Corredenzione

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Rogier van der Weyden, Cristo in croce con Maria e Giovanni, olio su legno, c. 1460

Il termine corredenzione esprime, in alcune correnti mariologiche la particolare cooperazione della Beata Vergine Maria all'opera della Redenzione compiuta da Gesù Cristo.

Anche se il dibattito teologico su di esso non appare chiuso, non è una dottrina fatta propria dalla Chiesa, che, anzi, vede il termine come "sempre inappropriato"[1].

Fondamento

L'idea di una cooperazione di Maria alla nostra salvezza ha il suo fondamento dogmatico nella maternità divina della Madonna. Maria ha concepito, partorito e offerto Gesù al Tempio. Dopo averlo cresciuto, ha sofferto insieme a Lui fino alla morte in Croce.

Recentemente, sotto l'impulso di varie scuole (ad esempio l'Università Cattolica di Lovanio) e specialmente per l'opera di Jozef Bittremieux, si è acceso un dibattito sull'estensione della cooperazione di Maria e quindi sulla natura dei titoli di Mediatrice e Corredentrice.

Alla base della dottrina della corredenzione di Maria stanno i punti dottrinali seguenti:

Questioni aperte nella teologia pre-conciliare

Vi sono ancora però alcuni punti controversi nella dottrina:

  • Maria si può definire Mediatrice tra Dio e gli uomini come Gesù Cristo e subordinatamente a Lui?
  • Maria si può definire Corredentrice insieme con Gesù nel senso che ha aggiunto efficacemente del suo all'opera del Redentore?
  • Consistendo la Redenzione nella soddisfazione e nel merito de condigno di Cristo, si può dire che Maria, insieme con Lui, ha soddisfatto alla divina giustizia con i suoi dolori e ha meritato per noi la grazia della salvezza?

I teologi più ligi alla tradizione pensano che a questi punti vada risposto negativamente, per timore di derogare alla dignità dell'unico Mediatore e Redentore e seguendo la tesi classica della necessità dell'Incarnazione.

Altri teologi concordano alle risposte affermative, basandosi anche su documenti pontifici recenti (San Pio X, Benedetto XV, Pio XI), che sembrano indicare questa seconda opzione. Per essi il titolo di Corredentrice è giustificato.

Il Concilio Vaticano II

Nella fase preparatoria del Concilio Vaticano II erano giunte alla Commissione preparatoria del Vaticano II, richieste in merito alla definizione di nuovi dogmi mariani. 265 vescovi avevano chiesto:

(LA) (IT)
« Doctrina mediationis universalis beatae Mariae Virginis definiatur ut dogma fidei » « La dottrina della mediazione universale della Beata Vergine Maria sia definita come dogma di fede »

Da parte di 48 vescovi venne poi la stessa domanda, ma con la precisazione "si id opportunum visum fuerit" ("se ciò sembrasse opportuno"). In totale 313 vescovi, numero senza dubbio da prendere in considerazione.

Quelle richieste diventano rare durante lo svolgimento del Concilio e anzi andarono scomparendo via via che nell'aula conciliare procedeva il dibattito.

Di fatto la costituzione Lumen gentium, che con meditata scelta non contiene la definizione dogmatica della mediazione, fu approvata con 2151 voti favorevoli su 2156 votanti: un'approvazione moralmente unanime, espressione vera e legittima del Magistero della Chiesa. In quei 2151 voti favorevoli ci sono senza dubbio anche quelli dei 313 vescovi che, nella fase preparatoria, avevano chiesto la definizione dogmatica della mediazione di Maria.

La Lumen Gentium traccia piuttosto altre due piste, simili a quella della corredenzione, ma che godono di una maggiore solidità teologica:

  • Afferma in maniera ripetuta la cooperazione di Maria all'opera della salvezza[2]. Il termine cooperatio è un termine aperto, che non suscita reazioni negative nell'ambito della teologia cattolica; è usato da sant'Agostino nel celebre testo De sancta virginitate[3].
  • insiste sulla maternità spirituale di Maria nei confronti dei discepoli di Cristo e di tutti gli uomini[4], sia come cooperazione storica all'evento della redenzione, sia come intercessione permanente in favore degli uomini, dal momento della sua gloriosa Assunzione fine al coronamento di tutti gli eletti[5].

In Giovanni Paolo II

San Giovanni Paolo II, nel Discorso ai Fedeli di Arona prima della recita dell'Angelus[6] (4 novembre 1984), usa il termine a maniera di inciso nel momento in cui spiega come san Carlo Borromeo si rivolgeva alla Vergine.

Il 31 gennaio 1985, nell'omelia della Messa nel Santuario di Nostra Signora de la Alborada[7] (Guayaquil, Ecuador), parla del "ruolo corredentore di Maria" che "non cessò con la glorificazione del Figlio".

La Dichiarazione della Commissione Teologica Mariana (1996)

In occasione del XII Congresso Mariologico Internazionale, svoltosi a Czestochowa (Polonia) dal 18 al 24 agosto 1996, su espressa richiesta della Santa Sede, una commissione costituita da quindici mariologi cattolici e con la presenza di teologi di altre confessioni cristiane come membri esterni[8] studiò la questione dei titoli mariani "Mediatrice", "Corredentrice" ed "Avvocata" e concluse che:

« 1. I titoli, come vengono proposti, risultano ambigui, giacché possono comprendersi in modi molto diversi. È parso inoltre non doversi abbandonare la linea teologica seguita dal Concilio Vaticano II, il quale non ha voluto definire nessuno di essi: non adoperò nel suo magistero il titolo di "Corredentrice"; e dei titoli di "Mediatrice" ed "Avvocata" ha fatto un uso molto sobrio[9]. In realtà il termine "Corredentrice" non viene adoperato dal magistero dei Sommi Pontefici, in documenti di rilievo, dai tempi di Pio XII. A questo riguardo vi sono testimonianze sul fatto che Egli ne abbia evitato intenzionalmente l'uso. Per quanto concerne il titolo di "Mediatrice" non si dovrebbero dimenticare eventi storici abbastanza recenti: nei primi decenni di questo secolo la Santa Sede affidò a tre commissioni diverse lo studio della sua definibilità; tale studio portò la Santa Sede alla decisione di accantonare la questione.

2. Anche se si attribuisse ai titoli un contenuto, del quale si potrebbe accettare l'appartenenza al deposito della Fede, la loro definizione, nella situazione attuale, non risulterebbe tuttavia teologicamente perspicua, in quanto tali titoli e le dottrine a essi inerenti, necessitano ancora di un ulteriore approfondimento in una rinnovata prospettiva trinitaria, ecclesiologica ed antropologica. Infine i teologi, specialmente i non cattolici, si sono mostrati sensibili alle difficoltà ecumeniche che implicherebbe una definizione dei suddetti titoli. »

(Testo della Dichiarazione, con commento esplicativo)

Riguardo all'uso del termine corredentrice da parte de Magistero recente, è vero che qua e là, in documenti pontifici assolutamente marginali e quindi privi di peso dottrinale, si può trovare, sia pure molto raramente, tale titolo. Ma nei documenti fondamentali e in quelli di qualche rilievo dottrinale esso è accuratamente evitato. Così è nella costituzione dogmatica Munificentissimus Deus (1950) e nelle encicliche Fulgens Corona (1953) e Ad Caeli Reginam (1954) di Pio XII. Neppure usa il termine il capitolo VIII della Lumen gentium (1964), né le esortazioni apostoliche Signum Magnum (1967) e Marialis Cultus di Paolo VI (1974). Lo stesso Giovanni Paolo II evita il termine nell'enciclica Redemptoris Mater (1986): tale documento, per la materia trattata, avrebbe potuto costituire un'occasione propizia per il suo uso.

La Mater Populi fidelis (2025)

Con la nota Mater Populi fidelis del Dicastero per la Dottrina della Fede, firmata (a differenza di altri documenti dello stesso Dicastero) dal papa stesso, l'uso del termine Corredentrice è escluso:

« Considerata la necessità di spiegare il ruolo subordinato di Maria a Cristo nell'opera della Redenzione, è sempre inappropriato usare il titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria. Questo titolo rischia di oscurare l'unica mediazione salvifica di Cristo e, pertanto, può generare confusione e squilibrio nell'armonia delle verità della fede cristiana, perché «in nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,12 ). Quando un'espressione richiede numerose e continue spiegazioni, per evitare che si allontani dal significato corretto, non serve alla fede del Popolo di Dio e diventa sconveniente. In questo caso, non aiuta a esaltare Maria come prima e massima collaboratrice dell'opera della Redenzione e della grazia, perché il pericolo di oscurare il ruolo esclusivo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza, l'unico capace di offrire al Padre un sacrificio di infinito valore, non costituirebbe un vero onore alla Madre. In effetti, ella come «serva del Signore» (Lc 1,38 ), ci indica Cristo e ci chiede di fare «qualsiasi cosa Lui vi dica» (Gv 2,5 ). »
Note
  1. Mater Populi fidelis, n. 22.
  2. Cfr. Lumen gentium 53, 56, 61, 63.
  3. n. 6. Sulla preferenza da parte del Magistero pontificio del termine cooperatio nei confronti di coredemptio, si veda la catechesi di Giovanni Paolo II nell'Udienza generale del 9 aprile 1997, in cui il Santo Padre tratta diffusamente della cooperazione della Vergine all'opera della salvezza.
  4. Cfr. Lumen gentium 53, 54, 55, 56, 58, 61, 63, 65, 67, 69.
  5. Cfr. Lumen gentium 62.
  6. Discorso di Giovanni Paolo II ai fedeli prima dell'Angelus Arona (Novara) - Domenica, 4 novembre 1984 su vatican.va. URL consultato il 10-12-2025
  7. Omelia di Giovanni Paolo II Guayaquil (Ecuador) - Giovedì, 31 gennaio 1985 su vatican.va. URL consultato il 10-12-2025
  8. A conclusione di ogni Congresso Mariologico Internazionale, che si tiene ogni quattro anni organizzato dalla Pontificia Accademia Mariana Internazionale, una Commissione formata da mariologi cattolici e da teologi di altre confessioni cristiane formula una Dichiarazione su qualche punto controverso della dottrina riguardante la beata Vergine Maria, allo scopo di favorire il dialogo ecumenico (fonte).
  9. Cfr. Lumen gentium 62.
Voci correlate
Collegamenti esterni

Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 11 dicembre 2010 da don Paolo Benvenuto, baccelliere in Teologia.

Il firmatario ne garantisce la correttezza, la scientificità, l'equilibrio delle sue parti.