Ad Antiochia di Siria, ora in Turchia, passione di san Bábila, vescovo, che, durante la persecuzione dell'imperatore Decio, dopo aver tante volte dato gloria a Dio tra sofferenze e tormenti, ottenne di morire gloriosamente legato a ceppi di ferro, con i quali dispose che il suo corpo fosse anche sepolto. Insieme a lui si tramanda che subirono la passione anche i tre fanciulli, Urbano, Prilidano ed Epolono, che egli aveva istruito nella fedecristiana.»
Secondo la tradizione Babila fu arrestato durante le persecuzioni bandite dall'imperatore Decio (249-251) e rinchiuso in carcere insieme ai suoi tre più fedeli discepoli: Urbano, Prilidano ed Epolono. Babila morì in carcere in attesa dell'esecuzione della sentenza di morte, mentre i tre scolari vennero decapitati.
Lo storico bizantino Giovanni Malalas racconta come l'imperatore Marco Aurelio Numeriano (ca. 254 - Nicomedia, novembre284), passando per Antiochia durante la marcia verso la frontiera persiana, volle entrare in una chiesa per assistere ai riti dei cristiani, ma fu fermato sulla porta da Babila, che gli proibì l'ingresso in quanto ancora sporco del sangue dei sacrifici agli dei; Numeriano, allora fece mettere a morte Babila (in seguito Malalas afferma che Numeriano sarebbe stato sconfitto e scuoiato vivo dai Persiani).[1]
Culto
Martirio di san Babila e dei tre discepoli, affresco
In onore del santo vescovo Babila, il caesarCostanzo Gallo fece costruire una basilica nel sobborgo di Dafne, presso Antiochia, dove si trovava il famoso oracolo di Apollo, con lo scopo di stroncare il culto del dio pagano e vi fece traslare il corpo del santo per creare un luogo di pellegrinaggio alternativo e concorrente.
Il tentativo ebbe successo, al punto che quando l'imperatore Giuliano l'apostata visitò l'oracolo di Apollo Dafnio, trovò il santuario pagano in rovina; fedele al suo progetto di rivitalizzare i culti pagani diede allora ordine che le reliquie fossero rimosse e riportate ad Antiochia.
Un fantasioso passo degli "Annales cremonenses" di Ludovico Cavitelli (1588) asserisce, in modo del tutto inesatto, che i resti attribuiti a Babila sarebbero stati trafugati da Costantinopoli nel 1108 per ordine di Matilde di Canossa e portati in Occidente, a Cremona, dove è in realtà custodito il corpo di un omonimo prelato locale, giustiziato nel 94 d.C. durante la persecuzione di Domiziano.[2]
↑La mistificazione, riferita in seguito anche dal Bollando, è ampiamente confutata in: Antonio Dragoni, Sulla storia ecclesiastica Cremonese nei primi tre secoli del Cristianesimo, discorso V, Cremona 1838.