Sant'Onofrio
Sant'Onofrio Laico | |
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Santo | |
Anacoreta | |
Jusepe de Ribera, Sant'Onofrio (1642), olio su tela; Boston (USA), Museum of Fine Arts | |
Nascita | V secolo |
Morte | ? |
Venerato da | Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi |
Ricorrenza | 12 giugno |
Attributi | capelli a coprire le nudità, angelo, ostia, calice, teschio, cammello e perizoma di foglie |
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Nel Martirologio Romano, 12 giugno, n. 2:
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Sant'Onofrio (V secolo; † ...) è stato un anacoreta vissuto nel deserto egiziano.
Il monaco egiziano Pafnuzio, desideroso di conoscere la vita degli anacoreti del deserto, lo incontrò e trascorse con lui gli ultimi giorni di vita di Onofrio a cui dette sepoltura in una grotta.
Pafnuzio riportò la sua esperienza nel libro La Vita che ebbe larga diffusione in Oriente dando l'avvio al culto di sant'Onofrio che si estese per tutta l'Asia minore.
Dalla Vita di Pafnuzio
Dopo 21 giorni di cammino Pafnuzio sfinito si accasciò a terra; vide allora apparire una figura umana di terribile aspetto, ricoperta da capo a piedi solo dai lunghi capelli e da qualche foglia, l'abbigliamento era solito negli anacoreti, che abituati a star soli e visti solo dagli angeli, alla fine facevano a meno di un indumento difficile a procurarsi o a sostituire nel deserto. Inizialmente spaventato, Pafnuzio cercò di scappare, ma la figura umana lo chiamò dicendogli di restare, allora egli capì di aver trovato chi cercava, era un anacoreta.
Stabilitasi una fiducia reciproca, cominciarono le confidenze: l'eremita disse di chiamarsi Onofrio e stava nel deserto da 70 anni e di non aver mai più visto anima viva, si nutriva di erbe e si riposava nelle caverne; ma inizialmente non fu così, aveva vissuto in un monastero della Tebaide a Ermopolis, insieme ad un centinaio di monaci.
Ma, desideroso di una vita più solitaria sull'esempio di san Giovanni Battista e del profeta Elia, lasciò il monastero per dedicarsi alla vita eremitica; inoltratosi nella zona desertica con pochi viveri, dopo alcuni giorni incontrò in una grotta un altro eremita, cui chiese di iniziarlo a quella vita così particolare.
L'eremita lo accompagnò in un posto che era un'oasi con palmizi, stette con lui trenta giorni e poi lo lasciò solo, ritornandosene alla sua caverna. Una volta l'anno l'eremita lo raggiungeva per fargli visita e confortarlo, nell'ultima visita appena arrivato si inchinò per salutare e si accasciò morendo; pieno di tristezza Onofrio lo seppellì in un luogo vicino al suo ritiro.
Onofrio poi racconta a Pafnuzio di come si adattava al cambio delle stagioni, di come resisteva alle intemperie e di come si sosteneva, un angelo provvedeva quotidianamente al suo nutrimento, lo stesso angelo la domenica gli portava l'Eucaristia. Il miracolo dell'angelo fu visto pure da Pafnuzio che Onofrio condusse al suo eremo di Calidiomea, il luogo dei palmizi.
Continuarono le loro conversazioni spirituali finché il santo anacoreta disse:
« | Dio ti ha inviato qui perché tu dia al mio corpo conveniente sepoltura, poiché sono giunto alla fine della mia vita terrena. » |
Pafnuzio propose ad Onofrio di prendere il suo posto, ma l'eremita rispose che non era questa la volontà di Dio, egli doveva ritornare in Egitto e raccontare ciò di cui era stato testimone.
Dopo averlo benedetto si inginocchiò in preghiera e morì; Pafnuzio ricopertolo con parte della sua tunica, lo seppellì in un anfratto della roccia. Prima che egli partisse, una frana ridusse in rovina la caverna di Onofrio, abbattendo anche i palmizi, segno della volontà di Dio, che in quel posto nessun altro sarebbe vissuto come eremita.
La Vita scritta da Pafnuzio, è nota anche in diverse recensioni orientali, greca, copta, armena, araba; essa ci presenta in effetti un elogio della vita monastica cenobitica e nel contempo, una presentazione dello stato di vita più perfetto: la solitudine nel deserto.
Il culto
Indipendentemente dalla esistenza storica di Onofrio, La Vita in greco di Pafnuzio si conclude dicendo che il santo eremita morì l'11 giugno.
Viene celebrato il 12 giugno nei sinassari bizantini. Antonio, arcivescovo di Novgorod riferisce che ai suoi tempi (XIII secolo) la reliquia della testa di Onofrio era conservata nella chiesa di San Acindino.
Il suo culto e il suo ricordo fu esteso in tutti i Paesi dell'Asia Minore e in Egitto, tutti i calendari di queste regioni lo riportano chi al 10, chi all'11, chi al 12 giugno; in arabo è l'Abü Nufar, (l'erbivoro), qualifica che gli si adatta perfettamente.
Viene ricordato il 12 giugno.
Iconografia
Nell'iconografia tradizionale sant'Onofrio viene rappresentato come un vecchio nudo, coperto solo dei propri capelli. Ulteriori suoi attributi sono: l'angelo, l'ostia, il calice, il teschio, il cammello e il perizoma di foglie.
Fra le opere di maggior rilievo storico-artistico, che lo raffigurano, si ricorda:
- Scomparto di predella con Storie di sant'Onofrio (ante 1424), tempera su tavola, di Lorenzo Monaco, conservato presso il Museo Nazionale di San Marco a Firenze.[1]
- Sant'Onofrio (1625 ca.), olio su tela, di Battistello Caracciolo, conservato alla Galleria Nazionale d'Arte Antica di Roma.
- Sant'Onofrio (1642), olio su tela, di Jusepe de Ribera, conservato al Museum of Fine Arts di Boston (USA).
Note | |
Bibliografia | |
Voci correlate | |