In Plurimis

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In Plurimis
Lettera enciclica di Leone XIII
XXV di LXXXVI di questo papa
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Data 5 maggio 1888
(XI di pontificato)
Traduzione del titolo Fra le numerose
Argomenti trattati Condanna della schiavitù
Enciclica precedente Quod Anniversarius
Enciclica successiva Libertas

(IT) Testo integrale sul sito della Santa Sede.
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1leftarrow.png Voce principale: Schiavitù e cristianesimo.

In Plurimis è un'enciclica di Papa Leone XIII, datata 5 maggio 1888, rivolta ai vescovi del Brasile, contro la schiavitù.

Contesto

Occasione dell'enciclica è il ringraziamento offerto dal papa ai vescovi e laici brasiliani per aver riscattato molti schiavi l'anno precedente (1887), come segno di giubilo in occasione del suo 50° anno di Messa. Il lungo testo rappresenta una summa e compendio della dottrina cattolica contro la schiavitù, considerato che all'epoca il Brasile era rimasto l'ultimo paese occidentale a praticarla.

L'enciclica va intesa come un supporto dottrinale della Chiesa al pieno abolizionismo (dopo le leggi parziali del 1871 e 1875) che sarà sancito dalla di poco successiva (13 maggio 1888) Lei Áurea, "Legge d'oro", promulgata dalla principessa imperatrice del Brasile.

Il medesimo argomento verrà ripreso da Leone XIII nell'enciclica Catholicae Ecclesiae del 1890.

Contenuto

Il papa prende atto del fatto che "i Brasiliani intendono eliminare ed estirpare completamente la vergogna (immanitatem) della schiavitù", e ritiene suo dovere apostolico favorire e promuovere tale processo, "in modo che siano alleviate le molte miserie che, come frutto di albero malato, derivarono dalla colpa del primo genitore", e non dalla originale volontà divina. Come conseguenza del peccato originale, la monstrosa perversitas della schiavitù si impose tra tutte le nazioni, in primis Greci e Romani, giustificata anche da "i più assennati tra i pagani, filosofi insigni, grandi esperti di diritto". Ma l'incarnazione di Gesù e la nascita della Chiesa, con i loro insegnamenti, permisero agli schiavi di risollevarsi dal fango e, col tempo, di estirpare "la peste della servitù" (servitutis pestem).

Il papa ripercorre poi i "veramente aurei, bellissimi e salutari documenti" contro la schiavitù, e cita anche la ricorrente prassi antica della caritatevole liberazione degli schiavi e l'istituzione degli ordini di redenzione:

Alla fine del XV secolo la "funesta piaga della schiavitù" (funesta servitutis labe) era quasi scomparsa dagli stati cristiani, ma le scoperte riaccesero la sottomissione e il traffico di schiavi indiani e africani. Seguirono nuove condanne papali di Pio II, Paolo III, Urbano VIII, Benedetto XIV, Pio VII, Gregorio XVI.

Alla fine il "turpe mercato di uomini" (turpis hominum mercatura) è cessato nei mari (occidentali), anche se rimane praticato dai Maomettani in Africa e nell'oceano indiano, con epicentro a Zanzibar, e "volesse il cielo" che autorità e potere (civile) mettesse fine a quel mercato "del quale nulla è più disonesto e scellerato" (qua nulla inhonesta magis et scelerata).[1]

Il papa conclude esortando i vescovi brasiliani a favorire i provvedimenti statali che mirano alla liberazione degli schiavi e a intervenire "con grande zelo in questa opera che incontra certamente non lievi difficoltà", cercando di ottenere il risultato "senza alcun sommovimento sociale", esortando gli schiavi liberati a "temere e rispettare la maestà dei regnanti, ubbidire ai funzionari, sottomettersi alle leggi".

Fonti
Note
  1. Zanzibar fu poi conquistata dagli inglesi il 27 agosto 1896, e imposero fine della tratta.
Voci correlate