocidio (vedere la questione del genocidio Holodomor). L'economista Michael Ellman sostiene che le azioni del regime sovietico (1930-1934) costituiscono "una serie di crimini contro l'umanità." Benjamin Valentino osserva che ci sono forti prove che i sovietici usarono la fame come arma per schiacciare la resistenza contadina alla collettivizzazione e che decessi associati a questi tipi di politiche soddisfano i criteri per l'uccisione di massa. Timothy Snyder, professore di Storia alla Yale University, afferma che nel 1933 Joseph Stalin fece deliberatamente morire di fame in Ucraina attraverso una campagna di requisizioni senza cuore che ha cominciato l'era degli stermini in Europa.
Il governo ucraino di Yuschenko (2004-2010) ha cercato di rendere il mondo consapevole del fatto che la carestia fu un genocidio, una situazione che è stata sostenuta da un certo numero di governi stranieri. Il governo russo ha respinto con veemenza l'idea, accusando Yuschenko di politicizzazione della tragedia nonché vera e propria propaganda con falsificazione di documenti. Nel 2010 il presidente ucraino Yanukovich ha invertito le politiche su Holodomor e attualmente, sia l'Ucraina che la Russia, considerano Holodomor una tragedia comune a ucraini e popolo russo, causata dal regime totalitario di Stalin, piuttosto che un atto deliberato di genocidio che mirava contro gli ucraini. In un progetto di risoluzione, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha dichiarato che la carestia è stata causata da deliberati atti crudeli e politiche del regime sovietico responsabile della morte di milioni di persone innocenti in Ucraina, Bielorussia, Kazakistan, Moldavia e Russia. Rispetto alla sua popolazione, il Kazakistan ritiene di essere stato il più penalizzato. Per quanto riguarda il caso del Kazakistan, Michael Ellman afferma che sembra essere un esempio di "genocidio negligente" che non rientra nel campo di applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite. Il giornalista e autore Seamus Milne ha messo in dubbio che morti per fame debbano essere considerati equivalenti a omicidi di Stato, poiché i dati demografici utilizzati per stimare i decessi di carestia potrebbero non essere affidabili. Egli sostiene che, se così fosse, allora la Gran Bretagna avrebbe dovuto essere considerata responsabile di ben 30 milioni di morti in India per la carestia nel corso del XIX secolo. Lo storico Benjamin Valentino scrive che "Anche se non tutti i decessi per fame in questi casi sono stati intenzionali, dirigenti comunisti hanno rivolto gli effetti peggiori della fame contro i loro nemici sospetti e la fame fu usata come arma per costringere milioni di persone a conformarsi alle direttive dello stato sovietico".
Daniel Goldhagen sostiene che in alcuni casi, i morti per fame, non devono essere distinti da massacro di massa: "Ogni volta che i governi non hanno alleviato le condizioni di carestia, i dirigenti politici non hanno deciso di dire no alla morte di massa - in altre parole, hanno detto sì." Egli sostiene che la carestia fu usata o deliberatamente tollerata dai sovietici, i tedeschi, i comunisti cinesi, i britannici in Kenya, gli Hausa contro gli Ibo in Nigeria, Khmer rossi, comunisti nordcoreani, Etiopi in Eritrea, in Zimbabwe contro le regioni dell'opposizione politica e politici islamisti nel sud del Sudan e Darfur.
Pulizia etnica
Durante il regime di Stalin, il governo sovietico ha condotto una serie di espulsioni su vasta scala che ha influenzato significativamente la mappa etnica dell'URSS. Deportazioni hanno avuto luogo in condizioni estremamente difficili, spesso in vagoni bestiame, con centinaia di migliaia di deportati morti durante il percorso. Secondo alcuni esperti, in certi casi, il numero di morti per le deportazioni potrebbe essere di un morto ogni tre deportati. Per quanto riguarda la sorte dei tatari di Crimea, Amir Weiner della Stanford University scrive che tale politica potrebbe essere classificata come "pulizia etnica". Nel libro Secolo del genocidio, Lyman Legters scrive Non si può propriamente parlare di un genocidio completato, ma solo di un processo che è stato genocida nella sua potenzialità.
Repubblica popolare di Cina
Il Partito comunista cinese prese il potere in Cina nel 1949, quando la rivoluzione comunista cinese concluse una lunga e sanguinosa guerra civile tra comunisti e nazionalisti. Vi è un consenso generale tra gli storici che quando Mao Zedong prese il potere, le sue politiche delle epurazioni causarono direttamente o indirettamente la morte di decine di milioni di persone. Sulla base dell'esperienza dei Soviet, Mao considerava la violenza necessaria per realizzare una società ideale derivata dal marxismo e programmò la violenza eseguita su grande scala.
La riforma agraria e la soppressione di controrivoluzionari
Il primo sterminio in grande scala sotto Mao ha avuto luogo durante la riforma agraria e la campagna controrivoluzionaria. Nel materiale di studio ufficiale pubblicato nel 1948, Mao prevedeva che "un decimo dei contadini" (circa 50 milioni) "avrebbe dovuto essere distrutto" per facilitare la riforma agraria. Il numero effettivo di vittime durante la riforma agraria si ritiene sia stato inferiore, ma si calcola almeno un milione.
La soppressione dei controrivoluzionari fu mirata soprattutto contro ex-esponenti del Kuomintang e funzionari o intellettuali sospettati di slealtà. Almeno 712.000 persone sono state giustiziate, 1.290.000 furono imprigionate in campi di lavoro e 1,2 milioni sono stati "sottoposti a controlli in vari momenti."
Il Grande Balzo in Avanti
Benjamin Valentino dice che il Grande balzo in avanti è stata una delle cause della Grande Carestia cinese e che gli effetti peggiori della carestia sono stati guidati contro regimi nemici. Quelli etichettati come "elementi neri" (capi religiosi, anticomunisti, contadini ricchi, ecc...) in tutte le campagne precedenti sono morti nella maggioranza, in quanto è stata data la quantità più bassa nella distribuzione del cibo. In Grande carestia di Mao, lo storico Frank Dikötter scrive che "la coercizione, il terrore e la violenza sistematica sono stati il fondamento stesso del Grande Balzo in avanti e hanno causato uno degli stermini più letale della storia umana." Le sue ricerche in archivi provinciali e locali cinesi indicano il numero di morti in almeno 45 milioni e che "nella maggior parte dei casi, il partito sapeva benissimo che il proprio popolo stava morendo di fame." In un incontro segreto a Shanghai nel 1959, Mao ha organizzato la campagna per procurarsi un terzo di tutti i cereali. Egli ha detto: "quando non c'è abbastanza da mangiare le persone muoiono di fame; è meglio lasciare che la metà delle persone muoia in modo che l'altra metà possa mangiare a sazietà." Dikötter stima che almeno 2,5 milioni di persone sono state sommariamente uccise o torturate a morte in questo periodo.
La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria
I sinologi Roderick Macfarquhar e Michael Schoenhals stimano che tra 750.000 e 1,5 milioni di persone sono state uccise nelle violenze della Rivoluzione Culturale, solo nella Cina rurale. Mao diede carta bianca alle Guardie Rosse (Rivoluzione Culturale) che fecero abusi e uccisero i supposti nemici della rivoluzione. Per esempio, nell'agosto del 1966 oltre 100 insegnanti furono assassinati dai loro studenti solo nella parte occidentale di Pechino.
Genocidio in Tibet
Secondo "Il libro nero del comunismo", i comunisti cinesi effettuarono un genocidio etnico-culturale contro i tibetani. Jean-Louis Margolin afferma che lo sterminio era proporzionalmente più grande in Tibet rispetto alla Cina e che "si può legittimamente parlare di genocidio a causa dell'enorme numero di persone coinvolte."
Secondo il Dalai Lama e l'amministrazione centrale tibetana, i tibetani non sono stati solo fucilati, ma anche sono stati picchiati a morte, crocifissi, bruciati vivi, annegati, mutilati, affamati, strangolati, impiccati, bolliti vivi, sepolti vivi, squartati e decapitati.
Adam Jones, uno studioso canadese specializzato in genocidi, rileva che dopo la rivolta tibetana nel 1959, i cinesi autorizzarono la lotta contro i supposti reazionari, durante la quale "i quadri comunisti... denunciarono, torturarono e giustiziarono molti nemici del popolo". Questa "lotta" causò 92.000 morti su una popolazione di circa 6 milioni. Questi morti, sottolinea Jones, possono essere visti non solo come un genocidio, ma anche come eliticidio: "le persone prese a bersaglio rappresentavano la migliore categoria sociale e dirigente tibetana."
Iugoslavia
Le stime di genocidio perpetrato dall'autocrate Josip Broz Tito superano di molto il milione di morti e cifre inferiori sono attribuite al dittatore Slobodan Miloshevic. Broz Tito si macchiò di gravi crimini di guerra, soprattutto durante la guerra civile iugoslava degli anni 1942-1945, a danno di chi combatteva contro i partigiani comunisti, nonché di crimini contro l'umanità dopo la fine della seconda guerra mondiale. Broz Tito e Miloshevic sono pure ritenuti responsabili di multiple pulizie etniche contro tedeschi, italiani, ungheresi e albanesi.[45]
Le stesse fonti iugoslave non celavano la loro azione. Dal 1945 al 1951, 3.777.776 cittadini iugoslavi, ossia oltre un quarto dell’intera popolazione iugoslava, transitarono nelle carceri del Paese: 568.000 furono quelli eliminati fisicamente. Lo studioso statunitense Rudolph Rummel ritiene che oltre 1.072.000 iugoslavi siano stati massacrati tra il 1944 e il 1987, fra i quali molti esponenti del clero e numerosi internati nei campi di concentramento a causa di sevizie.
Cambogia
Helen Fein, uno studioso di genocidi, rileva che, sebbene i dirigenti cambogiani avessero dichiarato l'adesione a una versione esotica e agraria della dottrina comunista, l'ideologia xenofoba del regime dei Khmer Rossi assomiglia più a un fenomeno di socialismo nazionale o fascismo. Daniel Goldhagen spiega che i Khmer Rossi erano xenofobi perché credevano che il popolo Khmer era "quella gente autentica capace di costruire il comunismo vero." Il sociologo Martin Shaw ha descritto il genocidio cambogiano come "il più puro genocidio della guerra fredda".
I Killing fields sono stati una serie di siti in Cambogia dove molte persone sono state uccise e sepolte dal regime dei Khmer Rossi, durante il loro governo del paese dal 1975 al 1979, subito dopo la fine della guerra del Vietnam. Almeno 200.000 persone sono state giustiziate dai Khmer Rossi, ma le stime del numero totale di decessi dovuti a politiche dei Khmer Rossi, comprese le malattie e la fame, sono di 1,4-2,2 milioni su una popolazione di circa 7 milioni.
Kampuchea Democratica (Cambogia sotto i Khmer Rossi) ha avuto gravi disagi a causa degli effetti della guerra che ha bloccato l'attività economica. Secondo Michael Vickery, in Cambogia su una popolazione di circa 7 milioni sono morte 740.800 persone per malattie, superlavoro e repressione politica. Altre stime suggeriscono circa 1,7 milioni e il genocidio cambogiano è descritto dallo Yale University Program come "una delle peggiori tragedie umane del secolo scorso."
Craig Etcheson ricercatore del "Centro di documentazione della Cambogia" suggerisce che il bilancio delle vittime è compreso tra 2 e 2,5 milioni con una cifra "più probabile" di 2,2 milioni. Dopo 5 anni di ricerca in circa 20.000 luoghi di sepoltura, egli conclude che "queste fosse comuni contengono i resti di 1.112.829 vittime di esecuzione." In seguito al rovesciamento del regime dei Khmer Rossi, il successivo governo di coalizione, che comprendeva ex Khmer Rossi, ha ricevuto aiuto e assistenza da parte del governo degli Stati Uniti.
Steven Rosefielde sostiene che Kampuchea democratica è stato il più micidiale di tutti i regimi comunisti su base pro capite, soprattutto perché "mancava un nucleo produttivo vitale" e "non è riuscito a porre dei limiti allo sterminio."
Nel 1997 il governo cambogiano ha chiesto alle Nazioni Unite l'assistenza per organizzare un tribunale del genocidio. I giudici istruttori si sono presentati con i nomi di cinque possibili sospetti alla procura il 18 luglio 2007. Il 19 settembre 2007 Nuon Chea, secondo in comando dei Khmer rossi. e il suo più anziano sottoposto superstite sono stati accusati di crimini di guerra e crimini contro l'umanità, ma non di genocidio. Gl'imputati dovranno affrontare giudici cambogiani e stranieri al tribunale speciale del genocidio.
Bulgaria
Da 50.000 a 100.000 persone potrebbero essere state uccise in Bulgaria a partire dal 1944 come parte di collettivizzazione agricola e della repressione politica.
Germania Est
Da 80.000 a 100.000 persone potrebbero essere state uccise in Germania Orientale dal 1945 per la repressione politica da parte dell'Unione Sovietica.
Romania
Da 60.000 a 300.000 persone potrebbero essere state uccise in Romania a partire dal 1945 come parte di collettivizzazione agricola e della repressione politica.
Ungheria
Dopo la rivolta del 1956, la rappresaglia della dittatura rossa fu feroce e immediata: le stime sullo sterminio variano da 40.000 a 60.000.
Repubblica democratica popolare di Corea
Nelle sue statistiche di democidio, Rudolph Rummel stima che da 710.000 a oltre 3.500.000 persone sono state assassinate nella Repubblica Democratica di Corea dal 1948 al 1987. Steven Rosefielde sottolinea che l'Olocausto Rosso "persiste ancora in Corea del Nord" e Kim Jong "si rifiuta di abbandonare l'uccisione di massa."
Repubblica Democratica del Vietnam
Nei primi anni '50, il governo comunista nel Vietnam del Nord ha avviato una riforma agraria che, secondo Steven Rosefielde, era "volta a sterminare i nemici di classe." Le vittime furono scelte in modo arbitrario: a gruppi del 4-5 cento. La tortura fu usata su larga scala, tanto che nel 1954 Ho Chi Minh si preoccupò e la vietò. Si stima che da 50.000 a 172.000 persone perirono nelle campagne a causa della persecuzione sui supposti contadini ricchi e proprietari terrieri. Rosefielde considera stime molto più elevate che vanno da 200.000 a 900.000 e comprendono esecuzioni sommarie di membri del Partito popolare nazionale.
Repubblica democratica popolare di Etiopia
Amnesty International stima che un totale di mezzo milione di persone sono state uccise durante il Terrore Rosso del 1977 e 1978. La milizia comunista usò metodi terroristici: le persone erano ammassate in chiese che poi venivano date alle fiamme e le donne furono sottoposte allo stupro sistematico da parte dei soldati. Save the Children ha riferito che le vittime del terrore rosso furono pure bambini, stimati da 1.000 in sù, per lo più di età compresa tra gli undici e tredici anni, i cui cadaveri furono lasciati nelle strade di Addis Abeba. Mengistu stesso è sospettato di aver ucciso gli avversari politici a mani nude.
Repubblica Democratica d'Afghanistan
Anche se è spesso considerata come un esempio di genocidio comunista, la Repubblica Democratica dell'Afghanistan rappresenta un caso limite secondo Frank Wayman e Atsushi Tago. Prima dell'invasione sovietica, il Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan assassinò tra 10.000 e 27.000 persone, per lo più nella prigione Pul-e-Charkhi. Dopo l'invasione del 1979, i sovietici imposero il governo fantoccio di Babrak Karmal, ma mai fu chiaramente stabilizzato come un regime comunista ed era in uno stato costante di guerra. Nel 1987 circa l'80% del territorio del Paese fu permanentemente controllato né dal governo filo-comunista, che sosteneva le truppe sovietiche, né da parte dell'opposizione armata. Per far pendere la bilancia, l'Unione Sovietica usò una tattica che fu una combinazione politica di "terra bruciata" e "genocidio migratorio": sistematicamente bruciando i raccolti e distruggendo villaggi nelle province ribelli, così come bombardando per rappresaglia interi villaggi sospettati di ospitare o sostenere la resistenza, inoltre i sovietici cercarono di costringere la popolazione locale a passare nel territorio da loro controllato privando così l'opposizione armata di un supposto sostegno. Con il tempo i sovietici si ritirarono nel 1988: da 1 a 1,5 milioni di persone erano state massacrate, per lo più civili afghani; un terzo della popolazione dell'Afghanistan era stato spostato. Hassan Kakar ha sostenuto che "gli afghani sono tra le ultime vittime del genocidio di una superpotenza." Fosse comuni dei condannati a morte, risalenti all'epoca sovietica, sono state scoperte successivamente.
Cuba
Durante la dittatura di Fidel Castro sono tuttora numerose le denunce di rifugiati all'estero, Italia compresa, che accusano il tiranno cubano di stermini e massacri di massa. Le cifre sulle vittime ovviamente sono difficilmente valutabili poiché il regime cubano elimina sistematicamente tutte le prove e documenti che attestano le responsabilità della nomenclatura comunista. La stima più alta dei morti supera il mezzo milione: in questa cifra sono pure comprese le persone massacrate per ritorsione contro i familiari che scappano da Cuba e chiedono asilo politico all'estero perché secondo i gerarchi comunisti un dissidente è un traditore del popolo.
Processi penali
Il maggior generale Vasili Blokhin, capo boia di Stalin nel carcere di Lubjanka, personalmente trucidò migliaia di prigionieri ed è considerato da alcuni storici come il più attivo nella storia dello sterminio.
L'ex dittatore Mengistu Haile Mariam è stato condannato a morte per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità da un tribunale etiope nel 2008 per il suo ruolo nel terrore rosso mentre il più alto capo, superstite della nomenklatura dei Khmer Rossi, è stato accusato di tali crimini però mai Paese comunista o organo di governo è stato condannato per genocidio. Il diritto etiopico è differente da quello delle Nazioni Unite in quanto definisce il genocidio come l'intenzione di cancellare politicamente un popolo e non solo sopprimere certi gruppi etnici: a questo proposito si consideri la definizione di politicidio.
Secondo le leggi in Repubblica Ceca la persona che nega pubblicamente, mette in dubbio, approva o cerca di giustificare il genocidio nazista o comunista o di altri crimini dei nazisti o comunisti, sarà punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Nel mese di marzo 2005, il polacco Sejm richiese alla Russia di classificare il massacro di Katyn, l'esecuzione di oltre 21.000 polacchi prigionieri di guerra e dirigenti intellettuali da parte di Stalin e NKVD[13], come un crimine di genocidio. Alexander Savenkov della Procura Generale della Federazione Russa ha risposto: "la versione di genocidio è stata esaminata ed è mia ferma convinzione che non vi è assolutamente alcuna base per parlare di questo in atto giudiziario". Nel marzo del 2010 Memorial (associazione) invitò il presidente russo Dmitry Medvedev a denunciare il massacro come un crimine contro l'umanità. Il 26 novembre 2010 la Duma di Stato ha rilasciato una dichiarazione sul materiale d'archivio che "non svela solo l'enormità della sua tragedia orribile, ma fornisce anche la prova che il crimine di Katyn è stato commesso su ordine diretto di Stalin e altri dirigenti sovietici."
Nel mese di agosto 2007, Arnold Meri, un estone veterano dell'armata rossa e cugino dell'ex presidente estone Lennart Meri, fu accusato di genocidio da parte delle autorità estoni per la partecipazione alla deportazione degli estoni in Hiiumaa nel 1949. Il processo fu interrotto quando Meri è morto il 27 marzo 2009 all'età di 89 anni. Meri negò l'accusa dichiarandola diffamazione motivata politicamente: "Non mi considero colpevole di genocidio" affermò.
Il direttore del campo di prigione S-21 in Cambogia comunista, dove più di 14.000 persone furono torturate e uccise, per lo più nella vicina Choeung Ek, è stato processato per crimini contro l'umanità e condannato a 35 anni. La sua condanna è stata ridotta a 19 anni perché è stato dietro le sbarre per 11 anni.
Note | |
| |
Bibliografia | |
| |
Voci correlate | |
|