Cesare Lucio Marco Aurelio Commodo Antonino Augusto (Lanuvio, 31 agosto161; † Roma, 31 dicembre192) è stato il diciottesimo imperatore romano. Gli storici lo considerano un imperatore stravagante, depravato e di poca volontà.[1] Non ebbe buoni rapporti col Senato e si dimostrò autoritario politicamente e tollerante religiosamente.[2] Nei suoi dodici anni di potere dilagò la corruzione.[3] Venne ucciso in un complotto organizzato da alcuni senatori e della sua amante Marcia[4].
Commodo nacque a Lanuvio vicino a Roma, figlio di Marco Aurelio e fratello gemello di Tito Aurelio Fulvio Antonino, morto nel 165.[1] Ricevette una buona istruzione anche se preferì praticare gli esercizi fisici; fu nominato Cesare il 12 ottobre 166, Imperator il 27 novembre 176, Augusto l'anno seguente. Divenne console il 1º gennaio 177, sposò Bruzia Crispina prima di seguire Marco Aurelio al fronte del Danubio nel 178, dove il padre morì il 17 marzo 180, probabilmente a causa della peste, lasciando il potere al figlio.[5][3][6]
Commodo : sesterzi
Politica interna
Subito dopo aver ottenuto il potere Commodo divinizzò il padre e fece elargizioni all'esercito e al popolo prosciugando le casse dello Stato.[7]
Busto di Commodo
Dimostrò subito di aver atteggiamenti da monarca, chiamando una parte della città Colonia Commodiana, rinominando i mesi del calendario, il nome del Senato e dell'esercito in suo onore.[1][6]
Inoltre proseguì a coltivare la passione per l'attività gladiatoria, scendendo nell'arena per combattere, ritenendosi la reincarnazione di Ercole.[1][7][8]
Tutti questi comportamenti attirarono su di Commodo le antipatie dei senatori e provocarono proteste e congiure.[7]
Nel 182 Commodo subì una prima congiura organizzata da alcuni parenti, che venne sventata e si concluse con la morte dei cospiranti.[1][3]
Dieci anni dopo, nel 192 il prefetto del Pretorio Quinto Emilio Leto assieme ad alcuni senatori e alla concubina Marcia, organizzò una nuova congiura, che venne eseguita dal maestro dei gladiatori Narcisso il 31 dicembre, subito dopo un fallito tentativo di avvelenamento.[1][3][6] La porpora imperiale venne offerta al console e generale Publio Elvio Pertinace.
Gli storici definirono Commodo come una persona dal carattere debole, educato in un clima stoico, con comportamenti privi di rispetto per le regole sociali, attratto dalla figura del sovrano divino, praticante i culti di Mitra e di Iside.[9][2][6]
Politica estera
Firmò un trattato di pace con i Marcomanni e con altre popolazioni germaniche. [2]
Successivamente effettuò alcune campagnie vittoriose contro i Germani, dimostrandosi un buon stratega militare.[2][6]
Guido Clemente, La riorganizzazione politico-istituzionale da Antonino a Commodo in: AA. VV., Storia di Roma, Einaudi, Torino, 1990, vol. II, tomo 2; ripubblicata anche come Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Ediz. de Il Sole 24 ORE, Milano, 2008 (v. il vol. 16°)
Albino Garzetti, L'Impero da Tiberio agli Antonini, Cappelli, Bologna, 1960 (v. pag. 551 e segg.: Commodo)
Michael Grant, Gli imperatori romani, Roma 1984.
Santo Mazzarino, L'Impero romano, tre vol., Laterza, Roma-Bari, 1973 e 1976 (v. vol. II); riediz. (due vol.): 1984 e successive rist. (v. vol. I)
Steve Pasek, Coniuratio ad principem occidendum faciendumque. Der erfolgreiche Staatsstreich gegen Commodus und die Regentschaft des Helvius Pertinax (192/193 n. Chr.). Beiträge zur Geschichte, AVM, München 2013, ISBN 978-3-86924-405-1.
Chris Scarre, Chronicle of the roman emporors, Thames and Hudson, London, 1995