Abbazia di Santa Maria di Portonovo (Ancona)
Abbazia di Santa Maria di Portonovo | |
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Abbazia di Santa Maria di Portonovo, lato settentrionale | |
Stato | Italia |
Regione | Marche |
Provincia | Ancona |
Comune | Ancona |
Località | Portonovo |
Diocesi | Ancona-Osimo |
Religione | Cattolica |
Indirizzo | Loc. Portonovo 60121 Ancona (AN) |
Telefono | +39 071 22831 (Soprintendenza); +39 071 56307 (Italia Nostra) |
Fax | +39 071 206623 (Soprintendenza) |
Posta elettronica | ancona@italianostra.org sbeap-mar@beniculturali.it; ancona@italianostra.org |
Proprietà | Stato italiano |
Oggetto tipo | Abbazia |
Oggetto qualificazione | benedettina |
Dedicazione | Maria Vergine |
Sigla Ordine qualificante | O.S.B. |
Data fondazione | XI secolo |
Stile architettonico | Romanico |
Inizio della costruzione | 1034 - 1048 |
Materiali | Pietra bianca del Conero |
Larghezza Massima | 18,93 m. |
Lunghezza Massima | 26,63 m. |
Note | Attualmente la chiesa è gestita dal FAI - Fondo Ambiente Italiano |
Coordinate geografiche | |
Marche | |
L'Abbazia di Santa Maria di Portonovo è un complesso monumentale, del quale oggi rimane la sola chiesa, che ospitò un monastero benedettino, situato alle pendici del retrostante monte Conero, su una rupe affacciata sulla spiaggia di Portonovo, località del comune di Ancona.
Storia
Origini e sviluppo
La data di fondazione dell'abbazia è incerta, ma probabilmente risale alla metà dell'XI secolo, infatti, un documento, ora purtroppo disperso,[1] ricordava che nel 1034, i signori del castello del Poggio, un piccolo borgo alle pendici del monte Conero (ancora oggi esistente), donarono ai monaci benedettini alcuni terreni sulla baia, affinché vi costruissero una chiesa, dedicata a Maria, e un monastero:
« | L'anno 1034 di nostra salute un tal Stefano di Germano del quondam Teobaldo Grimaldi dal Poggio, castello della diocesi anconitana e più vicino al detto luogo, fece donazione di 35 misure di terra, chiamate in quel tempo "modioli", accioché in quel sito dove al presente si vedono le vestigia di detta abbadia e chiesa ancora in essere, si edificasse un tempio alla Beatissima Vergine Maria: come rogo in detta donazione Michele notaro anconitano, il 7 luglio anno 1034, copia del qual rogito si trova nell'archivio delle scritture del capitolo di San Ciriaco di Ancona. » |
Mentre secondo altre fonti documentarie, l'abbazia sarebbe stata donata nel 1038 ad alcuni canonici dal conte Ugo di Mezone dei Conti Cortesi[2] di Sirolo, insieme alla moglie Adelasia.
Probabilmente già nel 1050, il complesso monastico doveva essere già terminato perché qui venne ad abitare, negli ultimi anni della sua vita, san Gaudenzio, vescovo di Ossero (1030 ca. - 1042), nell'attuale Croazia, e vi morì nel 1050: per queste motivazioni la data di costruzione dell'abbazia va fissata fra il 1034 e il 1050.
L'abbazia raggiunse, tra l'XI e il XIII secolo, l'apice del suo splendore e del potere economico, esercitando la sua influenza sul territorio circostante e su molti possedimenti, come attestano alcuni documenti, costituiti da terreni, vigneti, chiese nei castelli limitrofi, boschi sul monte Conero e un piccolo porto, proprio sul litorale del cenobio, dove i monaci gestivano un'attività commerciale e portuale: i due laghetti, che ancora oggi caratterizzano questa baia, erano in passato aperti sul mare e quindi venivano usati dalle imbarcazioni che qui arrivavano e si fermavano per rifornirsi d'acqua dolce. Inoltre, gli stessi documenti attestano tra le pertinenze dell'abbazia di uno xenodochio,[3] ossia una struttura di appoggio per pellegrini e forestieri, che era situata sul Monte Umbriano, tra la città di Ancona e il santuario di Loreto, un punto di passaggio per tutti i viandanti.
Fu proprio alla metà dell'XI secolo, che il monastero ospitò, tra gli altri, san Pier Damiani, priore di Fonte Avellana (1043-1057), se così si accoglie l'interpretazione di un passo del Paradiso di Dante che identifica la "nostra donna in sul lito Adriano" con la chiesa di Portonovo:
« | In quel loco fu io Pier Damiano, e Pietro Peccator fu ne la casa di Nostra Donna in sul lito adriano. » | |
I molteplici privilegi concessi all'abbazia da parte di papa Alessandro III nel 1177, di Lucio III nel 1184 e di Onorio III nel 1222, e da vari imperatori testimoniano la ricchezza e il prestigio raggiunto dal monastero di Portonovo.
Decadenza e abbandono del monastero
Nel 1225 si hanno notizie di un importante ampliamento strutturale, voluto dai conti Cortesi di Sirolo, ma purtroppo nell'arco di breve tempo l'abbazia perse la sua prosperità, sia per i continui attacchi dei pirati, sia soprattutto a causa di terremoti e di frane che comportavano frequenti crolli di pietrame dal Monte Conero, provocando gravi danni al monastero e addirittura delle morti tra i monaci. L'abate, per questo, si rivolse nel 1319 al vescovo di Ancona, Nicolò degli Ungari, chiedendogli di potersi trasferire in un altro cenobio. Così, il 17 gennaio 1320, i benedettini lasciarono S. Maria di Portonovo per trasferirsi ad Ancona nel monastero di San Martino di Capodimonte. Questo segnò l'inizio della decadenza del complesso architettonico. Inoltre, i religiosi ottennero di poter mantenere tutti i loro privilegi e diritti, rimanendo per oltre un secolo nel monastero urbano, la cui chiesa venne intitolata a S. Maria di Portonovo. La loro permanenza in questo cenobio si protrasse fino al 1436, quando, con la bolla di papa Eugenio IV, l'abbazia e tutto il suo patrimonio furono incorporati alla mensa capitolare della Cattedrale: così terminò la presenza benedettina ad Ancona. Una volta pervenuto sotto la giurisdizione del Capitolo, il complesso degli edifici di Portonovo fu affidato ad alcuni monaci eremiti, ma anche essi rimasero esposti alle frane e alle mareggiate.
Nel 1518 un'incursione barbaresca[5] causò la definitiva distruzione del monastero, che era già molto compromesso a causa delle continue frane, e dalla quale rimase indenne la sola chiesa. Dopo questa data le notizie sul complesso monastico si fanno sempre più scarse e lacunose; nel 1669 il campanile appariva ancora esistente, elemento che figurava anche in un rapporto del 1769 del cardinale Giovanni Ottavio Bufalini, vescovo di Ancona e Numana, che invece attestava la definitiva rovina del cenobio.
Recupero e restauro della chiesa
Nel 1808 le truppe napoleoniche usarono la chiesa come magazzino e ricovero degli animali, e asportarono dalle rovine del monastero materiali da costruzione per edificare il vicino Fortino, provocando così ingenti danni e dissesti.
Nel 1837, si stabilì nel monastero abbandonato, l'abate Pietro Francesco Casaretto (1810 - 1878) per condurvi una vita eremitica, dedicandosi all'insegnamento del catechismo ai pescatori e ai contadini del territorio: questi, sia a sue spese che grazie alle offerte di alcuni benefattori, intraprese importanti lavori di restauro della chiesa che versava in pessime condizioni strutturali. Nel 1840, l'abate ritrovò il sarcofago che avrebbe contenuto le spoglie di san Gaudenzio.
Negli ultimi anni del Governo pontificio, per iniziativa in particolare del cardinale Gabriele Ferretti (1795 - 1860) venne assegnata una notevole somma al restauro della chiesa, anche se le successive vicende politiche impedirono la costruzione di un frangiflutti che ne proteggesse le fondamenta dalle mareggiate. Dopo l'annessione delle Marche al Regno d'Italia nel 1860, l'intera località di Portonovo fu acquistata da privati che ridussero la chiesa a legnaia e magazzino, mentre il sarcofago di san Gaudenzio andò disperso.
Preoccupato da questo stato di cose, Carisio Ciavarini (1837 - 1905), ispettore dei monumenti, fece abbattere le case annesse alla chiesa, ma il vero curatore della conservazione e della valorizzazione di Santa Maria di Portonovo fu l'architetto Giuseppe Sacconi (1854 - 1905), soprintendente ai monumenti delle Marche e dell'Umbria dal 1891 al 1902, che giudicava la chiesa "il più completo monumento lombardo che decori le rive adriatiche da Ancona a Brindisi", il quale diresse i restauri necessari perché questa ritornasse al suo primitivo splendore. Così nel 1894 si iniziò il primo restauro sistematico del complesso, con il consolidamento delle strutture, la rimozione degli intonaci ottocenteschi dalle pareti, riportando alla luce l'originaria struttura in pietra, e il rafforzamento del muro di sostegno alla rupe su cui s'innalza la chiesa. Il restauro fu ultimato dal successivo soprintendente Luigi Serra (1846 - 1888) e venne riaperta al culto nel 1934.
Nuovi lavori di restauro e di consolidamento dell'intera struttura furono intrapresi tra il 1988 e il 1995 dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio delle Marche, mentre nel 2002 sono stati effettuati scavi archeologici che hanno messo in luce sul lato meridionale (ossia verso il monte) un cimitero medievale. Detti scavi hanno permesso di rintracciare le fondazioni della torre campanaria, nota da documenti ma non ancora localizzata, e di individuare intorno alla chiesa delle strutture più tarde, come l'abitazione eremitica.
Attualmente la chiesa è gestita dal FAI - Fondo Ambiente Italiano, in seguito ad un accordo siglato tra la Soprintendenza e la presidenza del Fai-Marche.
Descrizione
Del complesso monastico rimane attualmente la sola chiesa abbaziale, a sinistra della quale si sviluppava il monastero, andato distrutto.
Chiesa
Esterno
La chiesa, costruita in pietra bianca del Conero, presenta una facciata a salienti, sormontata sul lato destro da un campanile a vela e aperta da una monofora. La facciata è preceduta da un vestibolo aperto sulla fronte da un unico portale d'ingresso con volta botte e una finestra quadrangolare.
L'edificio è decorato sulle mura perimetrali esterne da lesene e sulla sommità da una fascia d'archetti pensili, elemento che si ripete sia nel tamburo quadrangolare sia nel tiburio ottagonale alleggerito da loggette a trifore cieche. La parte posteriore con l'alta abside centrale è anch'essa corsa in alto da loggette a trifore cieche.
Gli scavi archeologici, effettuati nel 2002, hanno messo in luce sul lato settentrionale della chiesa (ossia verso il mare) la base perimetrale, il pavimento e il gradino d'ingresso del campanile, noto dai documenti ma non ancora localizzato, che stando ai rilevamenti doveva essere alto e forse fortificato: una torre campanaria che più che altro era di avvistamento per l'arrivo dei corsari.
Interno
La chiesa, orientata (ossia con l'abside rivolto a Est), presenta una singolare struttura basilicale che, su un modello di derivazione bizantina, per la presenza delle due cappelle laterali assume la forma di una croce greca.[6] L'interno è suddiviso da dodici colonne (con capitelli a foglie stilizzate e angolari) e da quattro pilastri in tre navate (articolate in sette campate), alle quali si affiancano due navatelle laterali, più corte, concluse da absidi semicircolari così come quella centrale, più ampia delle altre.
La copertura delle navate laterali è a crociera, mentre quella centrale è a volta a botte, interrotta al centro da una campata più lunga, corrispondente alla cupola ellettica sostenuta da quattro pilastri cruciformi, che si erge all'esterno su un tamburo quadrangolare e che nel suo sviluppo in altezza si trasforma in un basso tiburio ottagonale. La cupola è illuminata all'interno da quattro bifore ed è ornata nei pennacchi da una decorazione a mensola con quattro nicchie, che probabilmente un tempo ospitavano delle statue.
L'interno, privo di decorazioni, è aperto nelle mura perimetrali con monofore a strombatura doppia.
Il piano di calpestio della chiesa è coperto da un pavimento originario - in buono stato di conservazione - in cotto rosso e pietra giallo-ocra, alternati in un sobrio gioco geometrico, che presenta nella parte attigua all'altare, riservata ai monaci, un disegno a rombi, mentre in quella vicina all'ingresso, destinata ai laici, una composizione a grandi riquadri: questo perché durante le celebrazioni liturgiche i religiosi e i laici non si potevano mischiare.
Il presbiterio, rialzato su tre gradini, presenta un altare che non è quello originale, ma è stato rifatto in semplice pietra in epoca moderna,[7] e conserva per le celebrazioni liturgiche l'orientamento verso l'abside tipico del rito preconciliare.
Monastero
Gli scavi archeologici, effettuati nel 2002, hanno messo in luce sul lato settentrionale, verso il mare, le tracce di un chiostro con al centro un pozzo: una presenza indicativa di un monastero grande ed esteso sul promontorio, che oggi però ha ceduto al mare. La pietra del Conero, con cui era edificato tutto il complesso, è calcarea e viene sbriciolata (quasi sfarinata) facilmente dal mare, che ha eroso la costa facendola arretrare di almeno 80-100 metri: il sito quindi doveva essere molto più vasto, e questo era il luogo dove sorgeva il monastero benedettino. Un altro elemento che ha fatto comprendere agli archeologi che il cenobio fosse sul lato settentrionale è che sulla spiaggia si trova un grande ambiente voltato - un angolo di questo è crollato a causa delle mareggiate - che era probabilmente una cisterna per la raccolta dell'acqua, come di solito si trova al centro del chiostro, sotto al pozzo.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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