Basilica di San Mercuriale (Forlì)
Basilica di San Mercuriale | |
Forlì, Basilica di San Mercuriale | |
Altre denominazioni | Abazia di San Mercuriale |
---|---|
Stato | Italia |
Regione | Emilia Romagna |
Regione ecclesiastica |
Regione ecclesiastica Emilia Romagna |
Provincia | Forlì-Cesena |
Comune | Forlì |
Diocesi | Forlì-Bertinoro |
Religione | Cattolica |
Indirizzo |
Piazza Aurelio Saffi 47121 Forlì (FC) |
Telefono |
+39 0543 39868; +39 0543 25653 |
Sito web | Sito ufficiale |
Oggetto tipo | Chiesa |
Oggetto qualificazione | basilicale |
Dedicazione | San Mercuriale |
Sigla Ordine qualificante | O.S.B. Vall. |
Sigla Ordine reggente | O.S.B. Vall. |
Data fondazione | IX secolo |
Stile architettonico | Romanico lombardo |
Inizio della costruzione | 1178 |
Completamento | 1181 |
Strutture preesistenti | Chiesa di Santo Stefano |
Pianta | basilicale |
Note | La Basilica attualmente è affidata al clero secolare. |
Coordinate geografiche | |
Emilia Romagna | |
La Basilica di San Mercuriale, detta anche Abazia di San Mercuriale, è una chiesa facente parte del complesso monumentale che ospitò un monastero vallombrosano, situato nel centro storico di Forlì.
Storia
La ricostruzione della storia del monastero si rivela particolarmente problematica per la mancanza di notizie storiche sicure sia sulla fondazione che per l'epoca alto medioevale.
Origini e primo sviluppo
Secondo una tradizione tramandata dal cronista Leone Cobelli (1425-1500), l'abbazia sorge, in parte, nel sito dove si ergeva fin dal IV secolo una chiesa dedicata a santo Stefano, che andò distrutta in un incendio nel 1173: l'edificio primigenio era perciò inizialmente dedicato al Protomartire, ma già nel IX secolo compare l'intitolazione a san Mercuriale.
La più antica testimonianza che accerti l'esistenza di un monastero benedettino, collocato al di fuori del nucleo urbano, è costituito da un atto di donazione dell'8 aprile 894 dell'arcivescovo di Ravenna, Domenico Ublatella, a favore di Leone, abate di San Mercuriale. Il documento attesta che il l'abbazia sorgeva non longe a civitate Liviensi. Infatti, il cenobio all'epoca era al di fuori delle mura civiche, separata dalla città dal letto del fiume Rabbi.
Altri dettagli relativi a questo periodo possono essere rintracciate nel Libro Biscia, un codice redatto tra il XIII e il XIV secolo, che contiene le notizie sulla città dal X fino al XII secolo, nel quale vengono riportate vari atti notarili, donazioni, privilegi e transazioni in cui i monaci sono menzionati sia come concessionari che come concedenti.
Periodo vallombrosano
L'aumento demografico di Forlì attorno al XII secolo e della sua influenza politica su territorio romagnolo portarono all'ampliamento della cinta muraria, con l'inglobamento del monastero nel centro cittadino almeno dal 1161.
Nel 1173, a seguito di scontri tra guelfi e ghibellini, un incendio danneggiò molte costruzioni e distrusse la chiesa di Santo Stefano. Sul sito dell'edificio sacro venne avviata la riedificazione di una nuova abbazia, in stile romanico e di dimensioni maggiori rispetto alla precedente.[1] I lavori di riedificazione dovettero terminare attorno al 1181 perché, come ricorda un documento di quell'anno, il vescovo Alessandro poté predicare all'interno della nuova chiesa abbaziale.
L'edifico venne ricostruito con un impianto (tuttora invariato), in stile romanico lombardo, a tre navate con un'ampia cripta, un protiro e il possente campanile che ancora oggi si vede. Del protiro, che precedeva il portale, presente in quasi tutte le chiese romaniche di stile lombardo, rimangono nella struttura solo poche tracce: due mensole in marmo, a forma di goccia, ai lati del portale; un leone stiloforo frammentario, che è sempre stato considerato parte del protiro, anche se recentemente è dimostrato che la scultura è ciò che resta del monumento della crocetta, che sorgeva nel XIII secolo sul Campo dell'Abate (attuale Piazza Saffi).
La nuova costruzione testimonia la ricchezza raggiunta dall'abbazia forlivese, in grado di finanziare un così monumentale edificio, decorato da celebri maestranze, come quelle che scolpirono la lunetta del portale. Tra il X e il XII secolo, infatti, il monastero aveva ricevuto continue donazioni e privilegi che ne avevano aumentato il potere e lo avevano reso indipendente dall'autorità episcopale e dalle potenti chiese del ravennate. In particolare le donazioni del vescovo Alessandro (1160-1190) avevano favorito il monastero che a quel punto era diventato proprietario di fondi e terreni posti a est della città fino al confine con la Diocesi di Forlimpopoli e la sua influenza si spingeva fino alla pieve di San Martino in Barisano. Difficile capire per quale motivo il vescovo abbia concesso all'abbazia tali privilegi che andavano a discapito del proprio potere, ma è possibile immaginare che egli avesse una grande considerazione dei vallombrosani e il fatto che l'abbazia fosse passata nel 1176 sotto il loro controllo, portò il vescovo Alessandro a voler consolidare un potente cenobio che fosse però legato all'episcopato. Il grande patrimonio e il prestigio raggiunto, come l'autonomia conquistata, furono ben presto causa di dissidi e frizioni fra l'abate e i vescovi successori di Alessandro, probabilmente acuiti anche dal fatto che i due poteri religiosi (quello monastico e quello episcopale) andavano a contendersi l'influenza sulla città e il suo territorio.
Nel XIV secolo il protiro viene sostituito dal portale gotico tutt'ora esistente e vengono realizzate le due cappelle laterali di facciata, estroflesse rispetto la struttura e demolite nel 1646 (rimangono oggi i due archi con la monofora centrale). Anche l'abside viene rifatto nel 1585.
A partire dal XVI fino al XVIII secolo, si sono susseguiti innumerevoli aggiunte e rimaneggiamenti barocchi, eliminati solo con i restauri del Novecento.
Ottocento e Novecento
Nel 1796 le truppe francesi, guidate da Napoleone Bonaparte scesero in Italia e cominciarono a sciogliere gli ordini ecclesiastici e a requisire i beni della Chiesa. I monaci furono cacciati e non fecero mai più ritorno. Da allora all'antica chiesa rimase solo il titolo di parrocchia e fu affidata al clero secolare
Agli inizi del XX secolo, il complesso architettonico venne sotto posto a lavori di restauro, diretti da Vincenzo Pantoli, che mirarono a restituire al monumento quella fisionomia romanica che la contraddistingueva fin dal 1176.
Nel 1941, il chiostro venne aperto su due lati per opera di Gustavo Giovannoni, che intendeva mettere in comunicazione le due piazze, una antistante e l'altra retrostante la chiesa, che era già stata restaurata agli inizi del XX secolo da Vincenzo Pantoli.
Il 16 gennaio 1959 papa Giovanni XXIII l'ha elevata alla dignità di Basilica minore.[2] La Basilica è attualmente affidata al clero diocesano di Forlì-Bertinoro.
Descrizione
Basilica
Esterno
La chiesa presenta una facciata, in laterizi, a salienti, che segue il profilo delle navate interne, con la centrale più ampia rispetto alle laterali. La navata centrale è rafforzata da due contrafforti delimitanti la rientranza ad arco che ospita il rosone, la lunetta e il portale marmoreo. I fronti delle navate laterali sono entrambi occupati da un arco, resto delle antiche cappelle sporgenti. La facciata e il campanile presentano un coronamento ad archetti sorretti da colonnine sul prospetto, risalti verticali e cornicioni orizzontali sul campanile.
Nella facciata si apre un portale con profonda strombatura costituita da sottili colonne di marmo chiaro, finemente scolpite, due delle quali, tortili, non giungono fino a terra ma sono completate, nelle medesime forme, da laterizio. Il portale presenta:
- Lunetta con all'interno un altorilievo raffigurante:
- Sogno e adorazione dei Magi (inizio del XIII secolo), in marmo, recentemente attribuito al cosiddetto Maestro dei Mesi: autore delle celebri formelle conservate nel Museo della Cattedrale di Ferrara. L'opera presenta due distinte scene:
- a sinistra, Sogno dei Magi: i tre Magi dormienti uno accanto all'altro giacenti con l'angelo che appare loro in sogno, consigliandogli di non tornare da Erode.
- a destra, Adorazione dei Magi: in questa scena, lo scultore raffigura i tre Magi i quali, dopo aver seguito la stella, sono al cospetto della Madonna, rappresentata come regina e di Gesù Bambino che siede sulle sue gambe. Più defilata è invece la figura di san Giuseppe, raffigurato quasi come semplice spettatore.
- Sogno e adorazione dei Magi (inizio del XIII secolo), in marmo, recentemente attribuito al cosiddetto Maestro dei Mesi: autore delle celebri formelle conservate nel Museo della Cattedrale di Ferrara. L'opera presenta due distinte scene:
- Battenti della porta (1651), in legno intagliato e dipinto: la parte superiore è fissa, suddivisa in due sezioni di forma rettangolare, ognuna contenente piccole cornici nelle quali si distinguono alcune immagini di santi in rilievo:
- a sinistra, quasi sicuramente, San Mercuriale;
- a destra, Santo Stefano.
Interno
L'interno, ampio e austero, a tre navate divise da pilastri di laterizi, conserva la pianta basilicale, modificata solo dalle cappelle laterali e terminali e dal prolungamento dell'abside (1585). La navata centrale è coperta da un soffitto a capriate e presenta un pavimento del XIV secolo, composto di mosaico veneziano, sensibilmente inclinato verso il presbitero.
Nella navata destra, di particolare interesse storico-artistico:
- Leone stiloforo (XIV secolo) che è quanto resta del demolito protiro che arricchiva il portale.
- Sepolcro di Barbara Manfredi, figlia di Astorgio II, signore di Faenza e moglie di Pino III Ordelaffi, morta nel 1466 e raffigurata distesa sul coperchio, opera giovanile di Francesco di Simone Ferrucci da Fiesole, proveniente dalla chiesa di San Girolamo.
- nella cappella di Santa Caterina, pala d'altare con Madonna con Gesù Bambino in trono tra san Giovanni evangelista e santa Caterina d'Alessandria (1497 ca.), tempera su tavola, di Marco Palmezzano.[3]
- nella cappella di San Mercuriale, decorata con marmi, stucchi e dipinti murali di Bernardino Poccetti intorno al 1598, si conservano:
- all'altare, Madonna con con Gesù Bambino con san Mercuriale e san Girolamo di Domenico Cresti detto il Passignano;
- alla parete destra, San Mercuriale torna da Gerusalemme di Santi di Tito;
- alla parete sinistra, San Mercuriale uccide il drago di Ludovico Cardi detto il Cigoli.
- in alto a destra e a sinistra, due finte finestre con dipinti murali, ad affresco, eseguiti prima del 1598, raffiguranti:
- Allegoria del Canto;
- Allegoria del Suono.
Nel presbiterio, si notano:
- Pala d'altare con Madonna assunta e angeli (1632), olio su tela, di Rutilio Manetti.[4]
- Coro ligneo a due ordini di stalli (1532-1535), intagliato e intarsiato da Alessandro Bigni.
Nella navata sinistra emergono:
- nella parete esterna della cappella del Sacramento, Gesù Cristo in pietà tra la Madonna e san Giovanni Evangelista (XV secolo), affresco, attribuito a Guglielmo degli Organi.[5]
- nella cappella del Sacramento, si conservano:
- San Giovanni Gualberto perdona l'uccisore di suo fratello davanti al crocifisso e santa Maria Maddalena (1536) di Marco Palmezzano;
- Sacra famiglia e adoratore (terzo quarto del XVI secolo) di Francesco Menzocchi;
- Santa Gertrude (inizio XVIII secolo) di Felice Cignani.
- nella cappella dei Ferri, chiusa da uno splendido arco in pietra d'Istria (1536), opera di Giacomo Bianchi, dove all'altare è collocata:
- Pala d'altare con Immacolata Concezione con sant'Agostino, sant'Anselmo e santo Stefano (1510), tempera su tavola, di Marco Palmezzano.[6]
Inoltre, alle pareti delle navate laterali è conservato,
- Ciclo di dipinti murali con Scene della vita di san Giovanni Gualberto (seconda metà del XVI secolo), ad affresco, attribuito a Livio Modigliani: questo è costituito da 23 dipinti strappati nella prima metà del XX secolo dalle lunette del chiostro.
Campanile
Sul lato destro della chiesa si eleva il campanile quadrangolare, del tradizionale tipo lombardo, con una struttura salda ed elegante, eretto tra il 1178 ed 1180 da mastro Aliotto. È segnato da lesene, spartito da fasce di archetti, con la cella campanaria a quadrifore, sormontata da una cuspide conica che gli studiosi ritengono aggiunta nel XIV secolo.
Il campanile poggia sul cosiddetto dado, un basamento di 9,20 metri di lato, che era un tempo più alto - nel senso che ne era visibile una porzione maggiore - poiché le varie pavimentazioni della piazza che si sono succedute hanno contribuito a sotterrarlo parzialmente. La struttura vera e propria del campanile è impostata sul dado circa quattro centimetri all'interno del suo perimetro. Il campanile, a prima vista, appare essere un parallelepipedo perfetto. In realtà questo tende a restringersi gradualmente verso la vetta, tanto che a circa 50 metri da terra la sezione ha un lato di 8,45 metri, ovvero 75 centimetri in meno rispetto alla base. Ciò non è detto che sia stato ottenuto tramite l'applicazione delle leggi prospettiche, vista l'epoca di costruzione del campanile, anteriore rispetto alla loro diffusione. È più probabile che il restringimento della sezione sia forse stato imposto da conoscenze empiriche sul tema, precedenti al loro reale studio da parte degli artisti rinascimentali, unite al bisogno strutturale di alleggerire la massa muraria con il procedere dell'altezza. In sommità svetta un'alta guglia in mattoni, di forma conica, con coronamento in pietra arricchita inoltre da globo, banderuola e croce, con altezza totale di 22,40 metri. La guglia, a sua volta, è circondata da altre quattro scalari più piccole, poste ai vertici del quadrato di base, tema alquanto ricorrente nei campanili romagnoli. In effetti, il campanile, considerato, all'epoca della sua costruzione, divenne fu modello per molte altre opere successive, in Romagna e altrove, fino al celebre campanile della Basilica di San Marco a Venezia.
La misurazione del campanile è sempre stata oggetto di discussione, per via del fatto che la pavimentazione (punto di riferimento per la misurazione), nelle diverse epoche storiche, ha subito continue modifiche e rimaneggiamenti. Attualmente, si è deciso di attribuire al dado un'altezza di un metro, cosicché l'altezza del campanile risulta precisata a 72,40 metri.
Interessante, al riguardo del campanile è il fatto che, a causa delle storiche somiglianze:[4]
« | Nel 1902 i genieri veneziani lo usarono come modello per la ricostruzione del campanile di San Marco crollato in una nube di polvere il 17 luglio di quell'anno. » |
Durante la Seconda guerra mondiale, il campanile fu minato dai tedeschi in ritirata, ma fu salvato dal coraggioso ed energico parroco dell'epoca, Giuseppe Prati.
Monastero e chiostro
Sul fianco destro della basilica è posto l'ex monastero di San Mercuriale, appartenuto alla Congregazione dei vallombrosani, che comprende un chiostro tardo-quattrocentesco rettangolare con un portico su colonne monolitiche; dei dipinti murali che decoravano le lunette, solo alcuni sono stati in parte salvati con il distacco e trasferiti nelle navate laterali della chiesa. Al centro del chiostro si trova un pozzale risalente al XVII secolo.
Per incarico diretto di Benito Mussolini, che finanziò anche l'opera, l'ingegnere Gustavo Giovannoni assunse la direzione della ristrutturazione del complesso monastico, coadiuvato dalla Soprintendenza ai monumenti della Romagna. Il chiostro, dopo secoli di abbandono, si trovava in uno stato di degrado elevato e i continui rimaneggiamenti avvenuti nel tempo ne avevano snaturato le linee originali tanto che numerosi periti e tecnici ne avevano proposto la demolizione. La demolizione avrebbe consentito l'isolamento del campanile e della chiesa e permesso un collegamento diretto con la piazzetta retrostante presso la quale sarebbe sorto il nuovo Palazzo di Giustizia. Fu però l'ingegnere Giovannoni a trovare la soluzione al problema: demolendo la canonica e aprendo un portico, si poteva salvare il chiostro quattrocentesco e nel contempo creare il collegamento con piazza Saffi e la piazzetta retrostante. Il nuovo portico e la sovrastante canonica furono costruiti in laterizio e cemento armato e poggiavano sulle originarie colonne in marmo e muratura. L'esecuzione dei lavori subì un notevole ritardo dovuto allo scoppio della guerra che non permetteva l'approvvigionamento dei materiali e l'aumento dei prezzi.
Per il progetto del restauro Giovannoni non adottò, seguendo le indicazioni della Sovrintendenza, soluzioni architettoniche definitive, riservandosi, in corso d'opera, di confermare le scelte che apparivano più opportune in base alle rilevazioni archeologiche.
Abati di San Mercuriale
- Leone, documentato nell'893
- Giovanni, documentato nel 962
- Leo, o Leone, documentato nel 1092 (11 giugno)
- Michele, documentato nel 1100 (luglio)
- Giovanni, documentato nel 1114 (4 ottobre)
- Michele, documentato nel 1116
- Rainerio, documentato nel 1118-1138
- Leoncio, o Lincio, documentato nel 1139-1144
- Benedetto, documentato nel 1144-1147
- Paolo, documentato nel 1147-1148
- Gervasio, documentato nel 1152-1170
- Enrico, documentato nel 1170-1172
- Martino, documentato nel 1173 (da febbraio ad aprile)
- Guarnerio, documentato nel 1173(?) (agosto)
- Arardo, documentato nel 1174
- Ambrogio, documentato nel 1176
- Domenico, documentato nel 1176
- Pietro I, documentato nel 1176-1185[7]
- Bono, documentato nel 1185
- Ambrogio, documentato nel 1186
- Enrico, documentato nel 1187
- Guarnerio, documentato nel 1188-1202
- Giacomo, documentato nei 1202
- Gherardo, documentato nei 1203
- Pietro, documentato nel 1206-1236 [8]; in particolare, nel 1212 Pietro cede al Comune di Forlì, rappresentato dal podestà conte Malvicino, quello che allora era conosciuto come il Campo dell'Abate e che oggi si chiama Piazza Aurelio Saffi[9]
- Gregorio, documentato nel 1239-1240 [10] [11]
- Giacomo, documentato negli anni Cinquanta-Sessanta del Duecento
- Lorenzo Fiorini, documentato nel 1438
- Giambattista Ponti da Tagliacozzo, documentato nel 1472
- Mercuriale Prati (1703-1707)
- Fulgenzio Nardi (XVIII secolo), autore delle importanti Memorie Vallombrosane, o Memorie miscellanee appartenenti alla religione vallombrosana, ms., AGCV, C.IV; Archivio del Seminario Arcivescovile Maggiore - Firenze, B.VI.25.
- Bruno Gnocchi, documentato nel 1786
- Pietro Giovannini, documentato nel 1799-1800[12]
- Bruno Bazzoli, dal 1952 al 1994
- Franco Zaghini
- Enrico Casadio
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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