Abbazia di San Vincenzo al Furlo (Acqualagna)
Abbazia di San Vincenzo al Furlo | |
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Abbazia di San Vincenzo al Furlo, chiesa | |
Stato | Italia |
Regione | Marche |
Provincia | Pesaro e Urbino |
Comune | Acqualagna |
Diocesi | Urbino-Urbania-Sant'Angelo in Vado |
Religione | Cattolica |
Indirizzo | Strada Pianacce, 67 61041 Acqualagna (PU) |
Telefono | +39 0721 700032 +39 0721 700152 |
Posta elettronica | comune.acqualagna@provincia.ps.it |
Oggetto tipo | Abbazia |
Oggetto qualificazione | benedettina |
Sigla Ordine qualificante | O.S.B. |
Data fondazione | X secolo |
Stile architettonico | Romanico e gotico |
Inizio della costruzione | X secolo |
Strutture preesistenti | Tempio pertinente alla città romana di Pitinum Mergens |
Materiali | Pietra corniola del Furlo |
Coordinate geografiche | |
Marche | |
L' Abbazia di San Vincenzo al Furlo o di Petra Pertusa (ad Petram Pertusa), è un complesso monumentale che ospitò un monastero benedettino, situato nel territorio del comune di Acqualagna (Pesaro e Urbino), nelle vicinanze della gola omonima, sulla riva sinistra del fiume Candigliano, lungo la via Flaminia.
Toponimo
L'Abbazia di San Vincenzo al Furlo viene così chiamata perché vicina alla profonda gola appenninica e alla galleria del Furlo (dal latino forulum, piccola apertura) detta anche "di Pietra Pertusa" (dal latino petra pertusa, pietra forata): questo traforo venne fatto realizzare nel 76 d.C. dall'imperatore Vespasiano nei pressi della cittadina di Acqualagna, lungo la Flaminia, l'antica via consolare romana, fatta costruire da Gaio Flaminio Nepote, che dal 220 a.C. collegava Roma a Fanum Fortunae (Fano).
Storia
All'incirca a metà strada tra il centro di Acqualagna e la galleria del Furlo, sulla riva sinistra del fiume Candigliano, venne edificata l'abbazia sui resti di un tempio, appartenente al municipio romano di Pitinum Mergens, abbandonato in epoca tardo-antica. Dedicata a san Vincenzo, vescovo di Bevagna, martirizzato nel 303, del quale secondo la tradizione dal VI secolo avrebbe custodito le spoglie, qui trasportate dagli abitanti della città umbra distrutta in quel periodo dai Longobardi.
La data di fondazione è incerta, alcuni residui di fortificazione farebbero supporre una fondazione risalente al VI secolo, mentre altri elementi ne sposterebbero la data intorno al X secolo.
La prima menzione dell'abbazia risale ad un documento dell'XI secolo, che ricordando la vendita delle spoglie di san Vincenzo[1] a Teodorico, vescovo di Metz, riferisce che il monastero nel 970 (anno della cessione delle reliquie) era economicamente già florido e ospitava molti monaci.
La sua prosperità era legata in particolare alle offerte dei forestieri e pellegrini che si trovavano a passare per la via Flaminia e ad attraversare la gola del Furlo, che qui trovavano ospitalità e rifugio lungo il loro cammino.
L'abbazia raggiunse l'apice del suo splendore e del potere economico nell'XI secolo, esercitando la sua influenza su un vasto territorio di oltre 50 kmq, e su molti possedimenti costituiti da castelli, pievi e cappelle come documentato in alcuni atti notarili. Fu proprio questo il periodo in cui vi dimorarono nel 1011, san Romualdo, uno dei grandi riformatori del monachesimo, e successivamente dal 1036, san Pier Damiani che proprio negli anni 1042-1043 scrisse qui la Vita beati Romualdi. Quando poi quest'ultimo ne venne nominato abate, dette ai benedettini regole più rigorose di quelle che aveva già stabilito san Romualdo, allo scopo di riorganizzare la comunità monastica e dare nuovo slancio spirituale ai religiosi.
Nel 1246, il complesso monastico fu gravemente danneggiato da un incendio provocato dai soldati di Cagli, durante una sortita contro l'abbazia per la contesa territoriale del castello di Drogo. Il cenobio venne restaurato e riedificato nel 1271, come testimonia l'iscrizione posta sull'architrave del portale d'ingresso alla chiesa.
Durante lo scisma d'Occidente (1378 - 1417), l'abbazia si schierò con il papa, e il vescovo di Urbino, sostenitore dell'antipapa, costrinse l'abate Nicolò de Baratoli da Spoleto e i monaci, ad abbandonare il cenobio e a rifugiarsi nel monastero benedettino di Castel Durante (oggi Urbania).
La decadenza dell'abbazia inizia nel 1439, quando papa Eugenio IV con la bolla Divina disponente clementia (14 novembre) ne decise l'incorporazione alla mensa capitolare della Diocesi di Urbino, con tutto il patrimonio annesso (terreni, chiese, pievi, eremi, celle e alcuni castelli come Sanguineto, Montevarco, Drogo e altri ancora), per il mantenimento dei giovani destinati al servizio liturgico nella Cattedrale.
Nel 1589 il cenobio, abbandonato dai monaci, divenne residenza del cappellano, e dal 1637 al 1781 vi celebravano ancora messe pubbliche, ma già in questo periodo quel che rimaneva del monastero era usato come casa colonica e magazzino.
Descrizione
Del complesso monastico, realizzato con pietra corniola del Furlo, rimane sostanzialmente la chiesa abbaziale, a destra della quale si sviluppava il monastero, con il chiostro che era prospiciente alla navata destra.
Chiesa
La chiesa è un egregio esempio di romanico, dove troviamo pure qualche intervento posteriore in chiari caratteri gotici.
Esterno
La chiesa presenta una semplice facciata a capanna, aperta da una monofora quattrocentesca e da un portale ad arco a tutto sesto con un duecentesco architrave, decorato a motivi fitomorfi, e sormontato da una cornice romana di reimpiego. La lunetta era decorata con un dipinto murale ad affresco.
Inoltre, sull'architrave del portale d'ingresso alla chiesa è posta un'iscrizione, in lettere gotiche, nella quale si legge:[2]
« | A.D. MCCLXXI ECCLESIA VACANTE ET IMPERIO NULLO, EXISTENTE. BONAVENTURA ABB(ba)S S. VINCENTII. H(oc) OPUS FIERI FECIT. » |
Interno
All'interno la chiesa, orientata (ossia con l'abside rivolto a Est), aveva in origine tre navate, ma attualmente si presenta a navata unica, terminante con un abside semicircolare.
La navata, scandita da tre costoloni, è coperta da un tetto a capriate lignee nella prima campata, mentre la seconda e la terza da volte a crociera.
Il presbiterio è fortemente rialzato, con stretta scalinata centrale di quindici gradini, sopra la cripta, presenta un semplice altare in pietra che risale all'XI secolo ed è illuminato da tre monofore strombate, delle quali la centrale è ad arco acuto, mentre le due laterali, più piccole, hanno archi a tutto sesto.
Alle pareti si conservano pregevoli dipinti murali, ad affresco, di scuola umbro-marchigiana, databili dalla seconda metà del XV al primo quarto del XVI secolo, raffiguranti:
- a destra della navata:
- nel presbiterio:
- nell'abside:
- a sinistra, San Vincenzo e Santo monaco
- a destra, Santo monaco e Madonna con Gesù Bambino in trono.
Il pavimento è costituito da grandi e spesse lastre di pietra reimpiegate di epoca romana e paleocristiana.
Dell'originaria navata destra sono visibili le quattro arcate tamponate sul fianco della chiesa attuale e una piccola abside (a destra del presbiterio e ben visibile dall'esterno), probabilmente sopravvissuta all'incendio del 1246, preceduta da un ambiente, forse adibito a sacrestia. Evidenti sono i segni dell'imposta del tetto che copriva la navata laterale.
Cripta
Alla cripta, riferibile al X secolo, si accede attraverso due aperture poste ai lati della scala che porta al presbiterio: l'arco a sinistra, a tutto sesto, è romanico, quello di destra, ogivale, è gotico.
La cripta è tripartita da sei colonne a fusto liscio di diverso diametro, con capitelli a tronco di piramide rovesciato, scolpiti a bassorilievo e decorati con motivi fitomorfi, zoomorfi o geometrici. Al centro un altare-sarcofago che al suo interno accolse le reliquie di san Vincenzo, vescovo e martire.
Monastero
Del monastero benedettino, a destra della chiesa, rimane solo un edificio addossato al corpo della chiesa.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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