Timore di Dio

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Michelangelo, Giudizio Universale (part.), 1536-1541, affresco; Città del Vaticano, Cappella Sistina. Gesù Cristo appare in un atteggiamento che suscita un santo timore

Il Timore di Dio è uno dei Doni dello Spirito Santo, l'ultimo nell'elencazione tradizionale dei sette doni[1].

Il timore di Dio comporta modalità diverse, che concorrono, ciascuna al suo livello, ad avviare l'uomo verso la pienezza della fede.

Nella Bibbia

L'Antico Testamento viene caratterizzato sovente sotto l'aspetto del timore ed il Nuovo come sotto quello dell'amore. La formula è approssimativa, e lascia fuori campo molte sfumature.

Se il timore rappresenta nell'Antico Testamento un valore importante, la legge dell'amore vi ha già le sue radici: i due comandamenti principali indicati da Gesù si trovano in Dt 6,5 e in Lev 19,18 . Inversamente, il Nuovo Testamento non abroga il timore: esso permane come il fondamento di ogni atteggiamento autentica religiosità. Nei due Testamenti timore ed amore si intrecciano quindi in maniera che non posso essere scissi l'uno dall'altro.

Più importante è cogliere la distinzione tra il timore religioso e la paura che ogni uomo può provare di fronte ai flagelli della natura o agli attacchi del nemico (Ger 6,25;20,10 ). Soltanto il primo ha posto nella rivelazione biblica.

Timore riverenziale

Il timore riverenziale sbocca nell'adorazione, ed è la reazione normale dei credenti dinanzi alle manifestazioni divine.

Manifestano questo timore:

Timore e fiducia in Dio

Nella vita autentica di fede il timore trova il suo equilibrio grazie ad un sentimento contrario: la fiducia in Dio.

Nell'Antico Testamento è lo stesso YHWH che, quando appare agli uomini, non vuole terrorizzarli, ma li rassicura: "Non temere!" (Gdc 6,23 ; Dn 10,12 ; cfr. Lc 1,13.30 ). Egli circonda gli uomini di una provvidenza paterna che veglia sui loro bisogni. Così dice "Non temere!" ai patriarchi nel momento in cui li fa partecipi delle sue promesse (Gen 15,1;26,24 ); e la stessa espressione accompagna le promesse escatologiche rivolte al popolo sofferente (Is 41,10.13-14;43,1.5;44,2 ).

Dio conforta i profeti nel momento in cui affida loro una dura missione: essi incontreranno opposizione negli uomini, ma non devono temerli (Ger 1,8 ; Ez 2,6;3,9 ; cfr. 2Re 1,15 ). Così la fede in lui è la fonte di una sicurezza che elimina la paura umana.

Quando Israele in guerra deve affrontare il nemico, il messaggio divino è ancora lo stesso: "Non temere!" (Nm 21,34 ; Dt 3,2;7,18;20,1 ; Gs 8,1 ). Quando il pericolo è più grave, Isaia ripete la stessa cosa ad Acaz (Is 7,4 ) e ad Ezechia (Is 37,6 ).

Forti della loro fiducia in Dio, i veri credenti eliminano ogni timore dal loro cuore (Sal 23,4;27,1;91,5-13 ).

L'invito a non temere è ripreso anche da Cristo che cammina sulle acque (Mc 6,50 ); si trova poi anche tra le promesse di Gesù al "piccolo gregge" che riceve il regno dal Padre (Lc 12,32 ; Mt 6,25-34 ).

Agli apostoli, che la persecuzione attende, Gesù ripete di non temere neppure coloro che uccidono il corpo (Mt 10,26-31 ; Lc 12,2-7 ).

Timore dei castighi di Dio

Il timore di cui parla la Rivelazione ha anche un'altra origine: si tratta del timore del castigo di Dio. Anche questo è un timore salutare.

Nell'Antico Testamento YHWH si rivela come giudice, e la proclamazione della legge di Mosè è accompagnata dalla minaccia di sanzioni (Es 20,5-7;23,21 ). Lungo tutta la sua storia, le disgrazie di Israele sono presentate dai profeti come altrettanti segni provvidenziali che riflettono il corruccio di Dio, e che divengono quindi un serio motivo per tremare dinanzi a lui! In questo senso la legge divina appare veramente come una legge di timore.

In maniera simile il Sal 2 , ricordando la minaccia dei castighi divini, invita le nazioni straniere a sottomettersi all'unto di YHWH (Sal 2,11-12 ).

Questo specifico insegnamento biblico non può essere relegato tra gli aspetti superati nel Nuovo Testamento, perché anche lì si riconosce un posto importante all'ira e al giudizio di Dio. Ma dinanzi a questa prospettiva terribile devono tremare soltanto i peccatori ostinati, induriti nel male (Gc 5,1 ; Ap 6,15-16 ). Per gli altri, che si riconoscono profondamente peccatori (cfr. Lc 5,8 ), ma hanno fiducia nella grazia giustificante di Dio (Rm 3,23-24 ), il Nuovo Testamento ha inaugurato un atteggiamento nuovo: non più un timore di schiavo, ma uno spirito di figli adottivi di Dio (Rm 8,15 ), una disposizione d'amore interiore che elimina il timore, perché il timore suppone un castigo (1Gv 4,18 ); colui che ama non ha più paura del castigo, anche se il suo cuore lo condannasse (1Gv 3,20-21 ). In questo senso il Nuovo Testamento è una legge d'amore.

Timore di Dio come modalità dell'esistenza religiosa

Il timore di Dio come è presentato nella Bibbia può essere inteso in un senso abbastanza largo ed abbastanza profondo con lo stesso atteggiamento religioso.

Il Deuteronomio lo associa già in modo caratteristico all'amore di Dio, all'osservanza dei suoi Comandamenti, al suo servizio (6,2.5.13), mentre Is 11,2 vi vede uno dei frutti dello spirito di Dio.

Il timore di Dio, dicono i sapienti, sta all'inizio della sapienza (Pr 1,7 ; Sal 111,10 ), ed il Siracide lo presenta come l'equivalente pratico della pietà (1,11-20).

Il timore di Dio così concepito merita la beatitudine che gli attribuiscono parecchi salmi (112,1;128,1), perché "la misericordia di Dio si estende di età in età su coloro che lo temono" (Lc 1,50 ; cfr. Sal 103,17 ); il tempo del giudizio, che farà tremare di paura i peccatori, sarà pure il tempo in cui Dio "ricompenserà coloro che temono il suo nome" (Ap 11,18 ).

Il Nuovo Testamento, pur conservando talvolta alla parola una sfumatura di timore riverenziale in cui non manca del tutto la prospettiva del giudizio (2Cor 7,1 ; Ef 5,21 ; Col 3,22 ), specialmente se si tratta di persone che "non temono Dio" (Lc 18,2.4;23,40 ), la intende piuttosto in quel senso profondo che ne fa una virtù essenziale:

« Dio non mostra parzialità per nessuno, ma in ogni nazione colui che lo teme e pratica la giustizia gli è accetto. »

Il timore così inteso è via di salvezza.

Note
Bibliografia
Voci correlate
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 11 gennaio 2011 da Don Paolo Benvenuto, baccelliere in Teologia.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.