Pastore d'Erma
Pastore d'Erma | |
Ambito romano, Buon Pastore con il gregge (III secolo), affresco; Roma, Catacombe di San Callisto | |
Titolo originale | {{{titolo originale}}} |
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Lingua originale | greco |
Autore | Erma |
Datazione | II secolo |
Il Pastore d'Erma è un testo cristiano della prima metà del II secolo nato in ambiente romano e scritto in greco.
Tra gli scritti del suo ambiente e della sua epoca è tra quelli di più difficile interpretazione[1]. Affronta il problema della remissione dei peccati commessi dopo il Battesimo.
Contesto
La comunità in cui nasce l'opera sta vivendo una fase di crescita, e ciò pone vari problemi:
- non tutti i fedeli sono disponibili al sacrificio per vivere una vita cristiana sincera e pura;
- a causa della crescita numerica non c'è più la conoscenza reciproca come nella generazione precedente;
- nonostante la formazione seria data dal catecumenato, permangono le passioni e gli interessi mondani.
L'autore dello scritto conosce l'animo umano e le sue debolezze; sa che né l'eccessivo rigore né la permissività sono la soluzione, e preferisce prendere la strada della persuasione. Non esaspera le cose, ma cerca sempre un equilibrio[2].
Autore
Erma fornisce nella sua opera alcuni spunti di carattere autobiografico: sarebbe uno schiavo affrancato, che aveva saputo crearsi una condizione di vita agiata; il suo matrimonio non era altrettanto felice: la moglie è una donna dalla lingua lunga, e i figli hanno apostatato e hanno accusato i genitori.
Secondo il Canone Muratoriano Erma era fratello di papa Pio I (140-154 ca.)[3]. Ma nella seconda visione si parla di Clemente Romano (m. 97) come contemporaneo dell'autore. Il problema è quindi molto complesso, ed è opinione corrente che i dati autobiografici e i riferimenti storici siano, almeno in parte, fittizi[4]. La stessa struttura dell'opera, con il susseguirsi di parti eterogenee, fa pensare a rielaborazione e fusione di composizioni anteriori originariamente indipendenti tra di loro.
Contenuto e divisione
L'opera è organicamente costruita, con unità di forma e di contenuto.
Si divide in:
- cinque visioni;
- dodici precetti;
- dieci similitudini di tipo allegorico (dette anche parabole[5]).
I numeri appartengono al linguaggio simbolico dell'epoca.
Prosa
La prosa ha un carattere grandemente comunicativo, che oscilla tra il genere apocalittico e il didascalico.
Sono frequenti le ripetizioni: è un procedimento voluto, per far penetrare i concetti che l'autore vuole trasmettere.
Il procedimento letterario seguito dall'autore non è quello della narrazione lineare, ma quello del dialogo continuo, e la forma dialogica che viene usata è originale, perché i soggetti del dialogo non sono persone reali, ma l'autore[6], da una parte, e le personificazioni della Chiesa, dall'altra. Gli altri personaggi sono in funzione del rapporto con la Chiesa.
Per altri[7] usa uno stile ingenuo e popolaresco, caratterizzato da ebraismo e latinismi ma non privo di efficacia nel racconto.
L'opera ha coincidenze con altre opere della stessa epoca: la Didaché e lo Pseudo-Barnaba; esse vengono spiegate per il comune radicamento nelle comunità cristiane del periodo.
L'opera è considerata da vari autori rielaborazione e fusione di scritti anteriori.
Dottrina
L'argomento di tutto il testo è la salvezza. Tuttavia la dottrina dell'opera non è del tutto coerente[8].
Influssi giudeocristiani
Vi sono influssi giudeocristiani[9]:
- negli spunti di cristologia angelica;
- nel motivo del Nome di Dio;
- nel tema delle due vie.
Dottrina sulle persone divine
L'opera non nomina mai Cristo, ma usa i termini salvatore, Figlio di Dio e Signore. Tuttavia gli spunti di riflessione cristologica non sono minimamente coerenti tra loro: a volte hanno carattere adozionista (Cristo come un uomo dotato di spirito divino e adottato a Figlio di Dio per i suoi meriti), a volte riportano la corretta dottrina della divinità del Figlio e della sua preesistenza.
Parlando dello Spirito Santo afferma che è Figlio di Dio (59; 60) e che si è incarnato (78,1). In tal modo non riesce a separare lo Spirito dal Figlio.
La penitenza
Erma vuole aiutare i suoi lettori a vivere un cammino di conversione attraverso l'esercizio della penitenza, e si pone in contrasto con i rigoristi[10], che ne negavano l'efficacia, e con i lassisti, contro i quali afferma che la penitenza è necessaria e non può essere differita: esse deve aver luogo prima che la costruzione della torre sia terminata, cioè finché si è nel mondo terrestre.
La penitenza è un atto di grande intelligenza; essa diviene salda e pura adempiendo i precetti del Signore.
L'insegnamento morale
L'opera insegna il grande valore del digiuno, del celibato, del martirio. Insiste sulla semplicità, sulla sincerità, sulla castità; riguardo al matrimonio, ne afferma l'indissolubilità, chiede di dare il perdono al coniuge colpevole ma non recidivo, menziona le seconde nozze dopo la vedovanza.
Tratta con acume psicologico della pazienza, della gioia della tristezza.
Il Battesimo
Per Erma il Battesimo è la prima grande penitenza che cancella il peccato. Riceverlo è portare il nome del Figlio di Dio (94,5). Prima di portare questo nome l'uomo è morto. Solo quando riceve il sigillo battesimale ottiene la vita e abbandona la morte (93,3-4).
Nessuna entra nella Chiesa senza il Battesimo. La torre è costruita nell'acqua perché la nostra vita è salva per mezzo dell'acqua (11,5).
La nona similitudine elenca tutti gli effetti del Battesimo, affermando che dopo di esso non si ha che una sola penitenza
È la "dissociazione" (dipsuchía, dipsûcos)[11] dell'anima quella che ostacola i favori celesti.
I due angeli
Erma esprime l'insegnamento delle due vie, presente nella Didaché e nella Lettera di Barnaba attraverso l'immagine dei due angeli che abitano nell'uomo:
- L'angelo della giustizia: è gioioso, delicato, modesto, dolce; va ascoltato con il cuore quando parla di castità, di temperanza e di ogni virtù.
- L'angelo del male: induce a tristezza, appesantisce, intralcia; "è inerte come i nervi di un morto" (49,2); con la sua tristezza caccia lo Spirito Santo.
La Chiesa
La Chiesa preesiste al mondo: è creata prima di ogni cosa (8,1).
È raffigurata allegoricamente da una torre che Erma vede edificare sotto i suoi occhi dagli angeli. È un edificio spirituale fatti di pietre vive che poggiano sul Figlio di Dio come su una roccia (89,1), ed ha alla sua base i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i vescovi, i dottori e gli umili servitori.
La Chiesa sulla terra è sempre in divenire, ed ha cura della sua perfezione fino all'ultimo giorno.
L'unione della Chiesa con il Figlio di Dio è tanto intima e forte che converte la torre in un monolito: il Figlio di Dio sostiene la torre, cioè la Chiesa.
Accettazione
L'opera fu considerata come un libro ispirato: il Catalogus Claromontanus lo considera canonico. A motivo della reputazione canonica di cui godeva ebbe una larga diffusione nei primi secoli.
Il Canone muratoriano dà notizia del testo e del suo uso ecclesiastico, ma lo pone esplicitamente fuori dal canone. Il Decreto Gelasiano (fine del V secolo) lo colloca tra gli apocrifi.
I codici che lo trasmettono sono il Sinaitico (IV secolo) e l'Athensis.
Il testo ci è pervenuto anche nelle traduzioni latina ed etiopica. La Biblioteca Nazionale di Parigi conserva frammenti di una traduzione copto-sahidica.
Note | |
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Fonti | |
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Edizioni critiche | |
Bibliografia | |
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Voci correlate | |