San Teodoro di Amasea

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San Teodoro di Amasea
Laico · Martire
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battezzato
Santo
Generale e martire
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Titolo
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Età alla morte {{{età}}} anni
Nascita III secolo
Morte Amasea
17 febbraio 306 o tra il 306 e il 311
Sepoltura
Appartenenza
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Ordinato diacono
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° vescovo di Roma
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Extra Anni di pontificato


Cardinali creazioni
Proclamazioni
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Eventi
Venerato da Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa
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Beatificazione [[]]
Canonizzazione [[]]
Ricorrenza 17 febbraio
Altre ricorrenze 7 febbraio, 9 novembre
Santuario principale
Attributi Croce, palma
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
Patrono di Brindisi, militari, reclute
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Incoronazione
Investitura
Predecessore
Erede
Successore
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Onorificenze
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Nomi postumi
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Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 17 febbraio, n. 2:
« Ad Amasea in Ellesponto, nell'odierna Turchia, passione di san Teodoro Tirone, che, al tempo dell'imperatore Massimiano, per aver confessato la sua fede cristiana fu violentemente percosso e gettato in carcere e, infine, dato a bruciare sul rogo. Celebrò le sue lodi san Gregorio di Nissa in un celebre encomio. »

San Teodoro di Amasea, chiamato anche Teodoro Tirone (III secolo; † Amasea, 17 febbraio 306 o tra il 306 e il 311), è stato un martire latino, era un soldato originario dell'Oriente, di cui non si conosce con precisione la città natale: secondo alcuni sarebbe nato in Cilicia, secondo altri in Armenia.

Cenni biografici e martirio

Secondo la tradizione fu arruolato nell'esercito roman e, al tempo dell'imperatore Galerio Massimiano (305-311), trasferito con la sua legione, denominata Marmarica (ovvero la Cohorte terza Valeria) nei quartieri invernali di Amasea (l'odierna Amasya nel Ponto, a ridosso del Mar Nero). Era allora in atto la persecuzione contro i cristiani già avviata da Diocleziano (284-305) e reiterata da Galerio, Caesar dal 293, con un editto che, nel 305, prescriveva a tutti di fare sacrifici e libagioni agli dei[1].

Teodoro rifiutò di sacrificare agli dei, nonostante le sollecitazioni dei compagni. Venne accusato di essere cristiano e deferito al giudizio del tribuno. Durante l'interrogatorio, nonostante l'alternanza di minacce e promesse, rifiutò nuovamente di sacrificare agli dei. È nota la riluttanza dei governatori a mandare a morte gli accusati, ancor di più in questo caso trattandosi di un legionario: essi preferivano ricorrere alla tortura per piegarne la resistenza e far loro salva la vita. Il prefetto Brinca, comandante della Legione Marmarica, vista anche la giovane età e l'intelligenza di Teodoro, si limitò a minacciarlo e gli concesse una breve dilazione temporale per permettergli di riflettere. Teodoro invece ne approfittò per continuare l'opera di proselitismo e, per dimostrare che non aveva alcuna intenzione di abiurare la religione cristiana, incendiò il tempio della gran madre degli dei Cibele che sorgeva al centro di Amasea, presso il fiume Iris. Venne così nuovamente arrestato e il giudice del luogo, tale Publio, ordinò che venisse flagellato, rinchiuso in carcere e lasciato morire di fame. Ma questa punizione sembrava non avere nessun effetto su Teodoro, che anzi rifiutò persino il bicchiere d'acqua e l'oncia di pane al giorno, che i suoi carcerieri gli porgevano.

Scampato miracolosamente alla morte per fame, Teodoro venne infine tolto dal carcere e ricondotto in giudizio. I magistrati gli fecero grandi promesse, lo sollecitarono vivamente di accondiscendere alla volontà degli imperatori anche solo in apparenza, promettendo che lo avrebbero lasciato libero. Gli offrirono perfino la carica di pontefice. Teodoro rifiutò sdegnosamente e tenne testa al tribunale, non riconoscendo i loro dei, beffandosi delle proposte che gli venivano fatte e testimoniando che non gli avrebbero strappato una sola parola né un solo gesto contro la fedeltà che doveva al Signore. Il giudice, vedendo l'ostinazione di Teodoro, ordinò allora che venisse torturato con uncini di ferro, fino a mettere a nudo le costole e lo condannò a essere bruciato vivo.

I due santi Teodoro nel Trittico di Hardaville del Louvre

Subì il martirio il 17 febbraio tra il 306 e il 311[2]. I carnefici lo condussero nel luogo stabilito e presero la legna da mercanti addetti ai bagni. Teodoro depose i suoi vestiti e i numerosi fedeli accorsi si agitavano per poterlo toccare, respinti dai carnefici. A costoro il martire disse: "Lasciatemi così (vivo n.d.r.) perché chi mi diede sopportazione nei supplizi mi aiuterà affinché sostenga illeso l'impeto del fuoco". I carnefici lo legarono, accesero il rogo e si allontanarono. La leggenda racconta che Teodoro non subì l'offesa delle fiamme, morì senza dolore e rese l'anima glorificando Dio. Una donna di nome Eusebia chiese il corpo di Teodoro, lo cosparse di vino e altri unguenti, lo avvolse in un sudario ponendolo poi in una cassa e lo portò, da Amasea, in un suo possedimento a Euchaita, l'attuale Aukhat, distante un giorno di cammino, dove venne sepolto. In questo luogo già nel IV secolo venne edificata una basilica frequentata da pellegrini in visita al sepolcro del santo.

Ed è in questa chiesa che san Gregorio di Nissa pronunciò sul finire del IV secolo un discorso che riporta i passi della vita e del martirio di san Teodoro. Da esso e da un altro scritto andato perduto, deriva la Passio attuale.

Culto

San Teodoro su un drago simile a un coccodrillo Venezia, Piazza San Marco

Il culto di San Teodoro si propagò rapidamente in tutto l'Oriente cristiano e successivamente nell'Impero.

Ad Amasea fu eretta una chiesa in suo onore ai tempi dell'imperatore Anastasio I di Bisanzio (491-518); a Costantinopoli nel 452, a opera del console Flavio Sporacio; a Ravenna, ove c'era un monastero con il suo nome, a opera dell'arcivescovo Agnello (557-570) gli fu dedicata la cattedrale che era stata degli ariani. A Roma nel VIII secolo gli fu dedicata una chiesa sotto il Palatino, mentre la sua immagine si trova nel mosaico della Basilica dei Santi Cosma e Damiano, eretta da Papa Felice IV (circa 530).

L'esarca Narsete avrebbe diffuso a Venezia nel VI secolo il culto del Teodoro venerato a Amasea e festeggiato il 9 novembre e una piccola chiesa a lui intitolata sarebbe esistita fin dal VI secolo nell'area attualmente occupata dalla basilica di San Marco[3]. A Venezia fu invocato come patrono sino al XIII secolo, poi sostituito con san Marco.

Nel XIII secolo, forse il 27 aprile 1210, come vuole la tradizione, o più probabilmente il 1225, in occasione delle nozze di Federico II di Svevia con Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme, celebrate nella cattedrale di Brindisi il 9 novembre, le reliquie del corpo di san Teodoro furono traslate da Euchaita alla città pugliese. Non si può escludere che, oltre a una fortunata coincidenza, si sia trattato piuttosto di un "sequestro" coatto del prezioso carico diretto dall'Oriente a Venezia. Le spoglie, giunte avvolte in uno prezioso sciamito orientale, trovarono collocazione in un'arca rivestita di lastre d'argento della prima metà del XIII secolo che riportano episodi salienti della vita del santo. Le reliquie sono tuttora conservate in un'urna reliquiario presso un altare della cattedrale di Brindisi, città della quale è patrono.

Nel 1267 sarebbero comunque arrivate, nella chiesa di San Salvador di Venezia, altre reliquie relative a un san Teodoro identificato col titolo di "stratelates", evento che contribuì allo sdoppiamento del santo in due personaggi. A quest'ultimo santo fu allora intitolata una confraternita (detta localmente Scuola)[4]. Venezia ricorda il santo in molte espressioni d'arte (mosaici, una vetrata e due portelli d'organo) ma soprattutto con una Colonne di San Marco e San Teodoro posta in Piazza San Marco, sulla cui sommità vi è una statua raffigurante il santo in armatura di guerriero con un drago, simile a un coccodrillo, ai suoi piedi.

Nella diocesi di Vercelli, già nel X secolo, la sua festa era celebrata il 9 novembre.

L'imperatore bizantino Giovanni Zimisce attribuì a san Teodoro, patrono dell'esercito, il merito della grande vittoria riportata il 21 luglio 971 sui Russi nell'assedio di Dorostolon, l'odierna Silistra sul Danubio in Bulgaria, che ebbe perciò il nome mutato in Teodoropoli.

Omonimie e ambiguità

I due santi Teodoro

Fino al IX secolo Teodoro era l'unico santo con questo nome, ma poi apparve un altro Teodoro, non più soldato ma generale (stratelates) dell'armata di Licinio (Augustus nel 308) per ordine del quale fu torturato e crocifisso a Eraclea in Tracia il 17 febbraio, anche lui sepolto a Euchaita il 3 giugno e commemorato sia in area latina che bizantina. Questo sdoppiamento dell'unico martire Teodoro generò una doppia fioritura di leggende di cui rimangono relazioni in greco, latino e altre lingue orientali che influirono a loro volta nei giorni delle commemorazioni. Nei sinassari bizantini, Teodoro soldato è ricordato il 17 febbraio mentre il generale l'8 febbraio. Nei martirologi occidentali, invece, il soldato è ricordato il 9 novembre e il generale il 7 febbraio. Si tratta comunque della stessa persona commemorata in giorni diversi[5]. La festa è tradizionalmente celebrata il 9 novembre, propria del San Teodoro di Amasea.

Nell'arte bizantina e veneziana i due santi sono spesso raffigurati assieme, affiancati o specularmente. Talvolta sono rappresentati a cavallo e si distinguono per essere l'uno soldato armato di spada San Teodoro tiron, (greco Agios Teodoros o tyron), l'altro un generale portatore di lancia San Teodoro stratelate, (greco Agios Teodoros o stratelates). La fisionomia dei due santi è invece pressoché identica, venendo essi indifferentemente raffigurati sempre in età adulta ma giovanile con capelli corti e riccioluti, barba corta e curata.

Chiese dedicate a san Teodoro di Amasea

Note
  1. L'editto venne ripreso dal Caesar Massimino Daia ai primi del 306, con l'ordine ai governatori delle province affinché venisse imposto in tutto l'Impero romano e si ordinasse anche ai soldati di sacrificare agli dei.
  2. secondo un'altra tradizione era il 9 novembre
  3. Flaminio Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia e Torcello, Bologna, anastatica Forni, 1990, pp.229-230
  4. Flaminio Corner, Scuole a Venezia. Storia e attualità, Venezia 2008, p. 23.
  5. (cfr. Biblioteca Sanctorum, Roma 1969, vol. xii, coll.240-241)
Bibliografia
  • Rosa Giorgi, Santi, col. "Dizionari dell'Arte", Mondadori Electa Editore, Milano 2002, p. 347 ISBN 9788843596744
Collegamenti esterni