Trasfigurazione di Gesù Cristo (Giovanni Bellini, Napoli)
Giovanni Bellini, Trasfigurazione di Gesù Cristo (1478 - 1479), tempera su tavola | |
Trasfigurazione di Gesù Cristo | |
Opera d'arte | |
Stato | |
Regione | Campania |
Regione ecclesiastica | Campania |
Provincia | Napoli |
Comune | |
Diocesi | Napoli |
Ubicazione specifica | Museo Nazionale di Capodimonte |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Vicenza |
Luogo di provenienza | Cattedrale di Santa Maria Annunciata, cappella Fioccardo |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Trasfigurazione di Gesù Cristo |
Datazione | 1478 - 1479 |
Ambito culturale | scuola veneta |
Autore |
Giovanni Bellini |
Materia e tecnica | tempera su tavola |
Misure | h. 115 cm; l. 154 cm |
Iscrizioni | IOANNES BELLI/NUS ME PINXIT |
Note opera firmata e datata | |
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La Trasfigurazione di Gesù Cristo è un dipinto, eseguito tra il 1478 ed il 1479, a tempera su tavola da Giovanni Bellini (1433 - 1516), proveniente dalla Cattedrale di Santa Maria Annunciata a Vicenza ed ora conservata nel Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli.
Descrizione
Soggetto
Il dipinto raffigura l'episodio evangelico, ambientato sul monte Tabor, dove compaiono:
- Gesù Cristo trasfigurato, rivela la sua natura divina alla presenza di tre apostoli: egli indossa delle vesti bianche, che hanno il nitore, la trasparenza e la bellezza delle nuvole. Gesù è il centro di tutto il discorso compositivo, l'inizio e la fine di questa creazione sfolgorante in lui ed in lui ricreata. L'inquadratura di Cristo è frontale: le mani aperte, secondo il gesto degli antichi oranti, classico ed insieme cristiano, autorevole e soave. Il suo volto ha i tratti dell'innocenza, dell'eterna giovinezza di Dio, della sapienza, della bontà, della regalità, dell'autorevolezza e dell'amore. Il suo volto è caratterizzato da tratti indimenticabili nella loro innocenza, oltre il Tempo, sapiente con lo sguardo diretto.
- Profeti si sono materializzati accanto a Gesù e "conversano" con lui della sua imminente passione e morte; essi riassumono il suo esser venuto a completare la Legge e sono il simbolo dell'avverarsi delle profezie dell'Antico Testamento. I due profeti sono posti ai lati di Cristo:
- San Giovanni, san Pietro e san Giacomo, storditi dall'evento, sono atterrati come folgorati dalla splendida visione.
Ambientazione
La scena del dipinto è ambientata in un ampio paesaggio veneto e padano, dove sono riconoscibili il campanile della Basilica di Sant'Apollinare in Classe e la Tomba di Teodorico a Ravenna, e dove si vede una campagna, caratterizzata da:
- sentieri che si snodano verso città e edifici;
- colline e montagne che si perdono lontane all'orizzonte;
- cieli solcati da nuvole bianche e gonfie nel vento;
- popolata di poche, rasserenanti presenze, come il mandriano che conduce le vacche sulla via del ritorno o il colloquio sommesso e lontano di due uomini sconosciuti, uno vestito all'orientale, con il suo turbante bianco e l'altro vestito di bruno come un frate.
L'ambientazione, in cui è "immerso" l'episodio narrato nel Vangelo, è una campagna "pervasa di divino", che sembra essa stessa sacramento, ossia "segno" di quanto è avvenuto nella trasfigurazione. Infatti, l'immagine è ricca di dettagli interessanti, anche di valore simbolico, come:
- La staccionata "domestica", in primo piano, dove si notano grotte e scaglioni di rocce, che sembrano in un certo senso alludere al lungo percorso della Storia, che ci separa ed insieme unisce a quest'avvenimento ed al suo mistero.
- I due alberi, quello spoglio e l'altro frondoso, che simboleggiano la morte e la vita che si risolvono in Gesù e nella sua vicenda umana di Trasfigurazione, Resurrezione e Ascensione: questa non è una novità, ma un topos della pittura, come si vede anche nel Gesù Cristo risorto (1463 - 1464) di Piero della Francesca.
- Strati calcarei, stratificazioni geologiche di pietre millenarie sono, infatti, un particolare che già nella pittura di Andrea Mantegna (1431 – 1506), cognato di Giovanni Bellini, allude sempre al senso del Tempo ed alla sua azione nella Storia.
- Il tronco reciso allude alla passione ed alla giovane vita spezzata di Gesù Cristo.
Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche
- La fusione tra figure e paesaggio, grazie alla costruzione tramite colore e luce che nasconde la linea di contorno, raggiunge qui un'alta intensità. La luce calda e profonda, infatti, sembra far partecipare ogni dettaglio, con la sua radiosa bellezza, all'evento miracoloso. La gradualità degli accordi cromatici è come " in salita", dai bruni del primo piano ai colori sempre più chiari e trasparenti della parte superiore. Le nubi temporalesche più lontane sembrerebbero, comunque, alludere alla presenza di Dio Padre.
- Nel leggere l'immagine di questo dipinto è importante tenere presente che la Trasfigurazione è una profezia di resurrezione, d'ascensione e della seconda venuta di Cristo. Infatti, l'episodio della Trasfigurazione procede di poco gli avvenimenti della passione ed è come un viatico che il Padre dà al Figlio, prima della "notte" che Egli dovrà attraversare. Anche, tutta la creazione raffigurata è qui liturgia sacra, che parla di "trasfigurazione", perché Gesù Cristo, presenza invisibile, l'ha completamente resa capace di divino splendore, pur nel silenzio e nella circolarità naturale del suo respiro autunnale, con quel senso della pace serale che arriva diretto, che parla di verità e di silenzio, nella pienezza annullante di Dio.
- In quest'opera, la pace sovrana del creato dice molte cose sul mistero dell'Amore di Dio che si riversa sulla Natura, una natura finalmente "redenta" e restituita al suo archetipo di splendore grazie al dono di Cristo, unica salvezza dell'uomo, perché capace di risolverne il destino nel passaggio dalla vita biologica a quella eterna. Inoltre, indicativo che l'artista non abbia voluto tanto rilevare la trascendenza del momento rappresentato, con accorgimenti volti a separare l'aldiquà dall'aldilà, nel modo quasi teatrale, che sarà tipico della pittura del XVI secolo, ma piuttosto la sua immanenza, come a voler suggerire che il dono è qui, che il Regno è così vicino, così a portata di mano, basta osservare il creato ed il suo linguaggio d'amore e d'armonia, di perfezione e di bontà.
Iscrizioni
Nel dipinto si trova un'iscrizione collocata nel piccolo cartiglio sulla staccionata, dove si legge la firma dell'opera:
« | IOANNES BELLI/NUS ME PINXIT » |
Inoltre, studi recenti hanno condotto alla decifrazione di un'altra iscrizione, in lettere ebraiche, presente sul rotolo che reca Mosè, la quale ha consentito di risalire alla datazione dell'opera: 1478 - 1479 (anno 5239 del calendario ebraico).
Notizie storico-critiche
L'opera fu realizzata per essere collocata sull'altare della cappella Fioccardo del Cattedrale di Santa Maria Annunciata di Vicenza, eretta nei primi anni del XVI secolo.
La cappella, originariamente dedicata alla Trasfigurazione di Gesù venne fatta erigere dall'arcidiacono Alberto Fioccardo e non era ancora finita alla sua morte, nel 1467, tanto che nel testamento sono inserite specifiche indicazioni per il suo completamento, ma senza fare alcun riferimento al dipinto, probabilmente già commissionato.
Nel 1613 la cappella venne intitolata a san Leonzio, san Carpoforo, sant'Eufemia e sant'Innocenzo, ed è verosimilmente a questa data che va fatta risalire la rimozione dell'opera dalla sua ubicazione originaria e, in seguito, probabilmente, il suo passaggio alla famiglia Farnese.
La prima menzione del dipinto in contesto farnesiano risale all'inventario del 1644, presenza confermata anche da quello del 1653.
L'opera viene in seguito trasferita a Parma, in una data non precisabile con esattezza; figurerà quindi, dal 1680 circa e per tutto il XVII secolo, nella Quinta Camera del Palazzo del Giardino, fino a, quando non venne selezionata tra le poco più di trecento opere destinate all'esposizione della nuova galleria ducale al palazzo della Pilotta. Qui è collocata con grande rilievo ed è, inoltre, inserita fra i cento dipinti più importanti nel primo catalogo a stampa della collezione edito nel 1725.
Gli inventari parmensi continuano a citarla fino al 1734, quando viene trasferita a Napoli al seguito di Carlo di Borbone (1716 – 1788). Dopo una probabile collocazione a Palazzo Reale, come tutte le opere provenienti da Parma, la Trasfigurazione entra a far parte della collezione farnesiana allestita nelle sale del Palazzo di Capodimonte, intorno alla metà del XVIII secolo.
Nel 1783, il gallerista fiorentino Tommaso Puccini (1749 - 1811), nel corso della sua visita alla raccolta napoletana, ha modo di descriverne con grande entusiasmo ed acume critico il valore artistico:
« | Questo quadro nel campo è un poco tedesco, e le figure in avanti potrebbero essere più grandi, ma nel resto è bellissimo. Il Cristo ha una nobiltà, una dignità indicibile. Il panno bianco direi che non la cede a qualunque più bello di Raffaello sì per il partito, che per le pieghe. I panni dei due al fianco sono altresì stupendi... » |
La qualità del dipinto colpirà anche i generali francesi che nel 1799 saccheggiano il Palazzo di Capodimonte prelevandone trenta dipinti esplicitamente requisiti «per la Repubblica Francese», fra cui, appunto, la Trasfigurazione. Il recupero dell'opera, trasferita a Roma, sarà effettuato, in ogni caso, alla fine di quell'anno da Domenico Venuti, che la riporterà a Napoli per collocarla nella Galleria del Palazzo di Francavilla, nuova sede espositiva delle collezioni borboniche, in allestimento a quel tempo.
Dopo alcuni anni, nel 1806, di nuovo sotto l'incalzare delle truppe francesi, Ferdinando IV di Borbone (1751 - 1825) decise di inviarla a scopo cautelativo a Palermo, insieme con una settantina dei dipinti più importanti di sua proprietà, scelti fra le gallerie di Francavilla e di Capodimonte.
Dopo il 1815, con la Restaurazione sul trono dei Borbone, il dipinto ritornerà al Palazzo degli Studi, per poi entrare a far parte organicamente del Real Museo Borbonico, dove è citato lungo il corso del XIX secolo dalle molte guide e dal monumentale catalogo della raccolta, in più tomi, che ne pubblica anche l'incisione (1827).
L'intervento di restauro, eseguito tra il 1959 ed il 1960, ha rivelato che i volti di san Pietro e san Giacomo, le fronde dell'albero (a destra) e la figurina sullo sfondo che parla con l'uomo con il turbante sono il risultato di un rifacimento, realizzato all'inizio del XVI secolo, ossia posteriore di un ventennio alla data d'esecuzione dell'opera, ma non è chiaro se per mano dello stesso Giovanni Bellini o d'altri pittori.
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