Pietà Bandini (Michelangelo)
Michelangelo Buonarroti, Pietà (1547 - 1555 ca.), marmo | |
Pietà Bandini | |
Opera d'arte | |
Stato | Italia |
Regione | Toscana |
Regione ecclesiastica | Toscana |
Provincia | Firenze |
Comune | Firenze |
Diocesi | Firenze |
Ubicazione specifica | Museo dell'Opera del Duomo |
Uso liturgico | nessuno |
Comune di provenienza | Roma |
Luogo di provenienza | Casa dell'artista |
Oggetto | gruppo scultoreo |
Soggetto | Pietà |
Datazione | 1547 - 1555 ca. |
Ambito culturale | |
Autori | |
Materia e tecnica | marmo |
Misure | h. 226 cm; l. 123 cm; p. 94 cm |
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La Pietà, detta anche Pietà Bandini, è un gruppo scultoreo, realizzato tra il 1547 ed il 1555 circa, in marmo, da Michelangelo Buonarroti (1475 - 1564), proveniente dalla casa romana dell'artista ed attualmente collocato nel Museo dell'Opera del Duomo di Firenze. L'opera venne successivamente integrata con l'introduzione della figura di Santa Maria Maddalena da Tiberio Calcagni (1532 - 1565).
Descrizione
Soggetto
Nel gruppo scultoreo della Pietà compaiono:
- Gesù Cristo morto, appena deposto dalla croce, adagiato sulla Madonna.
- Maria Vergine sorregge il corpo del Figlio privo di sensi, con l'aiuto di Nicodemo e di santa Maria Maddalena.
- Nicodemo, in alto, adagia il corpo di Gesù tra le braccia della Madre. Nella figura dell'anziano discepolo l'artista ritrae se stesso: il volto commosso di Nicodemo è l'autoritratto di Michelangelo, il cui amore per Cristo traspare nei sonetti scritti negli stessi anni.[1]
- Santa Maria Maddalena, a sinistra, collabora con gli altri protagonisti nel sostenere il Cristo.
Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche
- La Pietà, scolpita nei primi anni del Concilio di Trento, privilegia la figura di Cristo, sottolineando l'insegnamento cattolico per cui nella Messa il corpo del Salvatore divenga realmente presente; il Concilio ribadì questa definizione dell'Eucaristia con un decreto pubblicato nel 1551, mentre Michelangelo lavorava ancora sul gruppo.
- Il modulo compositivo dell'opera utilizzato è ancora quello piramidale, come nella celebre Pietà vaticana, ma questa volta il gruppo scultoreo è più articolato: Nicodemo, la Maddalena e la Madonna sostengono la figura di Cristo, posta verticalmente in un moto di caduta, disegnato da una linea spezzata, che diviene fulcro emozionale dell'insieme.
- Ad un esame ravvicinato il gruppo scultoreo rivela il principio del "non-finito", tipico dell'ultimo periodo di Michelangelo, che si conferma non tanto come interruzione o uno stato di incompiutezza, ma quanto come una componente fondamentale del processo creativo dell'artista: elemento rilevato anche da Giorgio Vasari, il quale scriveva:[2]
« | E che e' sia il vero, delle sue statue se ne vede poche finite nella sua virilità, ché le finite affatto sono state condotte da lui nella sua gioventù. » |
- Michelangelo, se nella Pietà vaticana aveva adottato un tipo iconografico tradizionale, col corpo di Cristo sdraiato in grembo alla Madre e quasi cullato dalla Vergine, nelle Pietà degli anni maturi lo scultore raffigura il corpo morto di Gesù in posizione verticale, mentre si accascia con tutto il suo peso e viene sostenuto con visibile sforzo. Il modello a cui l'artista si ispira è qui probabilmente quello veneto del Gesù Cristo in pietà tra la Madonna e san Giovanni Evangelista (1465 ca.) di Giovanni Bellini,[3] dove si assiste ad un'ostentazione del corpo di Cristo.
Notizie storico-critiche
Negli ultimi anni della sua vita Michelangelo ritorna sul tema della Pietà, in un periodo di grande sconforto dell'artista, dopo la scomparsa dell'amica Vittoria Colonna nel 1547, quando ormai settantenne sente avvicinarsi la morte ed inizia a dedicarsi all'ideazione della sua tomba, che inizialmente avrebbe dovuto essere collocata nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Sebbene già celebrato come maggior artista vivente, nonché molto ricco, viveva poveramente in una modesta casa (oggi distrutta) a Macel de' Corvi - accanto alle rovine del Foro di Traiano - spinto alla semplicità anche dal suo profondo senso religioso.
La Pietà, pensata come monumento funebre per la propria sepoltura, è un'iconografia, simile a quella della Deposizione di Gesù Cristo dalla croce e della sua Sepoltura, che si adattava bene ad un'intensa meditazione sulla questione della redenzione, del sacrificio di Cristo e della salvezza.
La Pietà fu probabilmente scolpita a partire proprio dal 1547, incontrando sin dall'inizio notevoli difficoltà. A partire dal blocco marmoreo[4], che, come ricorda anche Giorgio Vasari, era pieno di impurità ed estremamente duro:[5]
« | Lavorava Michelagnolo quasi ogni giorno per suo passatempo intorno a quella pietra ("Pietà") che s'è già ragionato, con le quattro figure, la quale egli spezzò in questo tempo per queste cagioni: perché quel sasso aveva molti smerigli et era duro e faceva spesso fuoco nello scarpello. » |
Nel 1553 era sicuramente ancora in lavorazione, quando sempre lo stesso Vasari, recandosi una sera a visitare l'artista, ebbe l'impressione che Michelangelo esitasse a mostrargliela poiché era in corso d'opera, facendo cadere, forse di proposito, la lucerna, che si spense. Chiamato il servitore ed allievo, Francesco Amadori detto l'Urbino († 1555), per farsene portare un'altra, si lamentò dicendo:[6]
« | Io sono tanto vecchio, che spesso la morte mi tira per la cappa perché io vadia seco, e questa mia persona cascherà un dì come una lucerna, e sarà spento il lume della vita. » |
L'episodio testimonia le crisi depressive del Buonarroti che nel corso degli anni erano diventate abituali e sempre più gravi e che, verso il 1555, portarono l'artista a tentare di distruggere la statua. Quell'anno o poco prima, infatti, dovette essere terminata una prima versione della Pietà, che venne copiata da Lorenzo Sabatini (oggi custodita nella sagrestia di San Pietro), da un'incisione di Cherubino Alberti e da un bozzetto in cera conservata nella collezione Gigli a Firenze. Tentando in seguito di variare la posizione della gambe di Cristo, una venatura nel marmo ne provocò la rottura, suscitando una grande frustrazione nell'artista, aggravata dalla sua tipica insoddisfazione e dalle continue sollecitazioni dell'Urbino a finire la scultura, tanto che Michelangelo, ormai fuori di sé, la prese a martellate, rompendola in più punti. I segni dell'aggressione michelangiolesca si vedono, ancora oggi, sul gomito, sul petto, sulla spalla di Gesù e sulla mano della Madonna, ma la vittima più importante fu la gamba sinistra di Cristo, che avrebbe dovuto accavallarsi a quella di Maria, ma che fu completamente scarpellata via. Una parte della gamba mutila si trova menzionata nell'inventario dei beni del maestro stilato da Daniele da Volterra ("ginocchio di marmo di Michelagniolo"), ma è purtroppo andata perduta.
Il termine cronologico del 1555 è tuttavia ricavato su base teorica, prendendo per autentica la notizia, riportata da Vasari, dell'assillante insistenza con cui l'Urbino lo incitava a terminare la scultura, il quale morì il 3 dicembre di quell'anno, per cui l'aneddoto deve essere collocato prima di quella data.
L'opera, ormai inutilizzabile, venne venduta nel 1561 al banchiere fiorentino Francesco Bandini per duecento scudi, tramite l'intermediazione dell'allievo Tiberio Calcagni, che si offrì di restaurarla e integrarla con la figura di Santa Maria Maddalena alla sinistra, qualitativamente inferiore e sproporzionata rispetto al resto del gruppo.
Alla morte di Michelangelo (18 febbraio 1564), Vasari provò invano a portare il gruppo scultoreo a Firenze per la sua sepoltura nella Basilica di Santa Croce, ma invece rimase a Roma nella villa dei Bandini a Monte Cavallo[7] ben oltre la morte dello stesso Francesco (1564), dove la vide anche Gianlorenzo Bernini (1598 - 1680).
Nel 1674 fu acquistata dal granduca Cosimo III de' Medici e trasferita a Firenze, destinandola alla cripta della Basilica di San Lorenzo, luogo di sepoltura del proprio casato.
Nel 1722 venne trasportata nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore e sistemata nello spazio dietro l'altare maggiore.
Dal 1933 fu collocata nella prima cappella di destra della tribuna settentrionale del Duomo, fino al 1981 quando fu spostata nella sua collocazione attuale, il Museo dell'Opera del Duomo di cui rappresenta il massimo capolavoro.
Note | |||||||
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Bibliografia | |||||||
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Voci correlate | |||||||
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