Anna Maria Li Guastelli
Anna Maria Li Guastelli, O.C.D. Religiosa | |
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Età alla morte | 79 anni |
Nascita | Palermo 1735 |
Morte | 1814 |
Appartenenza | Arcidiocesi di Palermo |
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Anna Maria Li Guastelli, suor Anna Isabella del Cor di Maria (Palermo, 1735; † 1814), è stata una religiosa e poetessa italiana dell'Ordine delle Carmelitane Scalze nel monastero dell'Assunzione della Beata Vergine Maria a Porta Vicari di Palermo[2]. Fece parte dell'Accademia degli Ereini con il soprannome di Lesbia Ippocrenea. Lasciò due poemetti: "Santa Rosalia" e "Palermo liberata dalla peste del 1625 nell'invenzione e trionfo di santa Rosalia", entrambi pubblicati nel 1773. A lei è dedicato un vicolo a Palermo con il suo nome secolare[3].
Biografia
Anna Maria Li Guastelli nacque a Palermo nel 1735. La sua famiglia, seppur di nobiltà non antica, figurava tra quelle della facoltosa e alta società palermitana. Il padre, Giambattista Li Guastelli, nel 1763 aveva ricoperto nella Città di Palermo prima la carica di senatore, poi di Maestro Razionale[4], quest'ultima sino al 1773[5] e nipote di Lorenzo Li Guastelli, uditore generale delle galere del Regno di Sicilia.
Da adulta, superando il dissenso dei genitori, scelse la Professione religiosa nell'Ordine delle Carmelitane scalze, primo monastero dell'Assunzione della Beata Vergine Maria a Palermo[2], assumendo il nome di suor Anna Isabella del Cor di Maria. Entrò in monastero prima del 1760, intorno all'età di venticinque anni. Già a quell'età, in clausura, scrive il poema Segnalate gesta della gloriosa madre Santa Teresa d'Avila (1763), pubblicato, però, nel 1787.
Formazione Culturale
Suor Anna Isabella ricevette, com'era usanza nelle famiglie del suo rango, una buona educazione e istruzione. Questo permise in convento il suo inserimento tra le monache coriste, ossia fra quelle che potevano partecipare alla preghiera dei salmi nel coro.
Suor Anna Isabella oltre che monaca era anche donna letterata. Il 22 luglio 1774 fu annoverata nell' Accademia dell'Arcadia[6] con il nome di Arenia Mulcibera sotto la custodia di Gioacchino Pizzi[7] e nell' Accademia degli Ereini con il nome di Lesbia Ippocrenea. In quest'ultima apparteneva alle "ninfe", ovverosia alle "pastorelle", che non potevano intervenire nelle adunanze per ragioni d'onestà, dettate dalla convenzione sociale che le donne non potevano partecipare a momenti pubblici insieme agli uomini. Non era previsto che potessero tenere incontri, anche se letterari, di sole donne. Potevano dedicarsi allo studio e alla cultura, mandare i loro componimenti ai Congressi, ossia agli Accademici effettivi, incaricandone della lettura qualche Pastore.
Lesbia, però, partecipava, forse, agli incontri dell'Accademia degli Ereini perché nella richiesta di poter aggiungere nel frontespizio del poema su santa Rosalia il nome di Lesbia Ippocrenea, le fu data riposta positiva con la seguente motivazione: « Avendo noi per commissione del nostro chiarissimo Corifeo riveduto un Poemetto intitolato: santa Rosalia Vergine e Cittadina Palermitana: composto dalla nostra saggissima Ninfa Lesbia Ippocrenea, nome che porta nella Pastorale adunanza [...] non abbiamo trovato in esso cosa che si opponga alle Leggi di nostra Accademia; e perciò siam di parere, che possa la suddetta Ninfa valersi nella stampa del nome Pastorale.»
Li Guastelli in Arcadia Lesbia Ippocrenea
Se mettiamo a confronto i frontespizi delle due opere principali è possibile fare delle ipotesi per aggiungere ulteriori elementi al profilo biografico e culturale della monaca carmelitana scalza. Dal frontespizio di santa Rosalia, poiché si dà prima il nome da laica e poi da religiosa, dovrebbe significare che questo fa riferimento a un tempo in cui la Li Guastelli era da poco entrata in monastero. Il frontespizio di "Segnalate gesta" si dovrebbe invece riferire al tempo in cui la Li Guastelli era monaca da alcuni anni. Il titolo "reverenda madre" era riservato solo alla priora in carica. Come già riportato, il 22 luglio 1774, fu annoverata fra gli Arcadi[6] e Giuseppe Fedele Vitale da Gangi[8] detto fra gli Arcadi Vivaldo Ovidio e fra gli Ereini Lirnesso Dodoneo scrive:
« Questo è il plauso de' tuoi sonori accenti
Socio fedele, che dall'Istro al Gange
scorre con piè di tono e passa i venti.»
Le firme inoltre di alcuni nobili, che siglano i dodici sonetti e le due canzonette dedicate all'autrice, manifestano l'appartenenza a entrambe le accademie. Diciassette anni dopo, il nome assunto nell'Accademia degli Ereini, risulta ancora nel frontespizio dell'opera di Santa Teresa. Ciò si spiega in quanto l'opera su Segnalate gesta era già pronta per la pubblicazione il 10 luglio 1763, data in cui il Preposito generale della congregazione italiana di Sant'Elia dei Carmelitani Scalzi aveva concesso il permesso di farne dono al padre per pubblicarlo. L'opera, in realtà, non venne subito pubblicata. Lo stampatore del poema informa: « Forse, la Dio mercè, in altri tempi, darò alle stampe altro poema composto dalla stessa persona sopra le gesta di santa Teresa.» Sollecitazione che viene anche da don Niccola de' Marini, professore dell'eloquenza nel Real Collegio di Palermo, tra gli Ereini Niso Asisteo, che dice:
« Scrivesti di Teresa, e oh se quelle
Tue dotte rime udir potesse il mondo!»
Alcune ipotesi sul nome arcadico
Ispiratore del verseggiare di Lesbia Ippocrenea potrebbe essere l'illustre poeta latino Catullo[9], dotato di forte temperamento poetico. Per il suo nome d'arte nell'accademia degli Ereini forse si ispirò alla sorella del demagogo e tribuno Publio Clodio Pulcro, sposa per interesse del proconsole per il territorio cisalpino Quinto Cecilio Metello Celere. Amata da Catullo, anche se più anziana di lui, sotto il nome di Lesbia. Quanto al nome Ippocrenea probabilmente si è ispirata a Ippocrene, la celebre fonte che scaturiva sopra una vetta dell'Elicona[10]. Si diceva che avesse avuto origine da un calcio del cavallo alato Pegaso[11]. La fonte era sacra alle Muse e si credeva che le sue acque dessero ai poeti l'estro del comporre. Forse la Li Guastelli volle contrapporre nel suo stesso nome la donna che ispirò i venticinque carmi di Catullo e la fonte sacra alle dee, perché autentica ispiratrice della poesia. Se così fosse, in questa direzione potrebbe andare l'interpretazione dei versi a lei dedicati da Niccola de' Marini:
« Lesbia, ti dice il gran Torquato, i miei
Vestigi hai ben seguito e segui ancora:
Ma seguendo l'esempio, esempio sei.»
Opere
Non più di due anni è durata la composizione su Segnalate gesta, poco se si pensa che l'opera consta di venticinque canti, tutti di un centinaio di ottave o più, per un complesso di 21.744 versi. Nella prima metà del 1763 il lavoro su Santa Teresa era terminato. E poiché il senatore Li Guastelli, eletto proprio quell'anno, aveva mostrato il desiderio di darlo alle stampe, in data 10 luglio il Preposito Generale dell'ordine, fr. Filippo di San Francesco, spedì licenza alla suora, ormai "religiosa professa velata", di farne dono al padre. Ma diverse circostanze ne ostacolarono la pubblicazione, rimandata al 1787, diciassette anni dopo.
Liriche d'occasione
Videro la luce nel 1767 alcune liriche d'occasione composte per la velazione di una dama dell'alta società, donna Elisabetta Gravina Napoli, figlia del Grande di Spagna Principe di Montevago. Si tratta di sonetti e di anacreontiche pastorali[12]. Ma non sono queste comunque le prime opere pubblicate dalla religiosa carmelitana scalza, perché già in esse l'autrice è nominata con il suo pseudonimo accademico fra gli Ereini di Lesbia Ippocrenea.
Poemetti e Poema su Santa Teresa
Nel 1773 uscirono i due poemetti che più comunemente sono citati come opere della Li Guastelli, su santa Rosalia e su Palermo liberata e soltanto qualche anno più tardi, per l'interessamento del fratello Lorenzo, certamente dopo il 1780, vide la luce il poema su Santa Teresa d'Avila. L'editore Gagliani accenna, infatti, ai due poemetti come già noti al pubblico "da più anni". Nel 1780, peraltro, suor Anna Isabella figura come Priora del suo monastero in un suo opuscoletto che contiene una curiosa devozione in versi dedicata a San Giovanni Evangelista, pubblicato sempre a Palermo a cura di una Monaca del Monastero del Cancelliere[13].
Nel frontespizio dell'opera "Segnalate gesta" il titolo di priora non era presente. È lecito quindi supporre che l'opera abbia visto la luce solo allo scadere del suo priorato. Della carmelitana poetessa si ha in seguito soltanto la notizia fornitaci da Domenico Scinà[14], secondo la quale sarebbe morta quasi ottuagenaria, verso il 1814.
Il poema Segnalate gesta è dedicato alla moglie del viceré di Sicilia, donna Vittoria de Guevara dei conti d'Aquino, principessa di Caramanico. Sullo stile dei grandi poemi cinquecenteschi l'autrice, dopo l'invocazione a Dio e alla Vergine Maria, nelle prime strofe (la quarta e la quinta) le dedica la sua opera. Il fratello Lorenzo sottolinea nella lettera dedicatoria il motivo che aveva spinto la sorella a indirizzarle l'opera: « come fu l'Ariosto col Cardinale d'Este, e il Tasso col Duca di Ferrara.»
L'impressione che si ha dalla lettura del poema è quella di una considerevole fedeltà storica. Le fonti di riferimento attingono, anzitutto, alle opere stesse della Santa. Tra esse prevalentemente la Vita e le Fondazioni. Intere frasi si direbbero tradotte letteralmente dagli scritti della Riformatrice. Facendo un parallelo tra la materia del poema e quella delle opere della Santa, è possibile stabilire, grosso modo, la proporzione in cui questa si sia trasfusa in quella: i canti dal I al VII corrispondono ai capitoli 1-36 della Vita, eccetto i capitoli 11-12 che trattano dei quattro gradi d'orazione. I canti dall'VIII al XXIII, trovano riscontro nell'intero libro delle Fondazioni, tranne i capitoli 4-8 relativi a dottrina d'orazione e a consigli di governo. Gli ultimi due canti sono riservati alla morte della Santa e ai prodigi verificatisi intorno al suo sepolcro, fino all'apoteosi finale della canonizzazione.
La materia è distribuita in forma frammentaria per l'intento "epico"[15] che l'autrice si era proposto. L'idea di utilizzare il genere epico è una scelta dettata dal carattere avventuroso che presenta la Vita della riformatrice. Scrive infatti l'editore « seguì per ogni dove colla Rima il rigore storico» e volle farla conoscere a tutto il mondo perché « forte, ardendo del meraviglioso della Vita di questa Santa Eroina». Ma già nel 1650 Padre Eliseo di Gesù O.C.D., aveva pubblicato a Cracovia quattro libri De vita, gestis et miraculis S. Theresiae a Jesu, in versi.
Nel testo di Anna Maria Li Guastelli alcuni periodi della vita della riformatrice, come quello della giovinezza e del processo intimo della vocazione, sono riassunti brevemente, senza soffermarsi in argomenti che potevano apparire brillanti, quale la vita della società avilese, né a situazioni interiori, di tono più lirico. Maggiormente sviluppato è invece il periodo della riforma e delle fondazioni. Di grande interesse è il tema dei contrasti sostenuti da Santa Teresa d'Avila. Ma la fedeltà al tono epico prescelto costringe l'autrice a lasciar da parte argomenti propriamente dottrinari, che arricchiscono di sapienza ascetica e mistica le opere teresiane.
La morte
Non sono reperibili informazioni precise sulla data di morte, sulle esequie e sulla sepoltura[16]. Suor Anna Maria tornò alla casa del Padre nel 1814.
Curiosità sulle Opere
Per l'abbondanza di informazioni racchiuse nel poema, è evidente che l'autrice abbia consultato almeno due biografie, quella di Padre Ribera[17] e di Diego de Yepes[18]. Da quest'ultima è tratto, ad esempio, l'episodio narrato nel canto XIII, a proposito del rigore introdotto da Teresa, priora dell'Incarnazione. Degno di rilievo il particolare del cavaliere, troppo assiduo frequentatore del parlatorio, minacciato dalla Santa di ricorso presso Sua maestà il Re. La scena figura nella vita di Diego de Yepes e soltanto in alcune edizioni.
Meno complessa si presenta l'operetta su Santa Rosalia pubblicata nel 1773 ossia tre anni prima della fine dell'Accademia degli Ereini quando, accolta nel 1766 nel Collegio Reale dei Nobili dal principe di Resuttano Federigo di Napoli e Montaperto, andava spegnendosi verso il 1776. La pubblicazione dell'opera viene realizzata, grazie al padre della scrittrice. Questi era « riuscito finalmente con industria ingannar la ritrosia religiosa dell'Autrice», scrive l'editore, perché aveva « sepolte in un oscurità negletta» queste rime, composte « per coltivar le sacre Muse e non a far mostra di erudizione». La suora carmelitana scalza, infatti, non aveva ceduto a "nessun sforzo o di preghiera, o di persuasione" per "indurla a consegnare" a qualcuno il componimento. Riuscì nell'intento il padre con la scusa "di leggerlo, per sollazzarsi".
Lo scritto comprende due parti. La prima descrive le gesta "della nostra Santa Vergine Compatriota Rosalia, che la innalzarono sopra ogni donna mortale al sublime grado d'immortale Eroina". Esso è composto da nove canti con una media di 76 strofe ciascuno, complessivamente 5.524 versi. La seconda parte "rammenta con storica verità: ma condita di molli versi i funesti, lacrimevoli giorni dell'anno 1625". Si tratta del contagio della peste che aveva "desolato e afflitto" la città di Palermo. L'autrice nei sei canti racconta, inoltre, che la peste venne debellata per « il ritrovamento delle sacre reliquie e il giulivo, trionfante esalamento del santo corpo con insieme la copia di grazie, concesse dalla poderosissima protezione di tal Santa», alla città. Anche in questa seconda parte i canti sono composti da una media di 73 strofe ciascuno per un totale di 3.428 versi.
Il giudizio dei critici del tempo
Rendono interessante questo poema i dodici sonetti e le due canzonette dedicate all'autrice da uomini di cultura, che ne disegnano un elevato profilo letterario. Innanzitutto a leggere l'opera furono « vari letterati, che vanta la dotta, sìcola repubblica, lo lessero, e indi lo stimarono degno del torchio». Quasi tutti i sonetti commentano lo stile della Li Guastelli. Affermazioni che smentiscono di gran lunga l'unico giudizio negativo dello Scinà[14]: « Facile è il verso, non nobile, vivacità avvii d'immaginativa, non leggiadra...». In netto contrasto la valutazione che ne fa il Agostino Forno[19]. Per il dotto letterato e regio istoriografo di Sicilia Lesbia ha tessuto "bei carmi" espressi "in colto stile".
Dello stesso parere è Don Gabriel Carmelo Adamo, il quale si stupisce di fronte "al suo cantar virile" al punto da affermare che "ogn'altro canto è vile". Significativo dal punto di vista culturale l'espressione di Gandolfo Felice Buongiorno dei Baroni di Cacchiamo[20]:
« Lesbia la Musa tua miracol parrai,
E, in lei rimiro tal virtude ascosa,
Che al tempo imperi, el nero oblio Disarmi.»
Una nota positiva di entrambe le opere è il tono volutamente fedele alle fonti. È sobrio, raramente indulgente ad ampollosità retoriche. Forse nuoce la preoccupazione dell'autrice di dare un indice e ridurre, quindi, in ottave il sommario che prelude a ogni canto. Ciò la costringe a cadute di stile. Nel racconto l'esposizione procede spedita. Sono relativamente scarse le immagini pesanti, le descrizioni ispirate ad arcadico naturalismo e le metafore artificiose. Di queste alcune sono tratte dalle Sacre Scritture e da San Giovanni della Croce, come l'immagine della cerva assetata, della Sposa, della natura che riflette la bellezza dell'Amato. L'intento è di cogliere i simboli della gioia nel loro valore spirituale.
Una considerazione
Le opere, infine, sono nate più dalla devozione che da un interesse letterario accademico. Questo carattere concorda con il tono di sincerità, di intima rispondenza a una esigenza spirituale sentita, che nella poesia religiosa della seconda metà del secolo sopravvive alla moda. Credo che sia questo, tra l'altro, il merito dell'autrice: essere rappresentante dell'indirizzo epico nella poesia religiosa dell'epoca, accanto ai poemi che si scrissero per San Francesco Saverio, San Filippo Neri, per Santa Maria Maddalena e per altri Santi.
Le ragioni per cui Lesbia scrive sono poste in evidenza nella "protesta" dell'autrice, pubblicata in Segnalate gesta. Si tratta di un sonetto, che le fa meritare - secondo Agostino Forno[19] - non solo un "serto di rose", ma di "lauro umil corona".
« Non mi spinge a cantar vago desio
Di false lodi e lusinghiera fama,
O quel vano piacer, che onor di chiama
Scarsa mercè del Mondo iniquio e rio.
Già sì stolti pensier posi in oblio
Quand'io l'abbandonai, ne il cor più l'ama
Anzi l'abborre, lo detesta e brama
Mostrar quante e qual sian l'opre di Dio.
Signor tu solo fosti, sol tu sei,
Che al mio sì rozzo stil desti e dal vanto,
Qual da me stessa dargli io non saprei
.Onde a lodar tuo nome Inclito e Santo,
Tua potenza innalzar ne versi miei
Questo è l'onor, che sol brama il mio canto.»
Note | |
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