San Pier Damiani

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San Pier Damiani, O.S.B. Cam.
Cardinale
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battezzato
Santo
Dottore della Chiesa
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San Pier Damiani.jpg

Antiveduto Grammatica, San Pier Damiani (1619-1621), olio su tela; Siena, Collezione d'Arte della Banca Monte dei Paschi di Siena
Titolo cardinalizio
Incarichi attuali
Età alla morte 65 anni
Nascita Ravenna
1007
Morte Faenza
21 febbraio 1072 [1]
Sepoltura
Conversione
Appartenenza
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Professione religiosa Fonte Avellana, 1035
Ordinato diacono
Ordinazione presbiterale data ignota
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Cardinale per 13 anni, 11 mesi e 7 giorni
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Incarichi ricoperti
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° vescovo di Roma
Elezione
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Proclamazioni
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Eventi
Venerato da Chiesa cattolica
Venerabile il [[{{{aV}}}]]
Beatificazione [[{{{aB}}}]]
Canonizzazione [[{{{aS}}}]]
Ricorrenza 21 febbraio
Altre ricorrenze
Santuario principale
Attributi Bastone pastorale e libro
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
Patrono di
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Incoronazione
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Onorificenze
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Una delle più significative personalità dell'XI secolo, san Pier Damiani, monaco, amante della solitudine e, insieme, intrepido uomo di Chiesa, impegnato in prima persona nell'opera di riforma avviata dai Papi del tempo.
Virgolette chiuse.png
Tutti-i-santi.jpgNel Martirologio Romano, 21 febbraio, n. 1:
« San Pier Damiani, cardinale vescovo di Ostia e dottore della Chiesa: entrato nell'eremo di Fonte Avellana, promosse con forza la disciplina regolare e, in tempi difficili per favorire la riforma della Chiesa, richiamò con fermezza i monaci alla santità della contemplazione, i chierici all'integrità di vita, il popolo alla comunione con la Sede Apostolica.

(22 febbraio: A Faenza in Romagna, anniversario della morte di san Pier Damiani, la cui memoria si celebra il giorno prima di questo). »

San Pier Damiani o Pier di Damiano o Pietro Damiani (Ravenna, 1007; † Faenza, 21 febbraio 1072[1]) è stato un cardinale, vescovo e teologo italiano, venerato come santo e dal 1823 anche come dottore della Chiesa. Fu grande riformatore e moralizzatore della Chiesa del suo tempo, autore di importanti scritti liturgici, teologici e morali.

Biografia

Fonte principale per la ricostruzione della sua vita è la biografia[2] realizzata dal discepolo prediletto Giovanni da Lodi, monaco suo segretario personale poi divenuto priore di Fonte Avellana e quindi vescovo di Gubbio. Numerosi accenni autobiografici sono poi rinvenibili tra le sue molte lettere.

Primi anni di vita (1007-1022)

Pietro nacque a Ravenna tra la fine del 1006 o più probabilmente l'inizio del 1007. Se ne conosce con relativa precisione l'anno di nascita, fatto piuttosto raro per quei tempi, perché egli stesso riferisce in una delle sue numerose lettere di essere nato 5 anni dopo la morte dell'imperatore Ottone III.

La sua famiglia era probabilmente, o era stata, di illustri origini, ma quando nacque Pietro non era di condizione agiata. Era l'ultimo nato di molti fratelli: Damiano, arciprete e poi monaco, un anonimo fratello malvagio, Marino, Rodelinda, la sorella primogenita, Sufficia e un'altra sorella anonima.

Rimase orfano di entrambi i genitori in giovanissima età. Fu allevato dapprima dalla sorella Rodelinda. Poi lo accolse in casa il fratello cattivo del quale non conosciamo il nome che lo costrinse a durissimi servizi e lo maltrattò. In quel periodo trovò per caso una moneta e la consegnò a un presbitero per celebrare una messa di suffragio per il padre defunto.

Lasciò poi la casa del fratello cattivo e venne accolto dal fratello Damiano, arciprete. Probabilmente per riconoscenza verso questo fratello Pietro aggiungerà al suo nome Damiani, cioè di Damiano, che non va inteso dunque come patronimico.

Studi 1022-1032

Il fratello Damiano, arciprete di una grossa pieve presso Ravenna, si occupò non solo del mantenimento, ma anche di fornire un'educazione al fratello Pietro, cosa rara per quei tempi. Lo inviò allora a Faenza, sede di una scuola presumibilmente migliore di quelle disponibili allora a Ravenna, forse anche con l'intento di allontanarlo dal fratello malvagio. Non ci è dato sapere in quale delle scuole faentine esistenti allora abbia studiato: presso la Cattedrale, o il monastero di Santa Maria Foris Portam, o il monastero dei Santi Lorenzo e Ippolito. Rimase a Faenza 4 anni, dal 1022 al 1025, tra i 15-18 anni.

Terminati gli studi a Faenza si spostò a Parma, inviato dal fratello o di sua iniziativa, per studiare le arti liberali, cioè trivio e quadrivio. Rimase a Parma negli anni 1026-1032, tra i 19-25 anni.

Insegnamento 1032-1035

Terminati gli studi a Parma tornò a Ravenna dove intraprese la carriera di insegnante, che lo occupò probabilmente dal 1032 al 1035, fino a circa 28 anni. Divenne un rinomato maestro di arti liberali, con molti allievi e dunque con una notevole fama e agiatezza economica. È probabile che fosse anche chierico, forse diacono o rivestito di un altro ordine minore, cosa allora comune per i maestri. L'ordinazione presbiterale, che sappiamo ricevette da un arcivescovo, forse è da collocare contemporaneamente al suo insegnamento a Ravenna, ossia tra il 1034 e il 35 a opera dell'arcivescovo Gebeardo di Eichstätt (1027-1044).

Vocazione monastica (1035)

Durante l'insegnamento maturò progressivamente l'idea di dedicarsi alla vita monastica. Mantenendo immutato lo stile di vita a stretto contatto con la società, cominciò a vivere interiormente come un monaco: sotto le vesti indossava il cilicio, moltiplicava preghiere, veglie, digiuni e opere di carità.

Secondo un racconto dello stesso Pier Damiani, un fatto preciso lo incoraggiò ad abbracciare la vita monastica vera e propria. Solitamente invitava a mensa alcuni poveri. Un giorno si trovò solo con un cieco e gli offrì del pane scuro, di qualità peggiore, tenendo per sé un pane bianco. Una lisca di pesce si conficcò nella sua gola, rischiando di soffocarlo. Interpretò l'incidente come una giusta punizione per l'episodio egoista e prontamente offrì al cieco il pane migliore. Immediatamente la lisca scivolò in gola senza fargli alcun male.

L'ingresso nella vita monastica avvenne quando, probabilmente nel 1035, all'età di 28 anni, conobbe a Ravenna due eremiti di Fonte Avellana, eremo fondato dal ravennate san Romualdo. Attratto dalla loro umile e composta modestia, li seguì nel loro eremo e vi si fece monaco camaldolese.

Monaco di Fonte Avellana (1035-1043)

A Fonte Avellana, complice il suo passato di maestro, gli venne chiesto di istruire i suoi fratelli in campo religioso ed esortarli alla vita monastica.

In seguito, probabilmente nel 1040, l'abate di Pomposa, Guido, chiese al priore di Fonte Avellana di inviargli Pier Damiani, verosimilmente avendone già conosciuta la fama che lo circondava a Ravenna, per istruire la sua comunità. Pietro vi rimase circa due anni, tra il 1040 e il 1042.

Nel 1042, per ordine del suo priore di Fonte Avellana, passò da Pomposa al monastero di san Vincenzo al Furlo (presso Urbino), per riformarne la disciplina secondo la riforma romualdina. Qui scrisse la Vita beati Romualdi attingendo alle notizie dirette di chi aveva personalmente conosciuto il monaco anacoreta. Qui incontrò (e talvolta si scontrò) con alcuni potenti nobili del tempo, come il marchese Bonifacio di Toscana o la dinastia dei Canossa.

Priore di Fonte Avellana (1043-1057)

A fine 1043, in occasione della morte del priore Guido, ritornò a Fonte Avellana dove venne eletto dai suoi confratelli (circa venti monaci) come suo successore. Rimase priore per 14 anni, fino al 1057.

Durante il suo priorato si adoperò nell'organizzazione e nella promozione della vita eremitica a vari livelli. Si preoccupò di attuare gli ideali monastici nel suo monastero, attento al contempo a curarne il patrimonio economico, che in quegli anni prosperò, curando anche l'ampliamento e la ristrutturazione di edifici esistenti e costruendone di nuovi. Curò in particolare la biblioteca dell'eremo.

Fondò, o comunque riorganizzò all'interno della famiglia monastica di Fonte Avellana, diversi eremi e monasteri nel centro Italia:

Intrattenne, inoltre, una notevole corrispondenza con i principali monasteri del centro Italia dell'epoca.

Oltre a adoperarsi nell'ambito monastico, fu uno dei principali e zelanti attuatori della riforma gregoriana della Chiesa. Si recò in molte diocesi (tra cui Urbino, Assisi e Gubbio) per esortarne o rimproverarne i vescovi. In alcuni casi fece pressione sul Papa per far rimuovere vescovi indegni o simoniaci come a Pesaro, Fano, Osimo e Città di Castello.

Nel 1046 assistette all'incoronazione dell'imperatore Enrico III a Roma ed entrò in contatto con l'ambiente di corte. I contatti avuti in seguito con la casa imperiale furono numerosi e cordialissimi; si recò più volte in Germania e l'imperatrice Agnese fu sua penitente.

Nel 1047 era presente al sinodo romano, celebrato alla presenza dell'imperatore e presieduto dal Papa, per contrastare il problema della simonia. Partecipò anche ai sinodi romani del 1049, 1050, 1051, 1053. Nel 1049 compose il Liber gomorrhianus, trattante i peccati contro natura.

Col pontificato di papa Leone IX (1049-1054) si estende l'orizzonte d'azione riformatrice del santo. Ebbe un ruolo attivo anche nel tentativo di trattenere Enrico IV dal divorzio con Berta. Dal 1050 in poi, Damiani partecipò attivamente con scritti e interventi personali alla riforma ecclesiastica che vide in Leone IX il più energico fautore. Questo Papa lo nominò priore del convento di Ocri. La sua collaborazione proseguì con i successivi papati di Stefano IX, Niccolò II e di Alessandro II.

Vescovo di Ostia (dal 1057)

Nell'agosto-novembre 1057[3] o il 14 marzo 1058,[4] Papa Stefano IX lo nominò cardinale e vescovo di Ostia, ossia uno dei sette cardinali lateranensi a più stretto contatto col Papa. Stando ai suoi scritti, Pier Damiani non accolse la nomina con favore: si sentiva portato alla vita eremitica implicante solitudine, silenzio, penitenza, preghiera. Si trasferì a Roma, a stretto contatto col Papa e la corte pontificia, dove rivestì un ruolo di primissimo piano.

Riformatore

Dal 1050 in poi, Pier Damiani partecipò attivamente con scritti e interventi personali alla riforma ecclesiastica che vide in Leone IX il più energico fautore. Questo Papa lo nominò priore del convento di Ocri. La sua collaborazione proseguì con i successivi papati di Stefano IX, Niccolò II e di Alessandro II.

Pier Damiani operò la sua azione riformatrice in diversi modi: si adoperò affinché il potere politico fosse privato delle connotazioni sacrali che progressivamente aveva assunto (e che avevano portato alla prassi comunemente accettata della compravendita della cariche ecclesiastiche, pratica contestata dall'autorità ecclesiastica, che passerà alla storia con il nome della Lotta per le investiture). Egli mise in risalto l'autorità del Papa, fulcro centrale della vita ecclesiale (da un lato per sottrarre i vescovi all'autorità dell'imperatore, dall'altro per non lasciarli sciolti da ogni istanza superiore, come invece pretendeva la corrente detta episcopalismo). Cercò di riformare la vita dei chierici, combattendo il nicolaismo (interpretazione lassista del celibato ecclesiastico) e proponendo come modello la vita monastica.

Principali missioni

Nel novembre 1059 Niccolò II inviò Pier Damiani a Milano. In quella città lo scandalo della compravendita delle cariche religiose (simonia) era sotto gli occhi di tutti. Il concubinato dei sacerdoti era prassi corrente, come era noto il comportamento licenzioso di molti religiosi. Le riforme avviate dal papato trovarono nella chiesa ambrosiana una forte opposizione. La chiesa ambrosiana rivendicava la sua autonomia e la sua particolarità. In controtendenza un gruppo di sacerdoti e diaconi tra cui il lucchese Anselmo da Baggio, sant'Arialdo e i fratelli Landolfo Cotta e Erlembaldo formarono un movimento che gli oppositori soprannominarono Patarìa, da patée che in dialetto milanese significa venditori di cianfrusaglie, sinonimo di straccione. Questo movimento si scagliava contro il concubinato del clero e contro i privilegi della Chiesa e non solo della Chiesa. I vescovi ambrosiani scomunicarono alcuni membri di questo movimento e provocarono l'intervento del papato per ristabilire l'ordine e l'obbedienza. Prima di Pietro Damiani, si erano recati a Milano nel 1057 Anselmo da Lucca e il monaco Ildebrando da Soana (futuro papa Gregorio VII). San Pier Damiani riunì tutto il clero in cattedrale e, richiamata l'autorità del papa, riuscì a strappare un accordo di accettazione del celibato del clero. Le tensioni rimasero comunque alte e dopo la morte di papa Niccolò II le dispute ripresero e sfociarono nel 1066 nell'uccisione da parte di due sacerdoti di Sant'Arialdo.

Altre legazioni furono svolte da Damiani a Cluny in Francia (giugno-ottobre 1063), Firenze, Mantova, Ravenna sua città natale e in numerose altre località dell'Italia centrale. Nel 1069 ebbe un ruolo di primo piano nel Concilio di Magonza, che riuscì a trattenere Enrico IV dal divorziare con Berta.

Gli ultimi anni

Pier Damiani continuò a non amare la vita di curia e continuamente chiedeva al papa di permettergli di ritornare al chiostro: solo nel 1062 ottenne soddisfazione e poté rientrare in convento rinunciando a tutte le sue cariche. La vita monastica da lui praticata a Fonte Avellana, e diffusa altrove, era tra le più dure conosciute dal monachesimo occidentale: disciplina corporale, penitenze varie, quantità minime di cibo e lavoro manuale (egli stesso dichiara di essere stato particolarmente abile nella produzione di cucchiai di legno).

Morte (1072)

Morì il 21 febbraio 1072 a Faenza, verosimilmente in viaggio da Ravenna verso l'eremo di Gamogna, uno dei tanti da lui fondati. Trovò dapprima sepoltura nella chiesa di Santa Maria foris portam (oggi conosciuta come Santa Maria Vecchia). In seguito i suoi resti furono traslati nella cattedrale di Faenza, dove sono tutt'ora venerati.

Da una recente ricognizione medica sono emerse grosse calcificazioni nelle ossa delle ginocchia, che attestano la sua vita penitente.

Queste sono le parole da lui scritte per i visitatori del suo sepolcro:

« Io fui nel mondo quel che tu sei ora; tu sarai quel che io ora sono:
non prestar fede alle cose che vedi destinate a perire;
sono segni frivoli che precedono la verità, sono brevi momenti cui segue l'eternità.
Vivi pensando alla morte perché tu possa vivere in eterno.
Tutto ciò che è presente, passa; resta invece quel che si avvicina.
Come ha ben provveduto chi ti ha lasciato, o mondo malvagio,
chi è morto prima col corpo alla carne che non con la carne al mondo!
Preferisci le cose celesti alle terrene, le eterne alle caduche.
L'anima libera torni al suo principio;
lo spirito salga in alto e torni a quella fonte da cui è scaturito,
disprezzi sotto di sé ciò che lo costringe in basso.
Ricordati di me, te ne prego; guarda pietoso le ceneri di Pietro;
con preghiere e gemiti dì: "Signore, perdonalo" » (Pietro Peccatore)

Opere

  • Vita Romualdi
  • Liber Gratissimus contro la simonia
  • Disceptatio Synodalis in difesa di Papa Alessandro II contro l'antipapa Onorio II
  • Liber Gomorrhianus contro la sodomia, soprattutto nel clero
  • De sancta simplicitate
  • De divina omnipotentia, ca 1067

La dottrina

Nel suo scritto Sull'onnipotenza divina, ove riprende una discussione avuta con l'abate Desiderio di Montecassino, nella quale sosteneva che Dio può ridare la verginità alle donne che l'avessero perduta, egli prende posizione contro coloro che affermano che Dio non può fare che ciò che è stato non sia stato, non può mutare il passato. Secondo la logica umana, se ciò che è stato è necessario che fosse, ne deriverebbe che tutto ciò che accade nel presente è necessario che accada, così come sarà necessario tutto ciò che avverrà nel futuro. Ma a Dio non si possono attribuire giudizi di necessità "che si riferiscono all'arte dell'enunciare", altrimenti Dio non sarebbe più onnipotente.

Per Pier Damiani, Dio "coglie con un solo sguardo tutte le cose in modo che per lui non c'è nulla di passato e di futuro....avendo dato origine alla natura, può anche annullarne la necessità... tali deduzioni dei dialettici non sono applicabili al mistero della potenza divina: si guardino bene dal formulare sillogismi contro le leggi divine e dall'opporre la necessità dei loro ragionamenti alla virtù divina. La stessa esposizione delle Sacre Scritture per mezzo della dialettica umana non deve atteggiarsi arrogantemente a maestra ma deve assecondare riverentemente le Scritture come un'ancella va dietro alla sua padrona, per non smarrirsi andando innanzi a lei e non perdere la via della verità attenendosi all'esteriore legame delle parole".

Una sola cosa, secondo Pier Damiani, Dio non può fare: il male, perché il male non ha consistenza. È sottintesa la polemica contro la Scuola di Chartres e in particolare contro Ives, l'allievo di Fulberto, che egli avrebbe potuto ascoltare personalmente.

Anche nella De sancta simplicitate Damiani afferma Dio come volontà pura, oltre la logica umana; Dio non è la deduzione di un sillogismo ma anzi fonte di ogni sillogismo e di ogni ragione, così come la via della salvezza non può essere raggiunta per via scientifica ma attraverso il mistero della redenzione: "L'imperatore Giuliano e il martire Donato studiarono insieme, ma quello si attardò negli studi e questo seguì le vie della verità; quello scrisse otto libri contro i galilei e questo, disimparando la sapienza, salì al cielo con l'aureola del martirio".

Come alla filosofia non può essere riconosciuta indipendenza rispetto alla fede, così non può riconoscersi indipendenza all'Impero e alla sfera politica: l'Impero non ha fini distinti da quelli del Papato dal momento che è il papa a consacrare l'imperatore affidandogli con ciò la missione di governare i popoli cristiani, affinché essi pervengano al raggiungimento dei fini religiosi: se egli venisse meno a questa missione, verrebbe meno la natura stessa del suo potere. Sono, in sostanza, le idee di papa Gregorio VII che afferma il primato religioso tanto nella politica che nella cultura.

Nella Divina Commedia

Dante Alighieri, nella Divina Commedia, lo colloca nel settimo cielo del Paradiso, quello di Saturno:

« Così ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continüando, disse: Quivi
al servigio di Dio mi fe' sì fermo,

che pur con cibi di liquor d'ulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento né pensier contemplativi.

Render solea quel chiostro a questi cieli
fertilemente; e ora è fatto vano,
sì che tosto convien che si riveli.

In quel loco fu io Pietro Damiano,
e Pietro Peccator fu ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.

Poca vita mortal m'era rimasa,
quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
che pur di male in peggio si travasa. »

(Paradiso, canto XXI, 112-126)

Successione degli incarichi

Predecessore: Cardinale vescovo di Ostia Successore: CardinalCoA PioM.svg
Giovanni I Adeodato
1050-1058
1058 - 1066 San Gerhard (o Gilard o Gerald), O.S.B.Clun.
1067 - 1077
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
con
con
Giovanni I Adeodato
1050-1058
{{{data}}} San Gerhard (o Gilard o Gerald), O.S.B.Clun.
1067 - 1077
Predecessore: Cardinale vescovo di Velletri Successore: Kardinalpallium.png
Giovanni V dei Conti di Tuscolo
10501058
1060 - 1066 San Gerhard (o Gilard o Gerald), O.S.B.Clun.
1067 - 1077
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
con
con
Giovanni V dei Conti di Tuscolo
10501058
{{{data}}} San Gerhard (o Gilard o Gerald), O.S.B.Clun.
1067 - 1077
Note
  1. Secondo altre fonti 22 febbraio
  2. , Giovanni da Lodi (Johannes von Lodi), Vita Petri Damiani, a cura di S. Freund, Studien zur literarischen Wirksamkeit des Petrus Damiani, Hannover 1995, pp.177-265.
  3. Ruggero Benericetti, L'eremo e la cattedra. Vita di san Pier Damiani, ed. Àncora, Milano, 2007, p. 80.
  4. F. Lanzoni, San Pier Damiani e Faenza, Faenza 1898, p. 25.
Fonti
Bibliografia
  • Vincenzo Poletti, Il vero atteggiamento antidialettico di S. Pier Damiani, Faenza 1953
  • Jean Leclercq, Studi su San Pier Damiani, Faenza 1961
  • Mansueto Della Santa, Ricerche sull'idea monastica di San Pier Damiani, Camaldoli, 1961
  • Ruggero Benericetti, L'eremo e la cattedra. Vita di san Pier Damiani, ed. Àncora, Milano, 2007
  • Nicolangelo D'Acunto, I laici nella chiesa e nella società secondo Pier Damiani. Ceti dominanti e riforma ecclesiastica nell'XI secolo, 1999
Voci correlate
Collegamenti esterni