Origine della religione
Il problema dell'origine della religione è stato affrontato da diversi pensatori in diversi ambiti (storia, psicologia, antrolopogia, sociologia) con lo scopo di rendere conto dell'universalità del fenomeno religioso. Presupposto ricorrente delle varie ipotesi eziologiche è l'inesistenza di Dio e del soprannaturale. Tra le varie ipotesi, è stato proposto che la religione possa avere un'origine:
- cognitiva: sulla base del ricordo spiritualizzato di antenati o personaggi illustri, o sulla base di disfunzioni cognitive come la personificazione di fenomeni naturali, o di idee e sogni, o della credenza connaturale all'uomo che tutto abbia uno scopo;
- emotiva: in risposta alle emozioni (in particolare la paura) suscitate nell'uomo dalla natura e dagli eventi della vita, o come proiezione della figura paterna;
- sociale: come personificazione della società, o come strumento sociale di controllo delle classi proletarie (oppio dei popoli);
- neurologica: sulla base di disfunzioni cerebrali, in particolare del lobo temporale.
Dato che l'origine della religione va cercata nella preistoria umana, al giorno d'oggi queste teorie sono difficilmente falsificabili (cioè non è possibile dimostrarne la falsità). La teoria marxista della religione come strumento di potere delle classi dominanti per sottomettere i lavoratori si dimostra inconsistente sulla base dei ritrovamenti archeologici del '900, che hanno rinvenuto sepolture, oggetti magici e templi religiosi precedenti alla strutturazione di società e città.
La tradizione cattolica riconduce l'anelito umano al sacro alla stessa natura umana, creata a immagine di Dio e all'indagine delle vestigia divine presenti nel creato.
Ipotesi cognitive
Alcune ipotesi collocano l'origine della religione in particolari processi cognitivi, talvolta disfunzionali.
Il primo pensatore che in occidente si è occupato razionalmente della religione è il filosofo greco Senofane di Colofone (c.a 570-475 a.C.).[1] Dai pochi frammenti che ci sono pervenuti delle sue opere si riscontra che aveva evidenziato l'antropomorfismo della divinità, attribuendolo a un processo di proiezione (per quanto questo concetto sia anacronistico): "Gli uomini credono che gli dèi hanno avuto nascita e hanno voce e corpo simile al loro" (Diels-Kranz, fr. 14); "gli etiopi hanno dèi con nasi camusi e occhi neri, i Traci hanno dèi con occhi azzurri e capelli rossi" (ib., fr. 16) e questo lo porta a sostenere che "se buoi, cavalli e leoni avessero mani, o potessero dipingere con mani e creare opere d'arte come quelle fatte dagli uomini, i cavalli dipingerebbero gli dèi come cavalli, i buoi come buoi e ne farebbero i corpi come la forma che caratterizza ogni specie" (ib., fr. 15). Senofane tuttavia non arriva a negare gli dèi, ipotizzandoli inesistenti e inventati dagli uomini, ma solo le loro raffigurazioni antropomorfe: "C'è un unico dio, il più grande tra gli dèi e gli uomini, non simile agli uomini quanto al corpo e alla mente" (ib., fr. 23).
Il filosofo greco Evemero da Messina (c.a 330-250 a.C.), nella sua Storia Sacra,[2] descrive un viaggio nell'utopica isola di Panchea, dove sono adorati come divinità gli antichi sovrani dell'isola, cioè Urano, Crono e Zeus. Con evemerismo si intende dunque la credenza che le divinità non sono altro che persone particolarmente illustri poi divinizzate.
Il filologo tedesco Max Müller (1823-1900),[3] studiando in maniera comparativa le mitologie indoariane (greche, latine, germaniche, indiane...), era giunto alla conclusione che le divinità non sono altro che la personificazione di fenomeni naturali, meteorologici e cosmici, soprattutto solari, sulla base di un banale processo linguistico: p.es. quando i primitivi parlavano in terza persona del sole che nasce, muore, sovrasta la terra e i viventi, era naturale che pensassero a una persona, per quanto ignota. Le divinità e gli eroi delle mitologie dunque sono "maschere senza attori, le creazioni degli uomini, non i loro creatori. Sono nomi (nomina), non numi (numina), nomi senza essere, non esseri senza nomi".[4] Le tesi di Müller ebbero un discreto successo nell'800 e altri studiosi l'applicarono a tutta la mitologia antica (i miti egizi, l'assedio di Troia, anche Alessandro Magno e Guglielmo Tell) ma le sue ricostruzioni filologiche, vòlte a ricondurre persone ed eventi mitologici a ipotetici miti solari, furono giudicate gratuite e arbitrarie e in definitiva abbandonate. Uno studioso[5] ha compilato una ricerca filologica nella quale dimostrava ironicamente che lo stesso Müller era un mito solare: p.es. il nome Max Müller, "il massimo martellatore", indica la costante irradiazione del sole sulle nubi; il nome di sua madre Charlotte Elliot rimanda al carro del sole; la sua dimora ad Oxford, "guado dell'acqua", indica il suo passaggio tra le nubi...
Lo storico francese Numa Denis Fustel de Coulanges (1830-1889) nella sua Città antica (La Cité antique, 1864, online), dedicata alla civiltà e alla religione romana, nella sostanza riprende e affianca sia l'intuizione di Evemero che quella di Müller. Distingue infatti due tipi di religioni, quella famigliare e quella naturale. Il primo tipo di religione ha per oggetto gli idoli famigliari e deriva da un culto degli antenati defunti (2,2). Il secondo tipo ha per oggetto gli dèi della natura fisica, cioè "Zeus, Atena, Giunone, quelli dell'Olimpo greco e del Capitolo romano": "L'uomo dei tempi antichi era senza sosta in presenza della natura [...]. Provava continuamente un insieme di venerazione, amore e terrore per questa possente natura", dalla quale dipendeva nel bene e nel male. "Giudicava le cose esteriori essere come lui stesso e dato che si sentiva una persona libera, vide in ogni parte della creazione (nel suolo, nell'albero, nella nuvola, nell'acqua del fiume, nel sole) ancora delle persone. Attribuì loro pensiero, volontà, scelta degli atti; poiché le sentiva potenti e era soggetto al loro dominio, avvertendo la sua dipendenza, prese ad adorarle. Ne fece degli dèi" (3,2).
Per l'antropologo inglese Edward Burnett Tylor (1832-1917)[6] e il filosofo inglese Herbert Spencer (1820-1903)[7] base e inizio della religione è l'animismo (termine coniato da Tylor), inteso come credenza che tutte le cose e le persone hanno una controparte spirituale e invisibile.[8] L'origine dell'animismo va trovata principalmente nel fenomeno del sogno (ma anche estasi e allucinazioni), nel quale è possibile sperimentare la dualità spirito/materia. Con la morte le anime delle persone diventano puri spiriti. Quanto agli dèi, per Spencer derivano dalla venerazione di anime di antenati particolarmente noti e illustri (evemerismo), mentre per Tylor sono la personificazione animistica dei fenomeni naturali (cf. Müller).
L'antropologo scozzese Andrew Lang (1855-1912),[9] discepolo di Tylor, ne condivide l'ipotesi dell'origine delle anime dai sogni, ma afferma che la credenza negli dèi deriva dalla conclusione razionale per cui il mondo e i fenomeni naturali debbano essere creati e governati da esseri superiori.
L'antropologo inglese Alfred Ernest Crawley (1869-1924), come Tylor, pone l'inizio della religione nell'animismo, ma afferma che il concetto di anima non deriva dai sogni ma dalla semplice immaginazione: cose e persone possono essere immaginate anche se non presenti ed esperite, dunque "l'esistenza spirituale è l'esistenza mentale, il mondo degli spiriti è il mondo mentale".[10]
L'antropologo inglese James George Frazer (1854-1941)[11] afferma che la religione è un'evoluzione dello stadio di pensiero magico:[12] i primitivi si illudevano di poter modificare la realtà a proprio piacimento e vantaggio con riti magici, basati sulla somiglianza (imitare con la danza la pioggia) e sul contatto (oltre alla ferita "curare" anche la punta della freccia). Constatando però che questi non erano sempre efficaci si rifugiarono in un'altra illusione, la religione, secondo la quale vi sono esseri spirituali capaci di aiutarli.
Lo statunitense John Henry King[13] e l'antropologo inglese Robert Ranulph Marett (1866-1943)[14] sostengono, come Frazer, che la religione è stata preceduta da uno stadio di pensiero magico, dominato dal concetto di mana, cioè una forza sacra e misteriosa intrinsecamente presente in oggetti, persone ed eventi, che il primitivo cercava di addomesticare con riti magici. Questo concetto si personificò in seguito nella credenza negli spiriti e quindi negli dèi.
Il biologo britannico Clinton Richard Dawkins (n. 1941), noto divulgatore dell'ateismo moderno, nel suo L'illusione di Dio (tit. or. The God Delusion, 2006) nega la realtà della religione e propone un meccanismo eziologico di tipo cognitivo. Per Dawkins, che riprende lo psicologo canadese Paul Bloom (n. 1963), la religione sarebbe un prodotto indiretto di due fenomeni cognitivi distinti, che sarebbero connaturali alla mente umana, il dualismo ("i bambini tendono per natura a una teoria della mente dualistica", cioè ammettere "una distinzione fondamentale tra mente e materia", 180) e la teleologia ("i bambini [...] attribuiscono uno scopo a tutto", 181): "Il dualismo e la teleologia innati ci predispongono, nelle condizioni adatte, alla religione [...]. L'innato dualismo ci induce a credere in un'anima che abiti il corpo anziché esserne parte integrante. E, di conseguenza, a immaginare che un tale spirito disincarnato si trasferisca altrove dopo la morte del corpo. E poi che esista una divinità di puro spirito, non una proprietà che emerge dalla materia complessa, ma un'entità che esiste indipendentemente dalla materia. La teleologia infantile ci predispone in maniera ancora più evidente alla religione. Se tutto ha uno scopo, di chi è lo scopo? Di Dio, naturalmente" (181-182).
Ipotesi emotive
La componente emotiva del sacro e dei fenomeni religiosi viene riconosciuta da tutti gli studiosi, ma alcuni hanno ipotizzato che l'emozione non sia solo una componente della religione ma anche la sua origine.
Il filosofo scozzese David Hume (1711-1776), nella sua Storia naturale della religione (1757), afferma che "in tutte le nazioni che hanno abbracciato il politeismo, la prima idea di religione non deriva da una contemplazione delle opere in natura, ma da una preoccupazione circa gli eventi della vita [tempeste, guerre, malattie] e da incessanti speranze e paure che agitano la mente umana".[15] Per questo le persone si rivolgono con preghiere agli dèi, ognuno dei quali ha una propria "provincia" di competenza (Giunone i matrimoni, Lucina le nascite, Nettuno il mare, Marte la guerra). Dunque "agitati da speranze e paure circa la natura, soprattutto da paure, gli uomini scrutano con trepida curiosità il corso delle cause future, ed esaminano i vari e contrari eventi della vita umana. E in questa scena disordinata, con occhi ancora più disordinati e attoniti, vedono le prime oscure tracce della divinità" (ib.).
Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach (1804-1872),[16] nella sua Essenza del cristianesimo (1841),[17] afferma che l'uomo avverte in se stesso la coscienza dell'infinito che fa parte del proprio essere: "Tu pensi l'infinito? Ebbene tu pensi e affermi l'infinità della potenza del pensiero. Senti l'infinito? Senti e affermi l'infinità della potenza del sentimento"; "la religione è la prima ma indiretta conoscenza che l'uomo ha di se stesso". In tal modo Feuerbach riconduce gli attributi divini a quelli umani, la teologia all'antropologia. Il cristianesimo, dove Dio si fa uomo in Cristo, è la religione perfetta, ma la vita futura è soltanto la fede nella vita terrena come dovrebbe essere. Nella successiva Essenza della religione (1845) Feuerbach, risentendo del clima romantico dell'epoca, compie un passo ulteriore collegando l'idea del divino presente nell'uomo con la natura: "Il sentimento di dipendenza degli uomini è il fondamento della religione. L'oggetto di questo sentimento di dipendenza, ciò da cui l'uomo è dipendente e si sente dipendente, è originariamente nient'altro che la natura. La natura è il primo originario oggetto della religione, come la storia di tutti i popoli e di tutte le religioni dimostra" (§ 2).
Lo psicologo tedesco Wilhelm Wundt (1832-1920)[18][19] pone l'inizio della religiosità nella paura (cf. Hume), che proiettata nell'ambiente esterno dà origine alla magia e alla credenza nei demoni, quindi in una fase successiva vengono venerati gli animali (totem), che vengono poi sostituiti da antenati umani, che vengono infine divinizzati.
Anche l'antropologo polacco-britannico Bronislaw Malinowski (1884-1942) pone l'inizio della religione nello stress emotivo: "La magia e la religione nascono e funzionano in situazioni di stress emotivo: crisi della vita, fallimenti in progetti importanti, morte e iniziazione nei misteri tribali, amore infelice e odio insoddisfatto. La magia e la religione aprono vie di fuga da queste situazioni e impasse, offrendo riti e credenze nel dominio soprannaturale".[20]
Freud
Il padre della psicanalisi Sigmund Freud (1856-1939) ha affrontato il tema della religione in diversi dei suoi numerosi scritti,[21] collegandola alle dinamiche pulsionali proprie della vita psichica. La valutazione complessiva è negativa, giudizio che ha pervaso per decenni la formazione e l'operato degli psicologi.
In Comportamenti ossessivi e pratiche religiose (1907) Freud sottolinea la similarità dei cerimoniali religiosi e delle ossessioni nevrotiche: "Ci si potrebbe azzardare a considerare la nevrosi ossessiva come la controparte patologica della formazione di una religione e a descrivere la nevrosi come una religiosità individuale e la religione come una nevrosi ossessiva universale".[22]
In Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci (1910) Freud esprime per la prima volta l'ipotesi per cui Dio non sarebbe altro che la proiezione del padre: "La psicanalisi ci ha insegnato a riconoscere l'interconnessione esistente tra complesso paterno e fede in Dio, ci ha indicato che il Dio personale non è altro, psicologicamente, che un padre innalzato e ci pone ogni giorno sotto gli occhi i casi di giovani che perdono la fede religiosa appena crolla in loro l'autorità paterna. Nel complesso parentale noi riconosciamo così la radice del bisogno di religione. Il Dio onnipotente e giusto, la natura benigna ci appaiono come grandiose sublimazioni del padre e della madre, anzi come repliche e reintegrazioni delle immagini che il bambino piccolo ha di entrambi".[23]
In Totem e Tabù, raccolta di quattro studi pubblicati tra il 1912-13, Freud propone una organica e coerente ipotesi relativa all'origine della religione. In un remoto e primitivo passato degli uomini, nel branco il padre aveva il possesso delle femmine, fino a quando i suoi figli si ribellarono, lo uccisero e lo mangiarono. Ne seguì il rimorso, che causò il tabù del mangiare l'animale-totem del branco, identificato inconsciamente col padre e di avere rapporti incestuosi con le femmine del branco. Il concetto di Dio non è altro che la proiezione idealizzata e sublimata del padre. Questa ricostruzione, non seguita dagli studiosi contemporanei, ammette una sorta di inconscio collettivo dell'umanità, concetto che Freud non accoglie in altre sue opere e che è in definitiva un'ipotesi ad hoc col fine di spiegare il fenomeno religioso.
In L'avvenire di un'illusione (1927)[24] afferma che lo scopo della religione è triplice: "esorcizzare i terrori della natura [cf. Hume]; riconciliarci con la crudeltà del fato, specialmente quale si manifesta nella morte; risarcirci per le sofferenze e le privazioni imposte dalla civile convivenza" (ib., 447-8). L'umanità dunque avrebbe costituito "un tesoro di rappresentazioni, nate dal bisogno di rendere sopportabile l'umana miseria, edificate con il materiale dei ricordi dell'impotenza sia dell'infanzia propria che di quella del genere umano" (ib., 448). Freud quindi, da buon positivista, propone il rifiuto dell'illusione religiosa che deve essere sostituita da ragione e scienza.
In Il disagio della civiltà (1929) Freud si mostra pessimista circa la società. Gli uomini in vista della vita comune rinunciano alle proprie pulsioni fondamentali, la sessualità e l'aggressività, creando le basi per una vita infelice. La religione non sarebbe altro che un palliativo per accettare l'infelicità della vita.
In L'uomo Mosè e il monoteismo (1934-38), raccolta di tre saggi che costituisce l'ultima opera di Freud, il padre della psicanalisi tratta in maniera sistematica della religione ebraico-cristiana. Secondo la ricostruzione, Mosè era un egizio seguace del monoteismo di Akhenaton. Quando la riforma religiosa di questo faraone fallì, Mosè prese con sé degli schiavi ebrei imponendogli il monoteismo egizio e facendoli uscire verso la Palestina. Durante una rivolta però gli Ebrei uccisero Mosè e cancellarono il ricordo di questa rivolta. Il senso di colpa inconscio per questa uccisione riemerse poi in occasione dell'uccisione di Gesù. Questa ricostruzione non gode oggi di nessun credito tra gli storici.
In risposta alle tesi di Freud va segnalato[25] il pensiero del pastore protestante svizzero Oskar Pfister (1873-1956), discepolo e amico di Freud, autore prolifico di oltre 300 testi e in particolare di L'illusione di un avvenire (1928).[26] In questo testo, che richiama il freudiano L'avvenire di un'illusione (1927), Pfister sottolinea le incongruenze del pensiero di Freud e la sua lettura parziale del fenomeno religioso, che secondo il pastore guarisce dalle nevrosi piuttosto che causarle.
Ipotesi sociologiche
I risvolti sociali tipici delle religioni, in particolare quanto ai precetti morali, hanno spinto alcuni studiosi a considerare la religione come un'emanazione delle strutture sociali.
Già Aristotele (384-322 a.C.) nella Politica, riprendendo l'intuizione di Senofane (dèi come proiezione degli uomini), afferma che "tutti i popoli ritengono che anche gli dèi avrebbero i loro re perché essi stessi hanno, o hanno avuto nel passato, dei re. Gli uomini infatti creano gli dèi a loro immagine, non solo per quanto riguarda la forma, ma anche per quanto riguarda la loro maniera di vivere" (1,2,7).
Montesquieu nella sua opera principale, Lo spirito delle leggi (De l'esprit des lois, 1748, online),[27] torna più volte sulla religione (nella fattispecie quella cristiana) intesa come elemento di stabilità sociale e politica, senza però negarne per questo il fondamento storico. La religione è una delle cose che, all'interno dello spirito delle leggi, influenzano i comportamenti umani: "Più cose governano gli uomini: il clima, la religione, le leggi, le massime del governo, gli esempi delle cose passate, i costumi, le maniere..." (EL 19,4). Nello specifico, il Cristianesimo "è il bene più grande che gli uomini possono dare e ricevere" (EL 24,1), "addolcisce i costumi" (diversamente dalla religione maomettana "che non parla che di spada", EL 24,4), è un fattore di contenimento del potere dispotico e monarchico (EL 2,4; 11,4) e di coesione sociale: "La religione cristiana con la carità, il culto pubblico, la partecipazione ai sacramenti, sembra chiedere che tutti si uniscano [...] In questo si trova una delle ragioni che fanno sì che il governo monarchico e tutti i governi moderati si legano meglio con la religione cristiana" (EL 19,18). Per Montesquieu dunque la funzione sociale della religione può spiegare il suo consolidamento e la sua sopravvivenza, ma il filosofo non si spinge a considerarla come l'origine della religione.
L'orientalista scozzese William Robertson Smith (1846-1894), basandosi su alcune intuizioni dell'antropologo scozzese John Ferguson McLennan e studiando la cultura araba-semitica, nella sua The Religion of the Semities (1889, 1894) sostiene che i clan erano caratterizzati da uno specifico animale-totem e il dio del clan non era altro che il clan stesso, idealizzato e divinizzato. Clan, totem e dio erano dello stesso sangue e questa unione veniva rimarcata e rinforzata in periodici banchetti sacri nei quali l'animale totem veniva ucciso e la sua carne mangiata cruda. In questo banchetto "il dio e coloro [del clan] che lo adoravano si univano spartendosi la carne e il sangue della vittima sacra [totemica]".[28] In realtà Evans-Pritchard, criticando le osservazioni di McLennan e l'interpretazione di Robertson Smith, nota come "non esiste nessuna prova che la consumazione del totem animale abbia costituito effettivamente la prima forma di sacrificio e l'origine della religione. In tutta la vasta letteratura sul totemismo, in ogni parte del mondo, esiste un solo esempio (tra gli aborigeni australiani) di un popolo che mangia in forma di cerimonia i propri totem" (1965: 108).
Il francese David Émile Durkheim (1858-1917), comunemente considerato il padre della sociologia, riprende, amplia e divulga l'ipotesi dell'origine sociale della religione avanzata da Robertson Smith. Per Durkheim la religione è principalmente un fatto sociale, collettivo, obbligatorio e non è altro che il frutto della proiezione della stessa società: "La divinità del clan, il principio totemico, può essere nient'altro che il clan stesso, personificato e rappresentato nell'immaginazione nella forma visibile dell'animale o vegetale che funge da totem".[29] Diversamente dalle teorie animiste (p.es. Taylor), per le quali l'anima deriva da un processo cognitivo distorto ed è origine dell'idea della divinità, per Durkheim il processo è inverso: la società "si stabilisce in noi in forma durevole [...]. Questo è il profondo significato dell'antitesi che tutti gli uomini hanno più o meno chiaramente concepito, tra corpo e anima, l'essere materiale e l'essere spirituale che coesistono in noi [...]. La nostra natura è doppia, c'è davvero una particella di divinità in noi, in quanto c'è una particella di quelle grandi idee che sono l'anima del gruppo".[30] L'ipotesi di Durkheim, che si basava prevalentemente sulla situazione australiana, è stato portato avanti da altri studiosi in altri contesti sociali: Marcel Mauss, Robert Hertz, Gilbert Murray, Francis Cornford, Jane Harrison e soprattutto Alfred Reginald Radcliffe-Brown (1881-1955).
L'interpretazione sociologica della religione che ha indubbiamente avuto più fortuna, causando anche notevoli sofferenze alla Chiesa, è stata quella avanzata dal marxismo-comunismo. Karl Heinrich Marx (1818-1883), fondatore del marxismo, ha definito la religione con la celebre espressione di "oppio dei popoli".[31] Il secondo principale teorico del marxismo, Vladimir Ilyich Lenin (1870-1924), riprende esplicitamente la concezione di Marx: "La religione è l'oppio del popolo: questo detto di Marx è la pietra angolare di tutta la concezione marxista in materia di religione. Tutte le religioni e le chiese oggi esistenti, tutte - quali che siano - le organizzazioni religiose sono sempre state considerate dal marxismo come strumenti della reazione borghese, che servono a difendere lo sfruttamento e a stordire la classe operaia".[32] Tra i pensatori marxisti si segnala il francese Louis Althusser (1918-1990). Nella sua Ideologia e apparati ideologici di stato (1970)[33] il filosofo afferma che esistono diversi apparati di stato (AS: governo, amministrazione, esercito, polizia, tribunali, prigioni) che garantiscono con la violenza il permanere dell'ingiustizia sociale a favore della borghesia e a questi si affiancano gli apparati ideologici di stato (AIS) che si basano sull'ideologia: chiese, scuole, famiglia, diritto, partiti politici, sindacati, mezzi d'informazione, cultura. La religione non è altro che un AIS, che come gli altri garantisce e legittima lo sfruttamento e l'ingiustizia con la riproduzione dei rapporti di produzione.
Ipotesi neurocerebrali
Già Ippocrate nel V sec. a.C. descriveva l'epilessia (dal greco ἐπιλαμβάνειν, "essere afferrati" da un demone) come "morbo sacro", poiché le sue caratteristiche e le visioni estatiche connesse lasciavano pensare a un qualche tipo di possessione (cf. anche Mc 9,17-29 ). Il recente sviluppo di tecniche di neuroimmagine, che permettono di monitorare l'attività di aree del cervello durante i processi mentali, ha permesso a diversi studi di riscontrare che i pazienti con epilessia del lobo temporale (TLE) sono più facilmente soggetti a conversioni e/o intense esperienze religiose e mistiche.[34] Questo lascerebbe supporre che l'origine della religione vada cercata in specifiche disfunzioni del lobo temporale, dove sarebbe dislocato il "God module", il "modulo di Dio". Questa ipotesi però: non rende ragione dell'universalità del fenomeno religioso a fronte dalla scarsa diffusione della TLE; non considera che il lobo temporale, parte del sistema limbico, è attivo nella modulazione di tutte le emozioni e ricordi, non solo quelli di natura religiosa; è falsificata da altri studi che mostrano diverse aree attive nell'intero cervello (e non solo nei lobi temporali) durante preghiera e meditazione.
Altre ipotesi
Presupposto ideologico delle varie eziologie sopra indicate è che non esistano divinità e fenomeni soprannaturali. La religione sarebbe così priva di reale fondamento e può essere ricondotta o ridotta ad altri fenomeni. In particolare per Freud e Marx la religione, oltre a essere infondata, sarebbe caratterizzata da elementi e conseguenze negative, che ne farebbero auspicare la scomparsa.
Altri studiosi però si sono mossi in maniera diversa, non mostrandosi interessati all'origine del sacro ma a descriverne le caratteristiche e gli effetti.
Religione come "a priori"
Il teologo protestante tedesco Rudolf Otto (1869-1937) nel suo testo intitolato Il sacro (1917)[35] afferma che il sacro, al centro delle esperienze religiose, è allo stesso tempo affascinante (fascinans) e tremendo (tremendum) e che non è riconducile ad altri fenomeni essendo "totalmente altro" (ganz Andere). Anche l'antropologo austro-americano Robert Harry Lowie (1883-1957) sottolinea le caratteristiche emotivamente ambivalenti del sacro: "Stupore e timore; la sua fonte risiede nel soprannaturale, straordinario, inesplicabile, sacro, santo, divino".[36]
La considerazione del sacro come "a priori", non riducibile ad altro, è elemento caratteristico della cosiddetta fenomenologia della religione, che si occupa di esaminare e comparare le manifestazioni del sacro nelle varie culture, regioni ed epoche. Principale esponente di questa scuola è il filosofo di origine rumena Mircea Eliade (1907-1986).
Lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961), discepolo di Freud e fondatore della cosiddetta psicologia analitica o psicologia del profondo, ha affermato[37] che la religione deriva dall'inconscio collettivo degli uomini. Dio è un archetipo, cioè un simbolo universale, condiviso e innato a tutti gli uomini. La sua concezione neutrale della religione ha portato diversi pensatori confessionali a considerare il sistema psicologico di Jung come utile e compatibile con l'antropologia religiosa. In realtà, la valorizzazione della religione contro il pessimismo freudiano "si è spinta troppo in là e prefigura una religiosità completamente assorbita nella dimensione soggettiva individuale [...]. Egli si espone davvero alla critica di psicologismo e soggettivismo [...]. Dio è tendenzialmente ridotto, nel discorso junghiano, a un fattore psichico [...]. La "teoria degli archetipi" non ha base empirica inconfutabile, risulta piuttosto da intuizioni, correlazioni, analogie che, come tali, non possono dimostrare quanto propongono".[38]
Il comportamentismo americano,[39] che raccoglie spunti dal pragmatismo statunitense e dal positivismo ottocentesco, non affronta (come per tutti gli altri fenomeni mentali esaminati) il problema dell'origine e della natura del religioso ma si limita a valutarne gli effetti. John Broadus Watson (1878-1958), fondatore del comportamentismo, non affronta con sistematicità l'argomento religioso, ma si sofferma sulla critica alle istituzioni e alle figure sacre, che a suo dire usano la religione per mantenere e rafforzare il proprio potere sulle persone. Lo stesso giudizio negativo è presente nel pensiero del comportamentista statunitense Burrhus Frederic Skinner (1904-1990). La fede deriva dall'educazione e dai condizionamenti subiti dall'individuo e auspica una società dove riti e credenze religiose sono sostituiti da ragione e scienza. Lo psicologo canadese Albert Bandura (n. 1925), che raccoglie e integra nel proprio pensiero alcuni elementi del comportamentismo, non si è occupato in maniera organica e sistematica della religione. Per Bandura l'apprendimento degli elementi culturali (tra i quali può essere collocata la religione) deriva prevalentemente dall'imitazione di comportamenti altrui, che possono essere rinforzati da processi personali e sociali.
Psicologia umanistica
Con psicologia umanistica (o umanista) si intende una variegata corrente di teorie e pensatori, prevalentemente statunitensi, accomunati dalla centralità posta sull'individuo e sulla piena realizzazione delle proprie risorse e capacità. I pensatori inclusi in questa scuola sono Fromm, Maslow, Allport, Rogers, May, Frankl.
Tra questi, l'autore che si è fatto maggiormente conoscere a livello divulgativo è lo psicanalista statunitense di origini tedesche Erich Pinchas Fromm (1900-1980). Nel suo Psicanalisi e religione (1950) distingue due tipi di religione, quella autoritaria e quella umanistica. La religione autoritaria tende a sottomettere il fedele, a creare sensi di colpa, timore, depersonalizzazione e sottomissione di fronte al mistero. La religione umanistica invece, in un'ottica dicotomica e manichea che può apparire ingenua, è caratterizzata da amore, accoglienza, tolleranza, libertà e permette all'individuo di crescere e svilupparsi. In questa seconda accezione di religione va inteso e compreso Dio: "Dio è l'immagine della parte più alta dell'io, il simbolo di ciò che l'uomo è in potenza e potrebbe e dovrebbe diventare" (ib. 46). La religione per Fromm è in definitiva il risultato di una proiezione, come per Freud, ma diversamente da questo Fromm non propone di eliminarla ma di purificarla, riducendola a un insieme di pratiche e valori umanistici.
Teoria dell'attaccamento religioso
Un recente approccio teorico, che si sta dimostrando particolarmente utile a inquadrare il fenomeno religioso nella vita psichica individuale, è la teoria dell'attaccamento religioso, ampliamento e derivazione della teoria dell'attaccamento. Quest'ultima è legata ai lavori dello psicanalista inglese John Bowlby (1907-1990). Presupposto della teoria è la convinzione, intuitivamente condivisibile, che un bambino cresca tanto più sicuro ed armonico quanto più avverta l'affetto e il sostegno da parte dei genitori. Un clima famigliare positivo rappresenta per il bambino una "base sicura" che gli permette di esplorare con sicurezza l'ambiente circostante. Studi e ricerche successive hanno evidenziato come l'attaccamento sia un utile fattore di sviluppo non solo durante l'infanzia e non solo circa il rapporto coi genitori, ma anche verso altre figure significative e durante il corso dell'intera vita.
Nel 1992 lo psicologo statunitense Lee Kirkpatrick[40] ha allargato la struttura dell'attaccamento a includere Dio e la sfera religiosa: una persona può avere effetti positivi nel sentirsi amato da Dio, acquisendo un maggiore senso di auto efficacia, sicurezza, serenità. Oltre a Kirkpatrick,[41] uno studioso particolarmente fecondo in tale ambito è il giovane psicologo svedese Pehr Granqvist.[42]
Dati archeologici
Le varie ipotesi di tipo riduzionista, che collegano l'origine del sacro e della religione a fenomeni di vario tipo (cognitivi, emotivi, sociali), non possono che rimanere teorie ipotetiche e non falsificabili: non ci è dato sapere con precisione quando il sacro è comparso nella storia umana e per quali motivi. Gli unici dati certi sono:
- la comparsa della sepoltura e dunque del culto dei morti, a partire da un periodo databile tra il 120-90.000 a.C. (grotta di Qafzeh,[43] nel monte del salto di Nazaret - che testimonia anche il "salto" evolutivo degli ominidi - ed è forse anche il caso dei resti delle grotta di Skhul[44] nel monte Carmelo);
- la comparsa delle "veneri" (probabili amuleti magico-religiosi per propiziare la fecondità) a partire da c.a il 35.000 a.C;[45]
- la comparsa del primo tempio religioso (Göbekli Tepe, in Turchia)[46] attorno al 9-8.000 a.C. I resti di questo luogo di culto, eretto da popolazioni di caccatori-raccoglitori prima della nascita dell'agricoltura, delle città e di una vera e propria struttura sociale, indebolisce l'ipotesi marxista della religione come strumento di controllo delle classi subalterne.
Interpretazione cattolica
Per approfondire, vedi le voci Rivelazione e Prove dell'esistenza di Dio |
La tradizione e il magistero cattolico ovviamente non ricorrono a un qualche tipo di riduzionismo per rendere conto del fenomeno religioso. Nella Bibbia la questione compare solo saltuariamente e fugacemente, principalmente in chiave apologetica anti-idolatrica e anti-pagana. In particolare nell'Antico Testamento, dominato dall'esistenza e dall'intervento di Dio nelle vicende storiche del popolo eletto, sono ricorrenti gli oracoli profetici contro le "nazioni" idolatriche e i falsi dèi, ma non vengono addotte spiegazioni per la nascita del sentimento religioso in generale.
L'incipit del Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: "Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l'uomo e soltanto in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa" (n. 27). La religione dunque è la ricerca da parte dell'uomo di Dio, in risposta alla chiamata divina che è connaturale alla natura umana, creata "a immagine di Dio" (n. 31, Gen 1,27 ). In questa ricerca la creatura umana percorre "alcune 'vie' per arrivare alla conoscenza di Dio" (n. 31), che hanno come punto di partenza in particolare il mondo materiale (via oggettiva) e la persona umana (via soggettiva).
La via oggettiva prende le mosse dalla contemplazione dell'universo: "Davvero vani per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio e dai beni visibili non furono capaci di riconoscere colui che è, né, esaminandone le opere, riconobbero l'artefice [...]. Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore" (Sap 13,1.5 ); "Ciò che di Dio si può conoscere è loro [ai pagani] manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute" (Rm 1,19-20 ). Dunque "Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create" (DF 3). La più efficace enunciazione teoretica del percorso oggettivo è data dalle Cinque vie di San Tommaso d'Aquino.
La via soggettiva, già anticipata dall'incipit del CCC, trova il suo fondamento nella stessa natura umana: "Con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all'infinito e alla felicità, l'uomo si interroga sull'esistenza di Dio. In queste aperture egli percepisce segni della propria anima spirituale" (n. 33), irriducibile alla sola materia. Il percorso soggettivo per giungere all'esistenza di Dio è proprio della ricca spiritualità del misticismo. Un celebre esempio è dato da un passo delle Confessioni che costituisce il culmine della ricerca spirituale di Sant'Agostino:
« | Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti e arsi di desiderio della tua pace. » | |
(Confessioni 10,27,38)
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