Preghiera Sacerdotale

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Quando la sua Ora è giunta, Gesù prega il Padre (cfr. Gv 17 ). La sua preghiera, la più lunga trasmessaci dal Vangelo, abbraccia tutta l'Economia della creazione e della salvezza, come anche la sua morte e la sua risurrezione. La preghiera dell'Ora di Gesù rimane sempre la sua preghiera, così come la sua pasqua, avvenuta "una volta per tutte", resta presente nella liturgia della sua Chiesa.

La tradizione cristiana a ragione la definisce la "preghiera sacerdotale" di Gesù. È quella del nostro Sommo Sacerdote, è inseparabile dal suo sacrificio, dal suo passaggio ("pasqua") al Padre, dove egli è interamente "consacrato" al Padre (cfr. Gv 17,11.13.19 ).

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(CCC 2746-2747)

La Preghiera Sacerdotale è una preghiera che Gesù pronuncia dopo l'Ultima Cena, e rappresenta il suo testamento spirituale. Esprime un amore quasi viscerale verso i discepoli, quelli presenti e anche quelli futuri. Si trova nel capitolo 17 del Vangelo secondo Giovanni.

È così chiamata sia per la sua collocazione all'inizio della storia della passione, sia per quanto affermato da Gesù stesso (Gv 17,19 ):

« Per loro io consacro me stesso perché siano anch'essi consacrati nella verità»

Anche se non del tutto esatta, la denominazione di "preghiera sacerdotale" ne esprime abbastanza bene il contenuto, che è di offerta e di donazione radicale di se stesso a Dio e agli uomini.

Origine della denominazione

L'espressione venne usata per la prima volta da uno dei padri del luteranesimo, David Citraeus (1751-1800) che, a sua volta, si è ispirato a Clemente Alessandrino[1].

Articolazione

La preghiera presenta due aspetti:

  • per un verso si presenta come un'interpretazione di tutta la vita passata di Gesù;
  • per un altro è come la profezia degli eventi tragici che ancora lo attendono e che daranno senso pieno a tutta la sua vicenda storica, ormai prossima alla consumazione.

Il capitolo si può dividere in tre parti, con una conclusione che può essere vista come una ricapitolazione:

Nella ricapitolazione (vv. 24-26) Gesù chiede con autorevolezza al Padre la partecipazione di tutti i suoi discepoli, presenti e futuri, alla sua gloria: "Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria" (v. 24).

Note di esegesi

  • L'evangelista mette in evidenza l'atteggiamento orante di Gesù: "Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: Padre..." (v. 1). È il medesimo atteggiamento che l'evangelista aveva descritto nella risurrezione di Lazzaro, quando Gesù ringraziava il Padre motivo del miracolo: "Gesù allora alzò gli occhi e disse: Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato" (11,41).
  • L'ora di cui parla Gesù (v. 1) è l'ora per eccellenza, quella della sua morte per la salvezza degli uomini, come risulta da tutto il quarto Vangelo[2].
  • La glorificazione di Gesù consiste dunque nella sua radicale donazione alla volontà del Padre: in ciò sta la gloria massima del Padre e del Figlio nello stesso tempo: "Padre, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te" (v. 1; cfr. v. 4).
  • L'oggetto della domanda di Gesù al Padre per i suoi apostoli è prima di tutto l'unità fra di loro, soprattutto dopo che egli non sarà più in questo mondo: "Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi" (v. 11). Il modello dell'unità dei discepoli è la stessa unità del Padre con il Figlio: "Siano una cosa sola come noi".
  • Gesù è ben consapevole che nella sua assenza da loro, i discepoli correranno maggiori rischi a motivo dell'ostilità contro il suo vangelo: già quando lui era presente con loro, "il mondo li ha odiati perché non sono del mondo, come io non sono del mondo" (v. 14). Proprio per questo Gesù intensifica la sua preghiera al Padre perché abbiano la forza di resistere al male: "Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo" (v. 15).
  • Consacrali nella verità (vv. 17.19) il verbo "consacrare" (in greco aghiàzein) ricorre tre volte in questi due versetti; nell'uso biblico consacrare significa, per un verso, "separazione" da un certo ambiente profano e, per l'altro, "deputazione" a una missione sacra. La missione degli apostoli sarà precisamente quella di annunciare la parola che salva, che trova nel Cristo che si immola per i suoi il suo punto culminante: "Per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità" (v. 19).
  • "Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché essi siano una sola cosa" (vv. 20-21). Gesù esprime in questi versetti la piena consapevolezza della necessità di una comunità di fede che dovrà nascere nel suo nome e continuare nella storia.
  • Allo scopo di evitare future divisioni alla sua comunità, Gesù propone il modello del suo rapporto con il Padre: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (v. 21).
  • La gloria (vv. 1.4.5.23) è quella della filiazione divina del Cristo: essa sarà dimostrata anche più convincentemente con gli ultimi fatti della sua vita (morte e risurrezione) e con il suo ritorno al Padre.
  • Gesù vuole che l'unità dei suoi sia perseguita a tutti i costi: "Che siano perfetti nell'unità" (v. 23).
  • "Voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io" (v. 24): parlando del Padre, Gesù gli aveva reso onore, lo aveva ringraziato; ora, invece, che sta per morire, egli adopera parole imperiose. È un'intimazione filiale: io voglio!. Egli ha titolo per dirlo, poiché è il Figlio.

Il problema dell'origine gesuana

L'esegesi biblica si è posta il problema se tale preghiera è davvero uscita dalla bocca di Gesù come oggi la possediamo, oppure è stata rielaborata dal talento letterario e teologico dell'evangelista.

La risposta più comune ritiene che Gesù sia all'origine della preghiera, anche se l'evangelista l'ha rimodellata secondo i paradigmi del suo Vangelo[3].

Note
  1. PG 74, 505.
  2. Ecco, ad esempio, come Gesù risponde ad Andrea e Filippo, che gli chiedono di rivelarsi anche ai greci:
    « È venuta l'ora in cui sarà glorificato il figlio dell'uomo... Ora però l'anima mia è turbata, e che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma appunto per questo sono venuto in quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome»

    Da questo e da altri testi (Gv 7,30;8,20;13,1 ), è evidente che l'ora di Gesù è l'ora della sua morte.

  3. Settimio Cipriani (2004), che cita a suo sostegno un testo di Henri van den Bussche:
    « La presentazione di questa preghiera esclude a priori che essa sia la riproduzione letterale di un inno recitato nella sala dove fu celebrata l'Ultima Cena. Ma non è neppure permesso di considerarla come una preghiera fittizia, composta dall'evangelista o da qualche altro profeta della Chiesa primitiva. Per la sua struttura come per i suoi elementi più fondamentali essa si rifà all'avvenimento storico della cena »
    (Jean. Commentaire de l'évangile spirituel, Desclée De Brouwer, Bruges 1963, 446)
Bibliografia
Voci correlate