Profezia di Virgilio
Con profezia di Virgilio si intende la quarta egloga del poeta latino (70-19 a.C.), composta nel 40 a.C., che la tradizione cristiana ha indicato come profetica quanto alla nascita e alla missione di Cristo. Secondo il testo Virgilio avrebbe ripreso un oracolo pronunciato dalla sibilla di Cuma, profetessa romana.
Citando una vergine senza attribuirgli un chiaro ruolo, descrive la nascita "dal cielo di una nuova progenie", un bambino "cara prole degli dei, alto rampollo di Giove", che instaura un periodo di pace per la società e per la natura, e sotto la cui guida scompaiono "le tracce della nostra colpa".
Il contesto storico immediato può riferirsi all'attesa, nel dominio romano del 40 a.C., della nascita di un bambino e di un connesso periodo di pace e benessere, ma secondo la tradizionale lettura cristiana del sensus plenior ("senso più pieno") la poesia può essere riferita alla nascita di Gesù.
Contesto storico
L'assassinio di Cesare nel 44 a.C. aveva dato inizio a una guerra civile per la conquista del potere che, in varie fasi, ha coinvolto diversi personaggi, in particolare Ottaviano (il futuro imperatore Augusto) e Marco Antonio. La pace di Brindisi, stilata tra i due nel 40 a.C., lasciava sperare la fine della guerra e una ritrovata stabilità politica, anche se i disordini continuarono fino alla battaglia di Azio del 31 a.C. che vide emergere Augusto come unico imperatore romano.
Nel contesto della momentanea pace ritrovata, Virgilio compone una breve poesia (egloga), inclusa nelle sue Bucoliche, dove auspica la nascita di un bambino, iperbolicamente definito di origine divina (v. 15-16.49). Il poeta - neutralmente - non precisa se il bambino è figlio di Ottavio o Marco Antonio. Sotto al suo regno, dopo un periodo intermedio dove continueranno le violenze (v. 31-36), cesseranno infine le guerre civili (v. 13-14), la terra ritroverà la pace e vi sarà una piena armonia con la natura (v. 28-45).
Virgilio riprende inoltre la classica teoria delle età (oro, argento, bronzo, ferro) e auspica la fine dell'attuale età del ferro e una nuova età dell'oro (v. 8-9). Riprende anche lo schema storico degli etruschi che prevede dieci periodi, il nono dei quali, attuale, era segnato da Apollo (v. 10), e il decimo da Saturno (v. 6.). In tale visione della storia Virgilio riprenderebbe un precedente oracolo della sibilla di Cuma, il cui effettivo contenuto ci è però ignoto: avrebbe profetizzato solo un'età dell'oro o anche, con essa, la venuta di un bambino divino e pacificatore?
Testo
Latino[1] | Traduzione[2] |
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1 Sicelides Musae, paulo maiora canamus. |
1. O Sicule Muse, alziamo un po' più alto il canto. |
4 Ultima Cumaei venit iam carminis aetas; |
4 Ora è giunta l'ultima età cantata dall'oracolo cumano; |
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La futura primavera dell'infanzia del Bambino |
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La futura estate dell'educazione del Bambino |
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La futura maturità del Bambino |
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Il trionfo del Bambino |
Interpretazione cristiana
La tradizione cristiana, con un ritardo di qualche secolo, ha visto nella egloga di Virgilio una profezia circa la venuta di Cristo. In effetti parla di una vergine (anche se non viene definita madre del bambino), di un bambino "cara prole degli dei, alto rampollo di Giove" (v. 49), che "riceverà vita divina e vedrà gli eroi mescolati con gli dei, e sarà lui stesso visto da loro" (v. 15-16), con il quale "qualsiasi traccia rimasta della nostra colpa svanirà, liberando la terra dalla sua perpetua paura" (v. 13-14). Anche se non vi è cenno a un sacrificio salvifico diretto, la morte in croce, nella poesia può essere facilmente vista la descrizione della missione del messia divino che cancella gli effetti del peccato originale.
La prima interpretazione cristiana si trova in Lattanzio (ca. 313):[3] anche se non parla della prima venuta (incarnazione) ma della seconda venuta di Gesù (Parusia) con toni idilliaci, scrive: "E allora ci saranno i tempi aurei che dissero i poeti, regnante Saturno. Il loro errore sta nell'avere descritto il futuro come se si stesse per avverare o si fosse già avverato [...]. Quando in realtà [negli ultimi tempi] sarà cancellata la religione degli empi e la terra sarà sottomessa a Dio, anche il nocchiero lascerà il mare [...]" (citazioni dei v. 38-45 dell'egloga frammisti a brani di Isaia).
La più antica e autorevole interpretazione cristiana del brano si trova in un discorso tenuto dall'imperatore Costantino di fronte a un'assemblea ecclesiastica, in un periodo imprecisato tra il 313 e il 325.[4] Il testo originale era forse in latino ma ci è pervenuto in greco. L'imperatore filocristiano, che attribuisce erroneamente il poema a Cicerone, scrive tra l'altro: "Il principe dei poeti italici [latini] dice: Ora una nuova progenie scende dall'alto del cielo (v. 7). E ancora in un altro passo delle Bucoliche: Muse sicule, cantiamo un poco più in alto (v. 1). Cosa è più chiaro? Aggiunge infatti: Viene l'ultima era della Cumana (v. 4), intendendo la sibilla cumana. E non è contento di questo, va oltre, come spinto a dare la sua testimonianza. Cosa dice? Nasce il nuovo ordine dei tempi. Ora torna la vergine, ora torna il regno di Saturno (v. 5-6). Chi è la vergine che torna? Forse non è colei che fu ripiena e gravida dello Spirito di Dio? Cosa ostacola infatti che colei che fu incinta per lo spirito di Dio fosse vergine e lo sia rimasta?". Costantino prosegue poi nell'esposizione e nel commento dell'egloga, identificando gli eroi con i santi, collegando "la nostra colpa" con il peccato originale introdotto dal serpente, e intendendo la pace ritrovata come frutto del sacrificio e della risurrezione del salvatore.
Agostino cita l'egloga in due occasioni, accogliendola come profezia della venuta di Cristo. In una lettera scritta dopo il 395 afferma: "All'infuori di Cristo Signore, non v'è affatto alcun altro al quale il genere umano possa rivolgere le seguenti espressioni: Se ancora rimangono tracce del nostro delitto, spariranno del tutto, sotto la tua guida, e libereranno la terra dalla continua paura. Queste espressioni Virgilio confessa d'averle copiate dall'oracolo di Cuma, cioè della Sibilla; questa profetessa, infatti, aveva probabilmente udito in spirito qualche presagio riguardante l'unico Salvatore e reputò suo dovere rivelarlo".[5] Similmente, nella Città di Dio (ca. 413-426), afferma: "I vostri oracoli, come tu stesso scrivi, lo [Gesù] hanno dichiarato santo e immortale. Di lui anche il più alto poeta [Virgilio] ha detto, certo con un discorso poetico perché nella persona vagamente accennata di un altro, ma con verità se a lui lo riferisci: Con la tua guida, se rimangono alcune tracce del nostro peccato, (i nuovi tempi) libereranno il mondo dalla vana perenne paura. Anche se non di peccati, ha parlato tuttavia di tracce di peccati, perché anche in uomini molto avanzati in virtù possono rimanere a causa della insufficienza della vita terrena. Esse saranno guarite soltanto da quel Salvatore, per il quale è stato formulato il verso citato. Virgilio, infatti, nel quarto verso dell'egloga dichiara che non è una sua affermazione personale quando dice: È giunta già l'ultima età dell'oracolo di Cuma. Da ciò appare indubbiamente che il fatto fu preannunciato dalla sibilla di Cuma".[6]
San Girolamo († 420) invece è più prudente: accennando a vari oracoli pagani, afferma fugacemente che "non possiamo dire che [Virgilio] Marone fosse un cristiano senza Cristo, che scrisse: Ecco ritorna anche la Vergine, ritorna il regno di Saturno; ormai discende già dal cielo una nuova progenie (v. 6-7) [...]. Queste sono cose puerili".[7]
Dante, nella sua Divina Commedia, fa dire al poeta latino Stazio (Publio Papinio Stazio, m. 96) mentre si rivolge a Virgilio che si convertì alla fede cristiana sulla base della sua profezia:
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Facesti come quei che va di notte, quando dicesti: Secol si rinnova; Per te poeta fui, per te cristiano. Già era 'l mondo tutto quanto pregno e la parola tua sopra toccata | |
(Dante, Purgatorio, 22,67-81)
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In epoca moderna, il motto Novus ordo seclorum presente nel sigillo nazionale statunitense e presente anche nelle banconote da un dollaro, è una ripresa a senso del v. 5 dell'egloga (saeclorum nascitur ordo).
In campo esegetico, il celebre statunitense cattolico Raymond Edward Brown, nel suo studio La nascita del Messia (1993, tradotto in italiano nel 2002), molto prudentemente evidenzia una somiglianza indiretta tra l'egloga e le aspettative messianiche diffuse nell'ambiente ebraico, in particolare sulla base di Isaia, ma non arriva a definire il testo come una vera e propria profezia cristiana.
Papa Benedetto XVI, nel suo studio dedicato a L'infanzia di Gesù (2012), cita la quarta egloga definendola "un testo che, come un presagio del mistero del parto verginale, ha fatto riflettere la cristianità fin dai primi tempi" (p. 66). Dopo una breve trattazione, conclude: "Si può forse dire che la figura della vergine e quella del bambino divino fanno, in qualche modo, parte delle immagini primordiali della speranza umana, che emergono in momenti di crisi e di attesa, senza che vi siano in prospettiva figure concrete" (p. 67).
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |