Santa Giuseppina Bakhita

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Santa Giuseppina Bakhita, F.d.C.C.
Religiosa
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battezzata
Santa
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Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 78 anni
Nascita Oglassa
1869
Morte Schio
8 febbraio 1947
Sepoltura
Conversione
Appartenenza
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Vestizione Venezia, 7 dicembre 1893
Professione religiosa Verona, 8 dicembre 1896
Ordinato diacono
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Cardinali creazioni
Proclamazioni
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Eventi

Iter verso la canonizzazione

Venerata da Chiesa cattolica
Venerabile il [[]]
Beatificazione 17 maggio 1992, da Giovanni Paolo II
Canonizzazione 1º ottobre 2000, da Giovanni Paolo II
Ricorrenza 8 febbraio
Altre ricorrenze nel Rito Ambrosiano il 9 febbraio
Santuario principale Tempio della Sacra Famiglia, convento delle Canossiane, Schio
Attributi
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
Patrona di
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Incoronazione
Investitura
Predecessore
Erede
Successore
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Onorificenze
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Nomi postumi
Altri titoli
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Consorte

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Figli
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Collegamenti esterni
Scheda su santiebeati.it
Invito all'ascolto
Firma autografa
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Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 8 febbraio, n. 1 (nel Rito Ambrosiano il 9 febbraio):
« Santa Giuseppina Bakhita, vergine, che, nata nella regione del Darfur in Sudan, fu rapita bambina e, venduta più volte nei mercati africani di schiavi, patì una crudele schiavitù; resa, infine, libera, a Venezia divenne cristiana e religiosa presso le Figlie della Carità e passò il resto della sua vita in Cristo nella città di Schio nel territorio di Vicenza prodigandosi per tutti. »

Santa Giuseppina Bakhita (Oglassa, 1869; † Schio, 8 febbraio 1947) è stata una religiosa sudanese.

Biografia

Nacque intorno al 1869 in un piccolo villaggio del Sudan occidentale. All'età di quattro-sei anni, fu rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma subito, dimenticò il proprio nome e quello dei propri familiari: i suoi rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa "fortunata". Venduta più volte dai mercanti di schiavi sui mercati di El Obeid e di Khartum, conobbe le umiliazioni e le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. In particolare, subì un tatuaggio cruento mentre era a servizio di un generale turco: le furono disegnati più di un centinaio di segni sul petto, sul ventre e sul braccio destro, incisi poi con un rasoio e successivamente coperti di sale per creare delle cicatrici permanenti.

Nella capitale sudanese venne infine comprata dal console italiano residente in quella città, Callisto Legnani, con il proposito di renderle la libertà: questo diplomatico già in precedenza aveva comprato bambini schiavi per restituirli alle loro famiglie. Nel caso di Bakhita ciò non fu possibile per la distanza del villaggio di origine dalla capitale e per il vuoto di memoria della bambina riguardo ai nomi del proprio villaggio e dei propri familiari. Nella casa del console Bakhita visse serenamente per due anni lavorando con gli altri domestici, senza essere più considerata una schiava.

Quando nel 1884 il diplomatico italiano dovette fuggire dalla capitale in seguito alla Guerra Mahdista, Bakhita lo implorò di non abbandonarla. Insieme a un amico del signor Legnani, Augusto Michieli, raggiunsero prima il porto di Suakin sul Mar Rosso, dove appresero della caduta di Khartum e dopo un mese si imbarcarono alla volta di Genova. In Italia Augusto Michieli e la moglie presero con loro Bakhita come bambinaia della figlia Mimmina e la portarono nella loro casa a Zianigo (frazione di Mirano). Dopo tre anni i coniugi Michieli si trasferirono in Africa a Suakin, dove possedevano un albergo e lasciarono temporaneamente la figlia e Bakhita in affidamento presso l'Istituto dei Catecumeni in Venezia, gestito dalle Canossiane. Bakhita venne ospitata gratuitamente come catecumena e cominciò a ricevere così un'istruzione religiosa.

Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con molto coraggio e decisione, manifestò la sua intenzione di rimanere in Italia con le suore Canossiane. La signora Michieli fece intervenire il Procuratore del Re, venne coinvolto anche il cardinale patriarca di Venezia Domenico Agostini, i quali insieme fecero presente alla signora che in Italia non erano riconosciute le leggi relative alla schiavitù: il 29 novembre 1889 Bakhita fu dichiarata legalmente libera.

Nel convento delle Canossiane dove rimase, il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette i sacramenti dell'iniziazione cristiana, con i nomi Giuseppina Margherita Fortunata. Il 7 dicembre 1893 entrò nel noviziato dello stesso istituto e l'8 dicembre 1896 pronunciò i primi voti religiosi.

Nel 1902 fu trasferita in un convento dell'ordine a Schio, dove trascorse il resto della vita. Qui lavorò come cuciniera, sagrestana e aiuto infermiera nel corso della Prima Guerra Mondiale, quando parte del convento venne adibito a ospedale militare. A partire dal 1922 le venne assegnato l'incarico di portinaia, servizio che la metteva in contatto con la popolazione locale, che prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma e il volto sempre sorridente: venne così ribattezzata dagli abitanti di Schio "Madre Moréta".

Il suo carisma e la sua fama di santità vennero notati dai suoi superiori, che a più riprese le chiesero di dettare le sue memorie. Il primo racconto venne dettato a suor Teresa Fabris nel 1910: ne risultò un manoscritto di 31 pagine in italiano (si noti che Bakhita parlava esclusivamente il veneto). Nel 1929, su invito della famiglia dell'amministratore dei coniugi Michieli, Illuminato Chicchini, persona cui lei era particolarmente legata e riconoscente, si racconta a un'altra consorella, suor Mariannina Turco; questo secondo manoscritto è andato perduto, probabilmente distrutto dalla stessa Bakhita.

Su richiesta della superiora generale dell'ordine, tra il 4 e il 6 novembre 1930 venne intervistata a Venezia da Ida Zanolini, laica canossiana e maestra elementare, la quale nel 1931 pubblicò il libro Storia Meravigliosa, ristampato 4 volte nel giro di sei anni.

Bakhita divenne così famosa in tutta Italia e molte persone, comitive e scolaresche andavano a Schio per incontrarla. Dal 1933, assieme a una suora missionaria di ritorno dalla Cina, suor Leopolda Benetti, iniziò a girare l'Italia per tenere conferenze di propaganda missionaria. Timida di natura e capace di parlare solo in lingua veneta, Bakhita si limitava a dire poche parole alla fine degli incontri, ma la sua presenza attirava l'interesse e la curiosità di migliaia di persone.

L'11 dicembre 1936 Bakhita, con un gruppo di missionarie in partenza per Addis Abeba, venne ricevuta a Roma da Benito Mussolini a Palazzo Venezia.

Dal 1939 cominciò ad avere seri problemi di salute e non si allontanò più da Schio. Morì l'8 febbraio 1947 dopo una lunga e dolorosa malattia. La salma venne inizialmente sepolta nella tomba di una famiglia di Schio, i Gasparella, probabilmente in vista di una successiva traslazione nel Tempio della Sacra Famiglia del convento delle Canossiane di Schio, traslazione poi avvenuta nel 1969.

Curiosità

Bakhita si esprimeva in lingua veneta e alcune sue frasi ed espressioni sono diventate famose.

Parlava di Dio come "el Parón" (il Padrone): «queło che vołe el Parón» ("quello che vuole il Signore"), «quanto bon che xé el Parón» ("quanto buono è il Signore"), «come se fa a no vołerghe ben al Parón» ("come si fa a non voler bene al Signore").

Di sé stessa: «Mi son on povero gnoco, come gai fato a tegnerme in convento?» ("Sono buona a niente, come hanno fatto a tenermi in convento?").

Quando la gente la compiangeva per la sua storia: «Poareta mi? Mi no son poareta perché son del Parón e neła so casa: quei che non xé del Parón i xé poareti» ("Poveretta io? Io non sono povera perché sono del Signore e nella sua casa: quelli che non sono del Signore sono i veri poveretti").

Soffrì parecchio nel subire la curiosità della gente e l'acquisita notorietà: «Tuti i vołe védarme: son proprio na bestia rara!» ("Tutti vogliono vedermi: sono proprio una bestia rara!").

Processo di canonizzazione

Il processo di canonizzazione iniziò nel 1959, a soli 12 anni dalla morte.

Il 1º dicembre 1978 Papa Giovanni Paolo II firmò il decreto dell'eroicità delle virtù della serva di Dio Giuseppina Bakhita. Durante lo stesso pontificato, Giuseppina Bakhita fu beatificata il 17 maggio 1992 e canonizzata il 1º ottobre 2000.

La memoria liturgica si celebra il giorno 8 febbraio.

Il miracolo per la canonizzazione

In generale, ai fini della canonizzazione, la Chiesa cattolica ritiene necessario un secondo miracolo, dopo quello richiesto per la beatificazione: nel caso di santa Giuseppina Bakhita, ha ritenuto miracolosa la guarigione di Eva da Costa Onishi, guarita nel 1992 da ulcerazioni infette agli arti inferiori, causate da diabete e ipertensione.

Eva da Costa, nata il 1º gennaio 1931 a Iguape (Brasile), nel 1950 si era sposata con Yoziro Onishi, di origine giapponese, dal quale aveva avuto quattro figli, separandosi successivamente.

Stabilitasi con il figlio minore nei quartieri poveri di Santos, dal 1976 era diventata diabetica. Nel 1980 erano apparse profonde piaghe infette alle gambe, diagnosticate come ulcerazioni infette in soggetto con diabete mellito, ipertensione e insufficienza cronica del circolo venoso. Le precarie condizioni economiche non le consentivano di curarsi adeguatamente e si prospettava l'amputazione.

Nel 1992, anno della beatificazione di Giuseppina Bakhita, partecipando il 27 maggio a una riunione delle "Donne Anziane" nella cattedrale di Santos, invocò l'aiuto della beata Bakhita. Tornata a casa, si accorse che le piaghe, una delle quali arrivava all'osso, erano improvvisamente scomparse e la pelle era diventata nuova e morbida[1].

Il caso, dopo il processo diocesano, fu sottoposto alla Congregazione per le Cause dei Santi che, il 21 dicembre 1998, promulgò il decreto sul miracolo, dichiarando l'inspiegabilità della guarigione, rapida, completa e duratura[2].

Il 1º ottobre 2000 Eva da Costa partecipò, in piazza San Pietro, alla cerimonia di canonizzazione della beata Giuseppina Bakhita.

Santa Giuseppina Bakhita e Papa Benedetto XVI

« Mediante la conoscenza della speranza lei era "redenta", non si sentiva più schiava ma libera figlia di Dio. »

Santa Giuseppina Bakhita viene ricordata da Papa Benedetto XVI nell'Enciclica Spe salvi. Il Pontefice racconta nel documento la sua vita ricordandola come esempio di speranza cristiana.

Film

Nel 2009, RaiUno ha trasmesso, in una miniserie in due puntate, la storia di Bakhita.

Note
  1. Piero Vigorelli, Miracoli, Edizioni Piemme, 2004, pp.243-248
  2. Decretum Super Miraculo, AAS, Acta Apostolicae Sedis, 1999, vol 91 (9), pp.915-917
Bibliografia
  • Ida Zanolini, Storia Meravigliosa, Editions du Signe, Strasbourg, 2000
«Si tratta della ottava edizione, ampliata e aggiornata, del libro stampato nel 1931 che ha reso famosa la storia di Bakhita in Italia. Come ebbe a dire la stessa Bakhita, l'autrice ha ricamato parecchio sopra il racconto originario. Il libro è anche un documento significativo di come veniva vista l'Africa dagli Italiani nell'epoca coloniale. Emblematica la frase del primo capitolo in cui viene presentata Bakhita: La persona slanciata, il colore nerissimo della pelle, la conformazione regolare del viso con le labbra e gli zigomi non troppo sporgenti, i capelli fitti e crespi, indicavano che Bakhita apparteneva alla "razza negroide dei Dangiu, che occupava la zona sudovest del Sudan ».
  • Roberto Italo Zanini, Bakhita Il cuore ci martellava nel petto, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2004
«Nella prima parte di questo libro viene riportato il racconto integrale dettato da Bakhita e scritto da suor Teresa Fabris nel 1910. ».
  • Roberto Italo Zanini, Bakhita Inchiesta su una Santa per il 2000, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001
  • Maria Alloisio, Bakhita, Editrice La Scuola, Brescia, 1970
Voci correlate
Collegamenti esterni