Giuliano l'Apostata
Giuliano l'Apostata Pagano | |
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Imperatore romano | |
Età alla morte | 32 anni |
Nascita | Costantinopoli 331 |
Morte | Maranga 26 giugno 363 |
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Flavio Claudio Giuliano (lat.: Flavius Claudius Iulianus), comunemente conosciuto come Giuliano l'Apostata (Costantinopoli, 331; † Maranga, 26 giugno 363) è stato un imperatore romano.
Passato alla Storia con il soprannome di apostata per aver abbandonato la religione cristiana in cui era stato allevato da bambino, è noto soprattutto per il suo vano tentativo di restaurazione del paganesimo, riformato sul modello della Chiesa cattolica.
Biografia
Giovinezza
Era figlio di Giulio Costanzo, a sua volta fratellastro di Costantino il Grande. Alla morte di Costantino, l'Impero fu spartito fra i suoi tre figli Costantino II, Costante e Costanzo II. Tutti gli altri membri maschi del casato furono sterminati per impedir loro di avanzare pretese sul trono imperiale. Sfuggirono al massacro solo Giuliano, che all'epoca aveva sei anni, e il suo fratellastro Gallo, di qualche anno più grande di lui. Dopo questi fatti, Giuliano fu allevato dall'eunuco Mardonio e dal filosofo Nicocle. Il sospettoso imperatore Costanzo, più tardi, lo mandò nella tenuta di Macellum in Cappadocia. Giuliano ricevette in gioventù un'educazione cristiana, ma il ricordo dell'assassinio dei suoi familiari fece sorgere in lui contro gli autori di quel massacro un amaro risentimento, che poi estese ai cristiani in generale[2].
Costanzo, durante la sua campagna in Occidente contro l'usurpatore Magnenzio, nominò Gallo proprio collega con il titolo di Cesare. A Giuliano, frattanto, era stato permesso di studiare a Costantinopoli. La sua indole, però, richiamò l'attenzione di Costanzo, che nel 350 lo mandò a Nicomedia. Qui Giuliano si dedicò esclusivamente alla filosofia neoplatonica, mista a varie dottrine magiche e misteriche. Il neoplatonico Massimo di Efeso lo affascinò con i suoi insegnamenti fantasiosi e gli rivelò il presunto compito assegnatogli dal destino: la restaurazione del paganesimo.
Sul finire del 354, Costanzo richiamò Gallo in Italia e lo fece decapitare per le sue molteplici crudeltà. Giuliano, invece, fu preso come ostaggio a Milano ma, guadagnatesi le simpatie dell'imperatrice Eusebia, si assicurò il permesso di visitare, nel 355, le scuole di Atene, dove la filosofia e la retorica greche godevano della loro ultima epoca di prosperità. Qui Giuliano fu iniziato ai misteri eleusini.
Cesare
Il 6 novembre 355 Giuliano fu presentato all'esercito come Cesare, sposò Elena, sorella minore dell'Imperatore, e fu spedito in Gallia. Qui mostrò grande abilità sia come soldato che come amministratore. Avanzò coraggiosamente dal suo quartier generale a Vienne fino a Reims, per poi compiere una sortita nel territorio degli Alamanni sull'alto Reno, occupando e ponendo delle guarnigioni a Colonia, che un anno prima era stata presa e saccheggiata dai Franchi.
L'anno seguente, sebbene non supportato dalle truppe di Costanzo, sbaragliò oltre trentamila Alamanni presso Strasburgo. Poi, attraverso Magonza, Colonia e Jülich, tornò a Reims e Lutezia (l'odierna Parigi). Come governatore, Giuliano mostrò un'instancabile operosità nel promuovere un'equa tassazione e una accorta amministrazione della legge.
Nel frattempo il re di Persia Sapore II aveva riaperto le ostilità con Roma, chiedendo la cessione di Mesopotamia e Armenia. Ancora invidioso di Giuliano, l'Imperatore ordinò a questi di mandare una parte delle sue truppe ausiliare germaniche più esperte, sebbene esse fossero state arruolate per la sola guerra gallica. Contro il parere di Giuliano, il funzionario imperiale Decenzio, nell'inverno del 360, partì con le truppe scelte; durante una sosta a Parigi, però, scoppiò un ammutinamento: le truppe si raccolsero davanti alla residenza di Giuliano e lo acclamarono Augusto.
Per evitare la guerra civile, Giuliano cercò di giungere a un compromesso con Costanzo, che lui era pronto a riconoscere come imperatore supremo. Costanzo, comunque, chiese la rinuncia incondizionata del titolo di Cesare e del governatorato della Gallia. Giuliano, invece, forte dell'appoggio del popolo e dell'esercito, avanzò nell'Illirico, prendendo possesso della capitale, Sirmio. Dopo la cessazione delle ostilità da parte di Sapore, Costanzo iniziò a pianificare la concentrazione di tutte le sue forze contro il cugino ribelle Giuliano. Il 3 novembre 361, tuttavia, durante la marcia, Costanzo morì.
Imperatore unico
Vano tentativo di restaurazione del paganesimo
Dopo la morte di Costanzo, Giuliano entrò in trionfo a Costantinopoli. Mostratosi sino ad allora cristiano, permise ora di essere ritratto come un imperatore posto sotto la protezione di Zeus. Da quel momento avviò il suo programma di rilancio del paganesimo, impostato su opposizione radicale al cristianesimo. Chiuso in un gretto conservatorismo, Giuliano condannava la religione cristiana soprattutto in quanto "novità", sia verso la tradizione pagana, sia verso l'ebraismo.[3]
Giuliano ordinò a tutte le città di riaprire i templi per i culti pagani, ripristinò i sacrifici animali e assunse le mansioni di pontefice massimo. Emise poi un decreto con cui venivano abrogati tutti i diritti e le immunità garantite sin dall'impero di Costantino ai cristiani (da lui definiti in maniera sprezzante "Galilei"); al tempo stesso, le somme concesse alla Chiesa dovevano essere restituite allo Stato. Proibì inoltre agli insegnanti di retorica e grammatica di religione cristiana l'esercizio della propria professione.
Contestualmente, avviò un programma di riforma del paganesimo, fondando una "Chiesa" pagana che, nei precetti e nell'esercizio della carità, ricalcava la Chiesa cattolica: fu così creata una forma di gerarchia, del tutto assente nel paganesimo tradizionale, alla testa della quale era posto Giuliano stesso, in qualità di pontefice massimo. Restituì dignità e splendore ai templi pagani, trascurati sin dall'epoca di Costantino.
Tuttavia, l'irreale programma di Giuliano non diede alcun risultato concreto:
« | Il paganesimo di Giuliano non era infatti tradizionale, né radicato tra i suoi contemporanei non cristiani, bensì costituiva l'utopico sogno suo e di un gruppo di sofisti e intellettuali suoi compagni; paradossalmente egli volle ripristinare l'antico e negare il nuovo (il cristianesimo), ma non si rese conto con la tipica mancanza di lucidità del fanatico che in realtà la religione da lui propugnata era sì pagana, ma appunto nuova, e che d'altra parte la mentalità politica romana non apprezzava il generico ritorno al passato, anzi era per consuetudine aperta alle innovazioni e quindi non ostile al cristianesimo in quanto pura e semplice novità.[3] » |
Anche il suo tentativo di confutare il Vangelo e ricostruire il Tempio di Gerusalemme, distrutto nel 70 da Tito, fu vanificato dallo scatenarsi di un incendio e di un terremoto.
Campagna contro la Persia e morte
Nel maggio del 362 lasciò Costantinopoli per prepararsi a una grande spedizione contro la Persia. Trascorso l'inverno ad Antiochia, dove scrisse un libro Contro i Galilei, nel marzo del 363 avanzò verso la Mesopotamia, attraversando con successo il Tigri, e combatté con buon esito una battaglia contro i Persiani. Marciò poi verso l'interno della Persia, ma presto una mancanza di forniture lo costrinse alla ritirata, durante la quale fu duramente sconfitto dalla cavalleria persiana.
Il 26 giugno dello stesso anno fu ferito al fianco durante una scaramuccia tra le cavallerie avversarie e, durante la notte, morì. Ci sono stati trasmessi diversi resoconti sulle circostanze della sua morte: cristiani e pagani[2] credettero alla voce secondo la quale, in punto di morte, riconoscendo di essere stato punito per aver abbandonato il Cristianesimo, avrebbe gridato: Nenikekas Galilaie ("Hai vinto, Galileo!"). Con lui termina la dinastia di Costantino.
Predecessore: | Imperatore romano | Successore: | |
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Costanzo II | 361 – 26 giugno 363 | Gioviano |
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |