Documento di Friburgo

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Il Documento di Friburgo è un testo sulla libertà religiosa prodotto il 27 dicembre 1960 in ambiente ecumenico da una sottocommissione del Segretariato per l'Unità dei Cristiani riunito a Friburgo, in Svizzera. La sottocommissione era un piccolo gruppo di Vescovi e teologi.

Il documento, di poche paginette, costituì una preparazione del documento Dignitatis Humanae del Concilio Vaticano II (1962-1965).

Il 18 giugno 1962 ne venne approntata una seconda versione, più matura in molti aspetti.

Antecedenti

Nel dibattito tra fede cattolica e illuminismo, tra Chiesa e mondo moderno, più volte i papi - da Gregorio XVI a Pio IX, da Leone XIII a Pio XII - condannarono la libertà come espressione di una ideologia liberale, apportatrice di naturalismo e di indifferentismo.

Il concetto di "libertà religiosa" era ancora da mettere a punto: l'espressione non era nata né dai teologi né dal diritto naturale insegnato dalle chiese, ma dagli stati moderni e dal diritto razionale; essa appare al n. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite; nel 1961, poi, il Consiglio Ecumenico delle Chiese aveva approvato a New Delhi una Dichiarazione sulla libertà religiosa[1]; lo stesso Consiglio aveva inoltre già avanzato un breve richiamo del problema fin dall'assemblea di Amsterdam del 1948[2]. Il Documento la descrive, nel capitolo terzo, come "immunità da costrizione".

Il Documento del 1960

Il Documento verteva su tre questioni fondamentali:

Il testo risentiva ancora della vecchia teoria della tesi e dell'ipotesi elaborata dal gesuita Carlo Maria Curci[3], fondatore de La Civiltà Cattolica, e ripresa dopo il Sillabo dal vescovo francese Felix Dupanloup. Tale teoria distingue due piani:

  • in tesi, cioè sul piano dei principi, solo la verità ha diritto di essere riconosciuta dallo Stato;
  • in ipotesi, cioè sul piano storico concreto, vige il principio della tolleranza.

Tale visione sembrava nella Chiesa irremovibile sul piano teologico, filosofico, politico, istituzionale, nonché sul piano della consuetudine e della mentalità[4].

Punti problematici

Il Documento di Friburgo è il primo tentativo di sbozzare il rapporto tra libertà religiosa e fede ecclesiale, cosa che all'epoca non era né ovvia né facile.

Riguardo alla questione della fondazione teologica della libertà religiosa, il primo capitolo impostava il problema con tre tipi di argomentazioni:

  • La natura dell'uomo. L'inviolabile dignità della persona, raccolta attorno alla centralità della coscienza, andava rispettata sempre, anche quando ci si imbatteva in una coscienza erronea: le persone hanno il diritto e il dovere di seguire la propria coscienza, e questo diritto/dovere è parte essenziale della libertà religiosa. Per esprimere questa verità ci si serviva della terminologia di Pio XI che, rifiutando la "libertà di coscienza" quale espressione di indifferentismo, adottava invece la dizione "libertà delle coscienze", intendendo con essa rispettare chi, nonostante sforzi sinceri di ricerca, rimaneva prigioniero di una coscienza erronea.
  • La natura della fede. L'attenzione si fermava sulla libertà della risposta umana alla iniziativa di Dio; per suscitare la fede, non ci si può servire della forza ma solo di mezzi apostolici come la preghiera, l'insegnamento, l'esempio e il martirio.
  • l'evoluzione storica della società. Il testo si rifaceva alle linee contenute nel discorso di Pio XII ai giuristi cattolici del 6 dicembre 1953[5].

Il termine "tolleranza" era usato, ma riconoscendo che si trattava di una nozione inadeguata ad esprimere il contenuto preciso del comportamento dei cattolici: questi non solo tollerano, ma vogliono positivamente il bene per sé e per gli altri.

Il successivo documento del 1962

Il documento del 1962 presentò meglio il discorso sulla libertà religiosa, tenendo presente che essa non riguarda solo le convinzioni religiose o gli atti di culto, ma l'intera vita personale di coloro che credono: è la persona stessa, infatti, a rendere tutta la sua attività personale e sociale l'ambito espressivo delle sue convinzioni religiose. Si precisò inoltre che questo diritto si applica non solo agli individui, ma anche ai gruppi religiosi.

L'insistenza sul contenuto positivo della tolleranza portò gli estensori del Documento di Friburgo ad abbandonare il termine: il titolo del primo capitolo divenne De bonis fidei in caritate promovendis ("Sui beni della fede da promuovere nella carità").

Nel terzo capitolo la dizione "società civile" sostituì in larga misura il termine "stato" usato nella prima versione.

Nonostante queste precisazioni successive, rimane il fatto che l'origine teologica della terminologia e, a maggior ragione, del suo contenuto non appare ancora del tutto chiara.

Le argomentazioni sulla fondazione teologica della libertà religiosa, già presenti nel documento del 1960, ritornarono in quello del 1962 con qualche piccola variazione: quest'ultimo anticipò il tema della fede rispetto a quello della natura umana, e ridusse a poche righe la problematica della coscienza. Il primo capitolo assunse così una struttura più organica.

Acquisizioni

Il punto più delicato del Documento è quello dei rapporti tra impostazione teologica e problematica giuridica. Il Documento di Friburgo e quello del 1962 non hanno al riguardo sufficiente chiarezza ma, nonostante questo, almeno in due punti toccano questioni rilevanti:

  • Parlando dei diritti della verità, il Documento di Friburgo rileva che "questa formula è ambigua. Nel senso proprio della parola, la verità non ha diritti: unico soggetto di diritti è la persona umana e le società, in quanto sono composte di persone umane; è vero, invece, che la persona ha degli obblighi verso la verità". L'osservazione è notevole, ma lascia impregiudicato il modo con cui il primato della verità vada composto con la dignità di una persona pur sempre fallibile: sia a livello morale e sia a livello giuridico. Su questo, il testo tace.
  • Sul ruolo dello stato in ordine al culto, non vi è dubbio che il culto sia atto della Chiesa e dei suoi membri; resta però opportuno chiarire quale debba essere il ruolo di uno stato alle prese con valori che lo trascendono; solo così vi sarà chiarezza su quelle basi su cui andrà costruito il discorso sulla libertà religiosa e sulla sua composizione con il bene comune. Un breve passo del documento preparatorio del 1962 è significativo: "Come ogni società umana, la società civile deve servire Dio. Ha l'obbligo di assicurare questo servizio rimanendo nell'ambito della propria natura, in particolare rispettando, nella propria legislazione, le norme della legge divina e assolvendo la missione specifica che ha ricevuto da Dio. Proteggendo e promovendo la dignità umana e il potere dei cittadini, la società prepara la sottomissione di tutte le cose a Cristo (Ef 1,10 )".

L'arrivo del Documento al Concilio Vaticano II

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Dignitatis Humanae

Apertosi il Concilio Vaticano II, il testo del 1962 venne presentato dal Segretariato per l’Unità dei Cristiani alla seduta della Commissione Centrale del 12-20 giugno 1962.

A questa commissione, nel frattempo, era giunto anche un testo della Commissione Teologica dello stesso Concilio, presieduta dal cardinale Alfredo Ottaviani; tale documento, della dimensione di sette pagine di testo accompagnate da quindici di documentazione, portava il titolo Delle relazioni tra Chiesa e Stato e della tolleranza religiosa; esso affrontava lo stesso argomento del Documento di Friburgo, ed avrebbe poi costituito il capitolo nono dello schema dottrinale sulla Chiesa.

La concomitanza dei due documenti fece sì che vennisse discussa la competenza o meno del Segretariato per l'Unità a presentare documenti, e si dovette stabilirne l'inquadratura giuridica rispetto alle Commissioni conciliari. Giovanni XXIII risolse il problema equiparando il Segretariato alle Commissioni conciliari (22 ottobre 1962), rendendolo così pienamente in grado di svolgere direttamente una azione conciliare.

Sta di fatto però che un certo numero di membri della Commissione dichiarò il Documento di Friburgo inaccettabile per la [[dottrina cattolica], in quanto sembrava contraddire i pronunciamenti che il magistero aveva effettuato a partire dalla fine del XVIII secolo[6].

Nel primo periodo del concilio (ottobre-dicembre 1962) quindi nessun testo sulla libertà religiosa venne presentato in aula o distribuito ai padri conciliari. Fu soltanto nel secondo periodo (settembre-dicembre 1963) che si lavorò alla prima redazione del documento sulla libertà religiosa, già sotto il pontificato di Paolo VI. Il documento Dignitatis Humanae venne però approvato soltanto al termine dell'ultimo periodo del Concilio, il 7 dicembre 1965.

Note
  1. Terza Assemblea. Gesù Cristo luce del mondo. New Delhi, 19 novembre-5 dicembre 1961. IV: Rapporto dei Comitati. 3: Rapporto del Comitato delle politiche di riferimento. J: Dichiarazione sulla libertà religiosa, in Enchiridion Oecumenicum. Consiglio mondiale delle Chiese. 5: Assemblee generali 1948-1998, Edizioni Dehoniane, Bologna 2001, pp. 275-278 (nn. 310-313).
  2. Il disordine dell'uomo e il disegno di Dio. Amsterdam, 22 agosto-4 settembre 1948. 4: Rapporto della IV Sezione: La Chiesa e il disordine della società. V: Le Chiese e tutti i cristiani hanno degli obblighi precisi di fronte al disordine internazionale. Dichiarazione sulla libertà religiosa, in Enchiridion Oecumenicum. Consiglio mondiale delle Chiese. 5: Assemblee generali 1948-1998, Edizioni Dehoniane, Bologna 2001, pp. 43-46 (nn. 41-45).
  3. Ne Il congresso cattolico di Malines e le libertà moderne, in La Civiltà Cattolica, 2 Ottobre 1863 (Serie V, vol. III, fasc. 326), p. 129-149.
  4. Vittorio Alberti (2012) 310.
  5. Pio XII, Discorsi e Radiomessaggi, vol. XV, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1954, pp. 485-486, anche online
  6. http://disputationes-theologicae.blogspot.it/2010/03/un-limite-teologico-dellabbe-claude.html
Bibliografia
  • Gianni Colzani, La dichiarazione Dignitatis Humanae. La difficile storia di un documento conciliare, online
  • Vittorio Alberti, La Dignitatis humanae e la nuova laicità oltre la rivoluzione e la controrivoluzione, in Anuario de Historia de la Iglesia, 21 (2012) 303-320, online
  • (DE) Pietro Pavan, Einleitung, in id., Declaratio de libertate religiosa – Erklärung über die Religionsfreiheit. Einleitung und Kommentar, in Lexikon für Theologie und Kirche - Das Zweite Vatikanische Konzil, vol. II, Freiburg-Basel-Wien, Herder, 1967
  • Jérôme Hamer, Progressiva elaborazione del testo della Dichiarazione, in Jérôme Hamer, Clemente Riva, La libertà religiosa nel Vaticano II. Genesi storico-dottrinale, testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino-Leumann, ElleDiCi, 1966
Voci correlate