Mistero pasquale

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Anonimo (Brabante), La Messa di San Gregorio, ca. 1475-1525. È principalmente attraverso l'Eucaristia che i fedeli attingono la grazia del Mistero Pasquale

L'espressione Mistero Pasquale indica il compimento, nella passione, morte, risurrezione e Ascensione di Gesù, del disegno di Dio di condurre tutti gli uomini alla salvezza e alla conoscenza della verità[1].

Nella storia della Chiesa

L'espressione Mistero Pasquale compare per la prima volta in alcune antiche omelie, nelle quali ricapitola l'intera economia della salvezza compiuta in Cristo e partecipata alla Chiesa attraverso i Sacramenti.

In Melitone di Sardi

L'espressione si incontra per la prima volta, e con notevole frequenza, nell'Omelia sulla Pasqua di Melitone di Sardi[2] e databile tra il 165 e il 185.

Nella parte iniziale Melitone afferma che "nuovo e antico, eterno e temporaneo, perituro e imperituro, mortale e immortale è il mistero della Pasqua" (n. 2)[3]: esso è identificato con "il mistero del Signore", antico secondo la prefigurazione, nuovo secondo la grazia (n. 58), prefigurato in Abele, Isacco, Giuseppe, Mosè, i profeti perseguitati e nell'Agnello sacrificato, annunciato nella predicazione dei profeti (n. 59.61) e compiuto negli ultimi tempi.

Melitone dice espressamente che "il mistero della Pasqua è Cristo]]" (n. 65).

Nell'Anonimo Quartodecimano

È simile alla precedente, anche se indipendente da essa, l'Omelia sulla santa Pasqua dell'Anonimo Quartodecimano, anch'esso dell'Asia Minore e del II secolo.

Anche tale testo parla del "mistero della Pasqua" (n. 13)[4], comprensivo dell'intera vicenda di Gesù che si estende per tutta la sotria della salvezza, e che è addirittura chiamato "mistero cosmico della Pasqua" (n. 40), "festività comune di tutti gli esseri, invio nel mondo della volontà del Padre, aurora divina di Cristo sulla terra, solennità perenne degli angeli e degli arcangeli, vita immortale del monto intero, nutrimento incorruttibile per gli uomini, anima celeste di tutte le cose, iniziazione sacra (in greco teleté) del cielo e della terra, annunciatrice di misteri antichi e nuovi" (n. 10).

Per usare le parole di Pietro Sorci, "con l'espressione 'mistero della pasqua', che rappresenta un ulteriore approfondimento del tema paolino di "Cristo nostra pasqua" (1Cor 5,7 ) fatto proprio già da Giustino (Dial. 111,3[5]), tutto il contenuto teologico che Paolo aveva riassunto nella categoria "mistero di Cristo" (Col 4,3 ; Ef 3,4 ) viene racchiuso nella pasqua. Ma per frequenza con cui il termine mistero' è impiegato e per la terminologia che lo accompagna (teletai = "compiere"; amyeton = "non inizato"; asfragiston = "non contrassegnato", ecc.) esso tradisce un chiaro riferimento ai culti misterici"[6], "ai quali il mistero cristiano viene contrapposto come l'unico veramente salvifico, più che essere ad essi assimilato"[7].

Nei Libri liturgici

Dalle antiche omelie l'espressione Mistero pasquale passa nei Sacramentari Romani.

Dai Sacramentari essa giunge nel Missale Romanum, dove il termine appare frequentemente per indicare tanto l'economia compiutasi nella morte e risurrezione di Gesù, quanto la ricorrenza annuale della Pasqua e i Sacramenti del Battesimo e dell'Eucaristia, centro di tutta la liturgia cristiana: attraverso di essi l'economia della salvezza si attualizza nella Chiesa.

Nel Concilio Vaticano II

Nel Concilio Vaticano II l'espressione Mistero Pasquale entra in riferimento alla liturgia, ma arriva poi a valicare i confini della liturgia stessa, "per diventare il fondamento e il criterio ispiratore di tutta la vita morale e delle scelte del credente a qualsiasi livello, nonché di tutta la spiritualità cristiana"[8].

Nella Sacrosanctum Concilium

L'espressione, mutuata dal Sacramentario Gelasiano antico (468. 471), appartiene al linguaggio della teologia liturgica; caduta in disuso, è stata ricuperata dal movimento liturgico del XX secolo. La Sacrosanctum Concilium la pone come base per la sua riflessione teologica sulla liturgia, e anche gli altri documenti del Concilio Vaticano II la usano ripetutamente.

Usando l'espressione, la costituzione liturgica pone l'opera redentiva del Verbo incarnato come realizzazione novotestamentaria della definitiva liberazione e della nuova alleanza che la Pasqua ebraica significava e preparava[9]. In questa maniera assegna al Mistero Pasquale il posto centrale che la Pasqua occupava nella storia della salvezza dell'Antico Testamento.

Del Mistero Pasquale i fedeli di tutti i tempi possono partecipare per via misterica, cioè attraverso riti memoriali: attraverso di essi "hanno accesso alla riconciliazione perfetta e al culto vero e pieno realizzatisi una volta per sempre nella morte-risurrezione-ascensione dell'umanità del Figlio di Dio"[9].

Il Mistero Pasquale viene così posto dalla Sacrosanctum Concilium come fondamento e chiave interpretativa di tutto il culto cristiano:

Negli altri documenti

L'espressione compare ancora nel decreto sull'ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus. I Vescovi, in qunato dispensatori dei Misteri di Dio, devono adoperarsi perché i fedeli, per mezzo dell'Eucaristia e dei Sacramenti, conoscano sempre più profondamente e vivano coerentemente il Mistero Pasquale in modo da crescere ogni giorno di più come Corpo di Cristo (n. 15).

Il decreto sulla formazione sacerdotale, Optatam Totius, vuole che i candidati al presbiterato vivano il Mistero Pasquale di Cristo in modo da sapervi iniziare un giorno il popolo che sarà loro affidato (n. 8).

L'espressione ritorna infine nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et Spes: essa afferma che la vocazione di ogni cristiano, associato per il Battesimo al Mistero Pasquale, è realizzare nella propria esistenza, la conformità alla morte di Cristo per partecipare alla sua risurrezione (n. 22); anzi, a venire a contatto con esso è chiamato ogni uomo di buona volontà, nei modi che solo Dio conosce (ivi), e in esso ogni attività uman raggiunge la sua perfezione (n. 38).

Note
  1. Cfr. Sacrosanctum Concilium 5.
  2. L'Omelia sulla Pasqua è stata scoperta da Campbell Bonner nel 1936.
  3. Raniero Cantalamessa (1972), p. 25, nota 2.
  4. Raniero Cantalamessa (1972) p. 59.
  5. Ed. E. Goodspeed, Gottinga 1914, 227.
  6. Pietro Sorci (1984) p. 885.
  7. Raniero Cantalamessa (1972), p. 89, n. 3.
  8. Pietro Sorci (1984) p. 884
  9. 9,0 9,1 Pietro Sorci (1984) p. 883
Bibliografia
Voci correlate