Risurrezione dei morti
La Risurrezione dei morti o risurrezione della carne è un dogma della fede cristiana. Afferma che tutti gli uomini, partecipi della Risurrezione di Cristo, risorgeranno alla fine dei tempi.
La risurrezione di tutti gli uomini costituisce, con il giudizio Universale, la manifestazione del compimento del regno di Dio e della salvezza, già presenti ed operanti attualmente nella storia.
Fondamento biblico
Pur mancando nell'Antico Testamento un qualsiasi termine ebraico che possa tradursi con risurrezione, essa costituisce un'attesa conforme a tutto lo spirito e al contesto giudaico, poiché questo ha sempre creduto in una vita dopo la morte. In tutti i periodi dell'Antico Testamento, infatti, si è avuta coscienza che la morte non significa affatto fine della carne o separazione dell'essere. Al contrario, l'io completo, con la sua impronta individuale, entra nel regno dei morti.
È un pensiero fondamentale della comunità di Israele che, dove esistono tombe, ci sono anche risurrezioni[1]. L'intero Antico Testamento è permeato dalla consapevolezza che YHWH può "rendere vivi i morti" e "far entrare e uscire dal sheol" (1Sam 2,6 ; Sap 16,13 ). Questo perché YHWH esercita un potere assoluto sulla vita e sulla morte.
Primi annunci
La certezza del potere di YHWH sulla vita e sulla morte è condensato nei cicli di Elia ed Eliseo, dove si narra della restituzione alla vita di fanciulli e di persone già sepolte (1Re 17,17-24 ). Queste rianimazioni di persone morte, tuttavia, non sono concepite come una vera e propria risurrezione perché sono un semplice ritorno all'esistenza terrena e non sono collegate all'idea di un mutamento escatologico di condizione.
In quest'ottica va letta anche la visione del campo degli scheletri di Ezechiele (Ez 37,3 ). Al Signore che gli domandò se quelle ossa sparse e aride potessero essere vivificate, il profeta rispose: "Signore, tu lo sai". Anche i profeti Amos 5,2 e Osea 6,1 attribuiscono a Dio il sapere e la potenza della risurrezione, nei termini espressi.
Isaia annuncia la moltiplicazione del popolo attraverso il ritorno alla vita, come si legge in 26,19 : "...ma i tuoi morti rivivono: i tuoi cadaveri risorgono."
Il teologo Schilling considera le parole "egli distrugge la morte per sempre" (Is 25,8 ) un' espressione genuina dell'attesa di una risurrezione escatologica, richiamando in modo più esplicito l'attenzione sulla risurrezione in termini propri.[2]
Un ulteriore annuncio dell'attesa escatologica è rappresentato dal Profeta Daniele 12,2 . Il pensiero di questo profeta mostra uno sviluppo maggiore rispetto ai precedenti, in quanto la risurrezione è legata anche ad un giudizio. Il popolo, fedele all'Alleanza, risuscita "per la vita eterna", mentre gli altri, "per l'eterna vergogna". C'è dunque l'idea di una separazione netta in base all'elezione di Dio e l'eternità della dannazione.
Di particolare importanza è Daniele 12,13 perché accenna ad un mutamento di condizione e ad una trasfigurazione. Viene in sostanza indicata la risurrezione nei termini di un cambiamento vero e proprio di condizione.
Ancora più significativo il Secondo libro dei Maccabei 7 , dove per ben sette volte si parla della risurrezione nelle forme più diverse. I martiri Maccabei (II sec. a.C.) sono convinti che Dio ridarà loro "respiro e vita" insieme ai loro corpi martoriati e sperano di "essere risuscitati ad una vita nuova, eterna". Al tiranno invece viene negata una "risurrezione alla vita".
Secondo Schilling con il termime vita si deve intendere che al tiranno non viene negata la risurrezione, ma solo l'attesa della salvezza che per i giusti vi è collegata[3].
Questa sua convinzione trova conferma in 2Maccabei 12,43 dove la risurrezione include anche quelle persone che prima debbono essere purificate. C'è con chiarezza l'idea di una risurrezione generale, che tornerà di salvezza solo per i giusti e i purificati.
Letteratura didattica
La letteratura didattica non ha portato contributi originali sul pensiero della risurrezione.
Per quanto riguarda i Salmi, i riferimenti sono infatti generici (Sal 17;15;16,10;49;73 ). Non permettono di andare oltre l'affermazione che nel Salterio c'è una fede crescente nella comunione con Dio, capace di vincere la morte. L'io si percepisce sotto la tutela di Dio nonostante la morte e nella morte.
Sap 3,2 afferma: "I giusti sono nelle mani di Dio e nessun dolore li affligge". Per il libro della Sapienza la beatitudine dei giusti non è mancanza di coscienza ma "pace in Dio" e quindi non si identifica con l'immortalità dei filosofi, ma è frutto di grazia e misericordia. Molti teologi sono comunque propensi a credere che l'immagine non vada letta oltre, ricordando che si è formata in un tempo in cui la vita terrena era considerata la forma massima di vita.
Nuovo testamento: i Sinottici
Al tempo di Gesù, rispetto alla risurrezione, esistevano due correnti di pensiero:
- i farisei e tutto il giudaismo ufficiale che la ammettono
- i sadducei che la respingono, riconoscendo solo la Torah come testo sacro vincolante per il fedele Mt 22,23
Gesù, nei confronti dei due schieramenti, assume una posizione nuova. Contro l'opinione dei sadducei difende la fede nella risurrezione ma rettifica anche le idee dei farisei, che vedevano nel risorgere un ritorno alla vita normale.
Nel Vangelo di Matteo, Mt 22,31 , si afferma che con la risurrezione avverrà un cambiamento e una trasfigurazione, che porranno fine alle forme terrene di vita. Gesù, dunque, introduce un allargamento e una rivisitazione del concetto.
Nei Sinottici la risurrezione è vista come attesa della salvezza da parte dei giusti ( Lc 14,14 ) .
Il significato dell'espressione "risurrezione dei giusti" mette in luce il motivo della ricompensa all'amore verso il prossimo, senza esclusione di sorta, richiesto da Gesù. Giusti ed Ingiusti vengono coinvolti nel giudizio universale e la risurrezione acquista una valenza generale
Giovanni
Il Vangelo di Giovanni riflette sulla risurrezione con abbondanza di immagini.
Gv 5,29 riferisce che "tutti nelle tombe udiranno la sua voce, gli uni usciranno per risorgere a vita,e gli altri per essere giudicati".
Molte pericopi del suo Vangelo riguardano la risurrezione di persone pie e fedeli alle quali Cristo si promette come risurrezione e vita, come colui che li farà risorgere nell'ultimo giorno[4].
Nell' Apocalisse Giovanni presenta la risurrezione generale, quando afferma che "ciascun occhio, compresi coloro che l'hanno trafitto, contemplerà il Signore"(Ap 1,7 ; Ap 20,12 ). Proclama dunque un giudizio pronunciato su tutti in base alle opere da loro compiute.
San Paolo
L'espressione di Paolo, contenuta nella Lettera ai Filippesi 1,21-23 , unisce l'attesa della salvezza all'immortalità dell'anima. La morte è considerata un evento naturale e l'Apostolo attende la risurrezione come avvenimento generale, al ritorno del Signore. Ecco perché Paolo definisce i morti "addormentati" (1Ts 4,13 ).
La morte, dunque, ha un carattere provvisorio e il Redentore è morto per distruggerla. Nella risurrezione, come viene presentata da Paolo, l'attesa sperimenta una perfezione che negli altri autori non c'è.
Nella Prima lettera ai Tessalonicesi 4,17 si legge che "prima verranno risuscitati coloro che sono morti in Cristo. Poi noi, i superstiti, andremo assieme a loro incontro al Signore".
Paolo pone la risurrezione di Cristo quale fondamento e garanzia della speranza cristiana della risurrezione. Con la sua vittoria sulla morte Cristo costituisce l'inizio, da intendersi non temporale, ma causale e soteriologico. Attraverso Cristo la giustizia e la vita -dice Paolo- vengono per tutti gli uomini. Infatti, se siamo diventati con Lui una medesima pianta, per conformità alla sua morte, così lo saremo anche per conformità alla sua risurrezione[5].
Nella Prima lettera ai Corinti 15 Paolo presenta la risurrezione di Gesù come la sorgente per la risurrezione dei cristiani. Attraverso questa riflessione tenta di rispondere alle obiezioni dei Corinti, di mentalità greca. Essi, infatti, avevano difficoltà a pensare alla risurrezione del corpo, e si chiedevano come fosse il corpo dei risorti. Paolo parte dalla verità della risurrezione di Gesù, che fonda quella dei credenti, presentando motivi presi dalla storia della salvezza e dall'esperienza degli uomini.
La realtà corporea e le qualità spiritualizzate del corpo risuscitato, Paolo le definisce con un'espressione che può essere considerata il culmine della fede cristiana nella risurrezione: "per mezzo della potenza che Egli ha di assoggettarsi ogni cosa, trasformerà il corpo della nostra umiliazione, rendendolo simile al suo corpo glorioso"[6].
I corpi risorti, dunque, subiranno una trasformazione misteriosa che li sottrarrà alla corruzione e alla morte. I giusti risorgeranno gloriosi; sul loro corpo si rifletteranno le condizioni del loro stato di felicità nel regno della Gloria di Dio.
I teologi, nel tentativo di determinare le qualità del corpo risorto glorioso, parlano di impassibilità, chiarezza, agilità e sottigliezza per dire che il corpo glorioso sarà sottratto alla sofferenza, all'opacità, alla pesantezza e all'impenetrabilità.
Note | |
| |
Bibliografia | |
| |
Voci correlate | |