San Giovanni Sarkander

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San Giovanni Sarkander, S.J.
Presbitero · Martire
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battezzato
Santo
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Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 43 anni
Nascita Skoczow
20 dicembre 1576
Morte Olomouc
17 marzo 1620
Sepoltura
Conversione
Appartenenza
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Professione religiosa [[{{{aPR}}}]]
Ordinato diacono
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Ordinazione presbiterale 22 marzo 1609
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Extra Anni di pontificato


Cardinali creazioni
Proclamazioni
Antipapi {{{antipapi}}}
Eventi

Iter verso la canonizzazione

Venerato da Chiesa cattolica
Venerabile il [[]]
Beatificazione 6 maggio 1860, da Pio IX
Canonizzazione 21 maggio 1995, da Giovanni Paolo II
Ricorrenza 17 marzo
Altre ricorrenze
Santuario principale
Attributi
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
Patrono di
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Incoronazione
Investitura
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Erede
Successore
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Nomi postumi
Altri titoli
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Coniuge

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Consorte

Consorte di

Figli
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Collegamenti esterni
Invito all'ascolto
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Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 17 marzo, n. 7:
« A Olomouc in Moravia, san Giovanni Sarkander, sacerdote e martire, che, parroco di Holešov, rifiutatosi di violare il segreto della confessione, fu sottoposto al supplizio della ruota e, gettato in carcere ormai in fin di vita, morì un mese più tardi. »

San Giovanni Sarkander (Jan o Joannes) (Skoczow, 20 dicembre 1576; † Olomouc, 17 marzo 1620) è stato un presbitero, religioso e martire boemo.

Biografia

Nacque in Slesia da Gregorio Mattia Sarkander e da Elena Gurecka, sposata per la seconda volta, nata Kornicz; fu battezzato con il nome di Giovanni. La madre apparteneva a un ramo della nobile famiglia dei cavalieri di Kornicz. Il padre era probabilmente d'origine più semplice e non consta che abbia mai usato alcun titolo nobiliare. Giovanni fu educato in famiglia a una solida vita cristiana. Nel 1589 morì il padre e la madre con i quattro figli e la figlia del primo matrimonio Pribor si trasferì in Moravia presso il figlio del primo matrimonio Matteo.

Nel 1593 entrò nel collegio gesuita di Olomouc per continuare gli studi superiori. Già nel 1597 fu ammesso agli studi di filosofia, ma nel 1599 la scuola fu chiusa a causa della peste; così Giovanni fu costretto a finire gli studi filosofici nel collegio di Praga. Terminati i corsi di logica e fisica, nel 1602 conseguì il grado di magister e il 9 maggio 1603 ottenne la laurea in filosofia.

Mancano notizie della sua attività fino all'iscrizione alla facoltà teologica di Graz in Austria, il 6 settembre 1604. Due anni dopo interruppe brevemente gli studi per cercare una sistemazione civile, si fidanzò in Moravia con Anna Platská, di una distinta famiglia luterana. Non si sa se le nozze abbiano avuto luogo. Certo è che comprò in quello stesso anno una casa a Brno e una vigna a Klobouky; si può perciò supporre che si fosse deciso per la vita familiare. La morte prematura della fidanzata sembra aver poi cambiato le sue intenzioni.

Continuò allora lo studio della teologia, il 21 dicembre 1607 sostenne gli esami finali davanti all'arcidiacono di Olomouc e il giorno seguente ricevette gli Ordini minori. Il 19 marzo 1608 fu ordinato diacono dal vescovo ausiliare di Olomouc e, il 22 marzo seguente, sacerdote a Brno.

Successivamente fu parroco in sette parrocchie della regione. Nel 1609 divenne viceparroco di Uničov, che dovette lasciare in quanto sospettato di complotto con suo fratello Nicola contro l'imperatore d'Austria. Risultato innocente, nel 1611 fu trasferito come parroco a Charváty presso Olomouc, ove ebbe una controversia con i parrocchiani, non volendo egli ammettere i canti in lingua volgare in chiesa, cosa di cui fu severamente rimproverato dal cardinale Dietrichstein. Lasciata anche quella parrocchia, visse per qualche tempo senza un incarico specifico. Venne poi nominato parroco della parrocchia di Zdounek, dove continuò con zelo il rinnovamento spirituale incominciato dal gesuita Giovanni Drachovský di Olomouc.

Nel 1613 gli fu assegnata la difficile parrocchia di Boskovice, città ben nota per la fortissima attività dei cosiddetti Fratelli Boemi. Probabilmente era anche decano del distretto, perché il 20 febbraio 1616 investì il conventuale Benedetto Spiškv di Brno della parrocchia di Ráiec. I Fratelli Boemi erano una comunità religiosa sorta a Praga verso la metà del XV secolo e costituita in origine da superstiti del movimento degli ussiti. Stanziatosi lungo i confini della Slesia e della Moravia, il gruppo si estinse nel Seicento, con la conversione forzata al cattolicesimo imposta dalla controriforma. Gli scarsi superstiti dovettero emigrare e nel 1722 si stabilirono a Herrnhut, in Sassonia, nelle terre del riformatore religioso Nikolaus von Zinzendorf.

Il 26 aprile 1616, don Sarkander venne nominato parroco della città di Holešov, sede del luogotenente di Moravia, Ladislao Popel de Lobkovic, di cui divenne consigliere e confessore. De Lobkovic, luogotenente dal 1604, diede la chiesa di sant'Anna ai cattolici e trasformò in collegio dei gesuiti la casa occupata dai Fratelli Boemi. I gesuiti affidavano allora la chiesa al nuovo parroco che con il loro aiuto convertì circa 250 fratelli. L'entusiasmo e il programma di Giovanni riguardante la rinascita cattolica della parrocchia incontrò però ben presto grandi difficoltà perché si attirò l'odio del ricco proprietario anticattolico Bitotwsky di Bystritz. La situazione divenne poi molto problematica dopo la rivolta dei nobili boemi del 1618, per la maggior parte protestanti, contro l'impero asburgico, all'inizio della Guerra dei trent'anni. De Lobkovic, il protettore di Sarkander, fu spogliato del suo incarico e imprigionato a Brno e i gesuiti furono costretti a lasciare Holešov il 17 maggio 1619. Don Sarkander, rimasto solo, fu oggetto dell'odio da parte della maggioranza protestante di Holešov e finalmente incoraggiato dai suoi parrocchiani, in attesa di tempi migliori, si recò in pellegrinaggio alla Madonna di Czestochowa e si fermò poi, dal luglio fino a novembre 1619, a Rybnik, vicino a Ratibor, sul territorio della famiglia Lobkovic.

Qui lo raggiunse una lettera di de Lobkovic, liberato nel frattempo, che lo invitava a ritornare nella sua parrocchia. Nella sua risposta del 22 ottobre 1619 disse di non essersi assentato temendo i lupi, perché ogni buon pastore deve proteggere le pecorelle smarrite e dare anche la propria vita per la loro salvezza, ma piuttosto perché pensava di nuocere a esse con la propria presenza. Offrì per questo di servire soltanto come cappellano, ma de Lobkovic non accettò la proposta e Giovanni si mise alla fine di novembre 1619 sulla via del ritorno. Il viaggio dalla Polonia gli fu però fatale.

Nel febbraio 1620, durante la Guerra dei trent'anni, la cavalleria del re polacco Sigismondo II Vasa, passando per la Slesia e la Moravia diretta ad aiutare l'imperatore d'Austria, devastò e incendiò la regione. Quando i reparti dei Cosacchi s'avvicinarono a Holešov, Giovanni coi suoi fedeli andò loro incontro in processione, portando il Santissimo e tale ne fu l'efficacia, che Holešov non fu saccheggiata. Questo avvenimento però aumentò i sospetti dei nobili moravi.

Il processo

Suplizio del cavalletto, bassorilievo sulla lapide del santo

Il nuovo giudice supremo della Moravia, il protestante Venceslao Bitovský, fece incarcerare tutti i sacerdoti della regione, ma il Sarkander si nascose, rifugiandosi nel castello di Tovaćov per poi passare nelle foreste vicine. Qui venne catturato e portato in catene a Olomouc. Bitovský lo accusò di essere un traditore della patria e di aver provocato l'intervento militare delle truppe polacche. Questo era però soltanto un pretesto di carattere politico, perché il trattamento riservato al sacerdote prigioniero nel corso di quattro interrogatori, accompagnati da crudeli torture, dal 13 al 18 febbraio 1620 e presieduti solamente da giudici protestanti, proveniva dall'odio per la sua fede e mirava a estorcergli la confessione di aver lui provocato l'intervento dei Cosacchi. L'unico giudice cattolico, Giovanni Scintilla, fu costretto ad assistere senza poter intervenire.

Nel 1621 Scintilla fece un rapporto su tutto l'accaduto al vescovo, Francesco Cardinale di Dietrichstein. Le domande erano: chi ha chiamato le truppe nel paese; che mene segrete ha fatto in Polonia; che cosa gli è stato confidato dal de Lobkovic. Come consigliere e confessore doveva essere a conoscenza del piano d'invasione militare della Moravia. Sarkander si difese dicendo:

« Non so nulla e non mi è stato confidato nulla durante il santo sacramento della riconciliazione. Qualsiasi cosa mi sia stata confidata durante la confessione è stata cancellata dalla mia memoria. L'ho seppellita nell'oblio e preferisco, con l'aiuto di Dio, venire tagliato a pezzi piuttosto che violare il sigillo della confessione[1] »

Constatato che Sarkander non violava il segreto confessionale, furono usate torture che duravano da due a tre ore. Fu sottoposto alla tortura del cavalletto, gli furono procurate ferite, bruciature con candele accese e cospargendo il corpo con piume bagnate d'olio, con pece e zolfo. L'ultimo crudele interrogatorio durò tre ore e fu sospeso soltanto dopo le ripetute proteste del giudice Scintilla. Sarkander, tuttavia, non sopravvisse alle torture subite. Dopo un mese di sofferenze morì in carcere il 17 marzo ndel 1620.

Culto

La notizia di una morte così crudele si sparse rapidamente e diede origine a una venerazione ininterrotta fino ai nostri tempi. Già nel 1620 fu pubblicato a Parigi un libretto sulle torture inumane del Sarkander. Convinti che il motivo vero e proprio del processo era di carattere religioso, i suoi contemporanei considerarono Sarkander martire della fede, rivestendo le sue spoglie mortali dei paramenti, raccogliendo reliquie del suo sangue e schegge del cavalletto su cui era stato torturato. A Olomouc sono esposti gli strumenti con cui venne torturato.

Il suo corpo fu sepolto dapprima nella cappella di san Lorenzo nella chiesa della Madonna di Předhradí presso Olomouc. Chiusa al culto la chiesa, i resti mortali di Sarkander furono traslati in quella di san Michele, da dove, dopo la beatificazione nel 1860, la maggior parte delle reliquie fu trasferita nella chiesa di san Venceslao a Olomouc nella Repubblica Ceca.

Note
  1. Alban Butler, Il primo grande dizionario dei Santi secondo il calendario, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2003², p. 320|21.
Collegamenti esterni