Pantheon - Basilica di Santa Maria ai Martiri (Roma)
Pantheon o Chiesa di Santa Maria ai Martiri | |
Roma, Pantheon (o Basilica di Santa Maria ai Martiri) | |
Nome antico | Pantheon |
---|---|
Collocazione storica | Impero romano |
Civiltà | Romana |
Oggetto generico | Struttura per il culto |
Oggetto specifico | Tempio |
Dedicazione non cristiana | Tutti gli dei |
Fondatore | Marco Vipsanio Agrippa |
Data fondazione | 27 a.C. |
Architetto | Apollodoro di Damasco |
Datazione | 125 - 128 |
Inaugurato da | Adriano |
Pianta | circolare |
Tecnica costruttiva | opera laterizia |
Materiali | laterizi, granito, marmo, calcestruzzo |
Iscrizioni | M(arcus) AGRIPPA L(uci) F(ilius) CO(n)S(ul) TERTIVM FECIT |
Utilizzazione | chiesa cristiana |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Regione |
Regione ecclesiastica Lazio |
Provincia | Roma |
Comune | Roma |
Diocesi |
Diocesi di Roma Vicariatus Urbis |
Dimensioni | |
Altezza | 43,30 m |
Diametro | 43,30 m |
Amministrazione | |
Proprietà | Stato Italiano |
Ente | Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio del Comune di Roma |
Indirizzo |
Piazza della Rotonda, 12 00186 Roma (RM) |
Telefono | +39 06 68300230 |
Posta elettronica | santamariaadmartyres@vicariatusurbis.org |
Sito web | sito web ufficiale |
Sito web 2 | [1] |
Note | |
Nel 609 d.C., il Pantheon viene convertito in chiesa cristiana, detta Santa Maria ad Martyres | |
Coordinate geografiche | |
Roma | |
Il Pantheon (in epoca romana, "tempio a tutti gli dei") è un edificio di culto di Roma antica, costruito come tempio dedicato a tutte le divinità della religione romana. L'attuale edificio venne fatto costruire dall'imperatore Adriano intorno al 126, dopo che un incendio dell'80 d.C. aveva danneggiato la costruzione precedente di età augustea.
Di tutti gli edifici antichi di Roma, il Pantheon è certo il più integralmente conservato: questo si deve alla donazione che ne fece l'imperatore bizantino Foca al papa Bonifacio IV ed alla successiva trasformazione in chiesa cristiana col nome di Santa Maria ad Martyres (609 d.C.).
Etimologia della parola
La parola Pantheon è a tutti gli effetti un prestito greco che la lingua italiana ha mantenuto per tramite del latino: in greco τό πάνθειον, tó pántheion è un aggettivo sostantivato indicante "la totalità degli dei", e nella maggior parte dei casi sottintende il sostantivo ἱερόν, hierón ("tempio"), dunque dal greco τό Πάνθειον ἱερόν, tó Pántheion hierón ("Il tempio di tutti gli dei") è derivato il calco latino Pantheon, utilizzato da Plinio il Vecchio,[1] che ha consegnato la parola alla lingua italiana.
Pantheon di Agrippa
La prima costruzione, realizzata tra il 27 ed il 25 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa, amico e genero di Augusto, nel quadro della monumentalizzazione del Campo Marzio, affidandone la realizzazione a Lucio Cocceio Aucto. Esso sorgeva, infatti, fra i Saepta Iulia e la basilica di Nettuno, fatti erigere a spese dello stesso Agrippa.
L'iscrizione originale di dedica dell'edificio, riportata sulla successiva ricostruzione di epoca adrianea, recita:
(LA) | (IT) | ||||
« | M(arcus) AGRIPPA L(uci) F(ilius) CO(n)S(ul) TERTIVM FECIT » | « | Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta, edificò » |
Il terzo consolato di Agrippa risale appunto all'anno 27 a.C. Tuttavia lo storico Cassio Dione lo elenca con la basilica di Nettuno e il Gymnasium Laconiano tra le opere di Agrippa terminate nel 25 a.C.[2]
Dai resti a circa 2,50 metri sotto l'edificio attuale, rinvenuti alla fine del XIX secolo, si sa che questo primo tempio era di pianta rettangolare (m 19,82 x 43,76) con cella disposta trasversalmente, più larga che lunga (come il tempio della Concordia nel Foro Romano e il piccolo tempio di Veiove sul Campidoglio), costruito in blocchi di travertino rivestiti da lastre di marmo. L'edificio era rivolto verso sud, in senso opposto alla ricostruzione adrianea, preceduto da un pronao sul lato lungo che misurava in larghezza 21,26 metri. Davanti ad esso si trovava un'area scoperta circolare, una sorta di piazza che separava il tempio dalla basilica di Nettuno, recintata da un muro in opera reticolata e con pavimento in lastre di travertino. Sopra queste lastre vennero poi posate altre in marmo, forse durante il restauro domizianeo, seguito all'incendio dell'80 d.C.
L'edificio di Agrippa aveva comunque l'asse centrale che coincideva con quello dell'edificio più recente e la larghezza della cella era uguale al diametro interno della rotonda. L'intera profondità dell'edificio augusteo coincide, inoltre, con quella del pronao adrianeo. Dalle fonti sappiamo che i capitelli erano realizzati in bronzo e che la decorazione comprendeva delle cariatidi e statue frontonali. Il tempio si affacciava su una piazza (ora occupata dalla rotonda adrianea) limitata sul lato opposto dalla basilica di Nettuno.
Pantheon adrianeo
Sotto Adriano, l'edificio venne interamente ricostruito, come ci confermano una notizia del tardo biografo dell'imperatore[3], e soprattutto i bolli laterizi[4] che lo datano tra il 118 ed il 125. Si può ipotizzare che il tempio venne inaugurato dallo stesso imperatore Adriano durante la sua permanenza nella capitale tra il 125 e il 128.
Secondo alcuni il progetto, redatto subito dopo la distruzione dell'edificio precedente in epoca traianea, sarebbe attribuibile all'architetto Apollodoro di Damasco.
La ricostruzione adrianea modificò totalmente l'edificio precedente: mancando lo spazio davanti ad esso - dove si trovava la Basilica di Nettuno, disposta simmetricamente al tempio sull'altro lato di una piazza - la facciata fu ruota di 180 gradi, rivolgendo la facciata verso nord. Il pronao e la struttura di collegamento con la cella occuparono l'area del precedente tempio, mentre la rotonda venne costruita quasi facendola coincidere con la piazza augustea circolare recintata che divideva il Pantheon dalla Basilica di Nettuno.
La visione attuale del tempio non corrisponde a quella antica: la facciata è ora infossata nel punto più basso dell'area, mentre in origine essa si elevava su cinque gradini, preceduta da una piazza più lunga dell'attuale, porticata su tre lati e pavimentata con lastre di travertino. L'aspetto doveva essere quello di un normale tempio periptero: il tamburo della rotonda, infatti, doveva essere invisibili frontalmente. Se ne traeva così una visione completamente diversa tra quella esterna, che era quella di un tempio canonico, e l'interna, spazialmente del tutto differente.
L'edificio è costituito da tre corpi architettonici:
- pronao;
- struttura rettangolare intermedia di collegamento;
- ampia cella rotonda.
Pronao
Il pronao (m 33,10 x 15,50) presenta una facciata composta da otto colonne monolitiche di granito grigio o rosso (distribuite nelle due file retrostanti), provenienti dalle cave egiziane, ed anche i fusti dei porticati della piazza erano in granito grigio, sebbene di dimensioni inferiori. I capitelli corinzi, le basi e gli elementi della trabeazione sono in marmo bianco pentelico, proveniente dalla Grecia. L'ultima colonna del lato orientale del pronao, mancante già dal XV secolo fu rimpiazzata da un fusto in granito grigio sotto papa Alessandro VII e la colonna all'estremità orientale della facciata fu ugualmente sostituita sotto papa Urbano VIII con un fusto in granito rosso: l'originaria alternanza dei colori nelle colonne, dunque, risulta oggi alterata. Le nuove colonne provenivano entrambe dalle Terme Neroniane. All'interno, due file di quattro colonne dividono lo spazio in tre navate: quella centrale più ampia conduce alla grande porta di accesso della cella, mentre le laterali terminano su due ampie nicchie destinate ad ospitare le statue di Augusto e di Agrippa, che provenivano dall'esterno del tempio primitivo.
Il frontone era decorato con figure in bronzo, fissate sul fondo con perni: dalla posizione dei fori di fissaggio rimasti si è ipotizzata la presenza di una grande aquila coronata ad ali spiegate.
Sull'architrave della facciata è posta l'iscrizione di Agrippa in lettere bronzee, che venne qui collocata da Adriano, il quale, come è noto, non fece scrivere il suo nome su nessuno dei monumenti da lui edificati, escluso il Tempio di Traiano. Una seconda iscrizione, incisa in caratteri più piccoli, è posta al di sotto di questa, ricorda un restauro di Settimio Severo e Caracalla, del 202 d.C., che fu assai limitato.
Il tetto a doppio spiovente è sorretto da capriate lignee, sostenute da muri in blocchi con archi poggianti sopra le file di colonne interne. La copertura bronzea della travatura lignea del pronao fu asportata nel 1625 sotto papa Urbano VIII per la realizzazione del Baldacchino di San Pietro (1624 - 1633) ad opera di Gian Lorenzo Bernini e di 80 cannoni per Castel Sant'Angelo: per questo "riciclo" fu scritta la famosa pasquinata:
« | Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini. » |
Il pronao è pavimentato in lastre di marmi colorati che si dispongono secondo un disegno geometrico di cerchi e quadrati. Anche i lati del pronao sono rivestiti in marmo.
Struttura di collegamento tra pronao e cella
La struttura intermedia che collega il pronao alla cella è un avancorpo in opera laterizia, costituita da due massicci pilastri che si appoggiano alla rotonda, collegati da una volta che proseguiva senza soluzione di continuità l'originaria volta sospesa in bronzo della parte centrale del pronao.
Nei pilastri erano inserite due scale di accesso, che permettevano di salire alle parti alte del tempio, delle quali rimane solo quella di sinistra.
La parete è rivestita con lastre di marmo pentelico e decorata all'esterno e ai lati della porta della cella da un ordine di lesene che prosegue l'ordine del pronao. Tra le lesene sono inseriti pannelli decorativi con ghirlande e strumenti sacrificali.
All'esterno la struttura ha la stessa altezza del cilindro della rotonda e doveva come questa avere un rivestimento in stucco ed intonaco, oggi scomparso.
Sulla facciata un frontone in laterizio ripete quello del pronao ad un'altezza maggiore, e si rapporta alle divisioni delle cornici marcapiano presenti sulla rotonda, che proseguono senza soluzione di continuità sulle pareti esterne della struttura rettangolare al di sopra dell'ordine di lesene. Il frontone, nascosto dal pronao, doveva comunque essere visibile solo da grande distanza.
La differenza di livello tra i due frontoni ha fatto ipotizzare che il pronao dell'edificio fosse stato in origine previsto di maggiori dimensioni, con fusti di colonna di 50 piedi (14,80 m) invece che di 40 piedi (11,84 m)[5], ma che le cave di granito egiziane, già sfruttate per i fusti del monumentale ingresso settentrionale del Foro di Traiano, non fossero in grado di fornire altri fusti monolitici di tali eccezionali dimensioni e che il progetto dovette dunque essere ridotto e modificato.
L'attuale porta in bronzo, di proporzioni diverse da quelle dell'apertura, proviene forse da un altro antico edificio.
Cella rotonda
Esterno
L'esterno della rotonda nasconde la cupola per un terzo, costruendo un corpo cilindrico che altro non è che la continuazione in verticale del tamburo. Tra cupola e muro esterno è così racchiusa un'ampia intercapedine dove sono state ricavate un doppio sistema di camere finestrate, organizzate su un corridoio anulare, che ha anche la funzione di alleggerire il peso delle volte.
Il corpo esteriore della rotonda, esclusa la cupola, non era visibile in antico, in quanto nascosto dalla presenza di altri edifici contigui; per questo non presenta particolari decorazioni, a parte tre cornici con mensole a altezze diverse: in corrispondenza della trabeazione del primo ordine interno, lungo la linea d'imposta della cupola e sul coronamento. A ciascuna di queste tre fasce corrispondono anche diversi materiali usati nell'edificio, via via più leggeri.
Interno
Lo spazio interno della cella rotonda è costituito da un cilindro coperto da una semisfera. Il cilindro ha altezza uguale al raggio (m 21,72) e l'altezza totale dell'interno è uguale al diametro (m 43,30).
La rotonda poggia su una massiccia sostruzione, costituita da un anello di calcestruzzo largo m 7,30 e profondo 4,50. Il muro cilindrico che sorregge la cupola, spesso 6 metri è costituito da tre settori sovrapposti, sottolineati all'esterno da cornici marcapiano. La muratura si va alleggerendo man mano che si sale verso l'alto: in particolare nella cupola, dove vengono utilizzati lapilli vulcanici. Lo spessore delle pareti, attraversate in più punti da volte di mattoni, non è pieno. le otto nicchie dell'interno dell'interno, alternativamente rettangolari o semicircolari, separano otto giganteschi piloni, ognuno dei quali è incavato a sua vola da un vano semicircolare, con una passaggio verso l'esterno. Tutto un sistema di volte e di archi di scarico articola la struttura, concentrando le spinte nei punti di maggior resistenza.
Al livello inferiore si aprono sei ampie nicchie distile (con due colonne sul fronte), a pianta alternatamente rettangolare (in realtà trapezoidale) e semicircolare, più la nicchia dell'ingresso e l'abside. Questo primo livello è inquadrato da un ordine architettonico con le colonne in corrispondenza dell'apertura delle nicchie e lesene nei tratti di parete intermedi, che sorreggono una trabeazione continua. Solo l'abside opposta all'ingresso è invece fiancheggiata da due colonne sporgenti dalla parete, con la trabeazione che gira all'interno come imposta del catino absidale a semicupola. Tra un'esedra e l'altra sono presenti otto edicole, costituite da due colonne di porfido, granito o giallo antico, che sostengono timpani alternatamente triangolari o a sezione di cerchio. Le pareti sono rivestite da lastre di marmi policromi.
L'ordine superiore, in opus sectile, aveva un ordine di lesene in porfido che inquadravano finestre e un rivestimento in lastre di marmi colorati. Le finestre si affacciano sul primo corridoio anulare interno di alleggerimento. La decorazione romana originale di questa fascia fu sostituita da quella attualmente visibile, realizzata nel XVIII secolo, probabilmente tra il 1747 ed il 1752), che solo in parte ripristinò l'aspetto antico. Nel settore sud-occidentale, un restauro del 1930 ne ha ricostruito in parte un tratto dell'originario romano di questo livello, ma in modo non del tutto preciso.
Il pavimento della rotonda è leggermente convesso, con la parte più alta (spostata di circa 2 m verso nord-ovest rispetto al centro) sopraelevata di circa 30 cm, per far si che la pioggia che scende all'interno del tempio attraverso l'oculo posto sulla cima della cupola, defluisca verso dei canali di scolo posti sul perimetro della rotonda. Il pavimento è formato da quadrati e cerchi inscritti - integralmente conservato nel suo disegno, nonostante alcuni restauri - realizzato con gli stessi marmi adoperati per la decorazione architettonica: porfido, granito, pavonazzetto, giallo antico.
Le numerose nicchie che si aprivano nelle esedre e le edicole erano evidentemente occupate da statue di divinità: l'edificio era, infatti, dedicato come ricorda il nome, a tutti gli dei. Il suo significato originario era piuttosto quello di un tempio dinastico, di un Augusteum, il cui modello proviene da simili esempi, diffusi nei regni ellenistici. Anche se Augusto, coerentemente con la sua politica, impedì che il santuario gli fosse dedicato, la stessa presenza all'interno del tempio delle divinità dinastiche della famiglia giulio-claudia (Marte, Venere e lo stesso Divo Giulio) è di per sé sufficiente a dimostrarlo.
Cupola
La cupola fu realizzata con un getto unico al disopra di una grandiosa centina lignea. Essa è ricoperta da una mascheratura che assume una forma perfettamente emisferica. Il suo diametro è di 43,30 m: la più larga mai voltata in muratura. La semplicità strutturale, di solido geometrico, dell'interno è dovuta alle proporzioni adottate: ad esempio, la distanza dal pavimento al sommo della cupola è identica al diametro: in pratica, lo spazio interno corrisponde ad una sfera perfetta, inserita in un cilindro alto come il raggio di questa.
La cupola è decorata con cinque ordini di cassettoni concentrici (28 per ordine) che si vanno restringendo fino all'oculo centrale, largo 8,92 m di diametro, che la conclude. L'oculo, che dà luce alla cupola, è circondato da una cornice di tegoloni fasciati in bronzo fissati alla cupola, che forse proseguiva internamente fino alla fila più alta di cassettoni. Una curiosità riguardante l'oculo sta nell'"effetto camino": infatti, quando piove, la corrente d'aria ascensionale porta alla frantumazione delle gocce d'acqua, così all'interno sembra che non piova e, inoltre, per evitare pozze d'acqua all'interno, sono stati fatti dei fori sia centrali che laterali per lo scolo dell'acqua.
La realizzazione fu resa possibile grazie ad una serie di espedienti che contribuiscono all'alleggerimento della struttura, dall'utilizzo dei cassettoni, all'uso di materiali via via sempre più leggeri verso l'alto: nello strato più vicino al tamburo cilindrico abbiamo strati di calcestruzzo con scaglie di mattoni, salendo troviamo calcestruzzo con scaglie di tufo, mentre nella parte superiore, nei pressi dell'oculo troviamo calcestruzzo confezionato con inerti tradizionali, miscelati a lava vulcanica macinata.
All'esterno, la cupola è nascosta inferiormente da una sopraelevazione del muro della rotonda, ed è quindi articolata in sette anelli sovrapposti, l'inferiore dei quali conserva tuttora il rivestimento in lastre di marmo. La parte restante era coperta da tegole in bronzo dorato, asportate dall'imperatore bizantino Costante II, ad eccezione di quelle che circondavano l'oculo, tuttora in situ. Lo spessore della muratura si rastrema verso l'alto (da 5,90 m inferiormente a 1,50 m in corrispondenza della parte intorno all'oculo centrale). Inoltre, all'interno della muratura sono stati usati diversi tipi di laterizi sempre più leggeri via via che si procede verso l'alto (nella parte culminante ci sono addirittura delle leggerissime pomici). Questi accorgimenti hanno permesso il bilanciamento del peso della cupola e sono il segreto della sua straordinaria durata (vedi anche la sezione seguente).
La particolare tecnica di composizione del cementizio romano permette alla cupola priva di rinforzi di restare in piedi da quasi venti secoli. Una cupola di queste dimensioni sarebbe infatti difficilmente edificabile con le moderne tecnologie, data la poca resistenza alla trazione del cemento moderno. Il fattore determinante sembra essere una particolare tecnica di costruzione: il cementizio veniva aggiunto in piccole quantità drenando subito l'acqua in eccesso. Questo, eliminando in tutto o in parte le bolle d'aria che normalmente si formano con l'asciugatura, conferisce al materiale una resistenza eccezionale. Inoltre venivano utilizzati materiali via via più leggeri per i caementa mescolati alla malta per formare il cementizio: dal travertino delle fondazioni alla pomice vulcanica della cupola.
Caratteristiche dell'architettura
La costruzione del Pantheon fu un capolavoro di ingegneria, dove l'idea architettonica venne perfettamente interpretata con un approccio tecnico empirico (i cedimenti e le incrinature varificatisi subito dopo la costruzione vennero prontamente rimediati). La spazialità perfettamente sferica regala all'osservatore una sensazione di straordinaria armonia, "immota ed avvolgente"[6], grazie anche agli equilibrati rapporti tra le varie membrature, con articolati effetti di luce ed ombra nelle cassettonate, nelle nicchie e nelle edicole.
L'inserzione di un'ampia sala rotonda alle spalle del pronao di un tempio classico non ha precedenti nel mondo antico, almeno a giudicare dalle architetture che ci sono pervenute o che conosciamo dalle fonti letterarie. Esiste forse un precedente a Roma di edificio circolare con pronao[7], risalente alla tarda epoca repubblicana, sebbene in scala estremamente più modesta: il tempio B del Largo di Torre Argentina. L'operazione di fusione tra un modello classicista (il pronao colonnato) e un edificio dalla spazialità nuova, tipicamente romana (la rotonda), fu una sorta di compromesso tra la spazialità dell'architettura greca (attenta essenzialmente all'esterno degli edifici) e quella dell'architettura romana (centrata sugli spazi interni). Ciò suscitò varie critiche, ma si trattava "di un ovvio tributo al dominante classicismo della cultura di Roma",[8] che si manifestò durevolmente anche nei secoli successivi[9].
Il modello dello spazio circolare e coperto a cupola fu ripreso da quello delle grandi sale termali "imperiali" di Baia e Roma, ma fu una novità l'utilizzo di questo tipo di copertura per un edificio templare. L'effetto di sorpresa nel varcare la porta della cella doveva essere notevole e sembra caratteristico dell'architettura di epoca adrianea, ritrovandosi anche in molte parti della Villa Adriana, ancora conservate a Tivoli.
Un ulteriore elemento di novità era l'introduzione di fusti monolitici lisci di marmo colorato per le colonne di un tempio, al posto dei tradizionali fusti scanalati in marmo bianco.
Storia successiva
Età severiana
I lavori di edificazione del Pantheon furono terminati sotto Antonino Pio, mentre l'iscrizione incisa sull'architrave della facciata, ricorda un restauro effettuato sotto Settimio Severo e Caracalla, del 202 d.C., che fu però molto marginale.
Dal Medioevo ad oggi
L'edificio si salvò dalle distruzioni del primo Medioevo perché l'imperatore bizantino Foca ne aveva fatto dono a papa Bonifacio IV, che lo trasformò in chiesa cristiana consacrandola con il nome di Sancta Maria ad Martyres (13 aprile 609). Questo nome proviene dalle reliquie di ignoti martiri cristiani che vennero traslate dalle catacombe nei sotterranei del Pantheon.
« | Questo maraviglioso tempio, secondo il sentimento comune, [...] si disse Panteon, perché era dedicato a tutti li Dei immaginati da' Gentili. Nella parte superiore [...] erano collocate le statue delli Dei celesti, e nel basso i terrestri, stando in mezzo quella di Cibele; è nella parte di sotto, che ora è coperta dal pavimento, erano distribuite le statue delli dei penati. [...] Bonifazio IV. per cancellare quelle scioccherie, e sozze superstizioni, l'an. 607. purgatolo d'ogni falsità gentilesca, consagrollo al vero Iddio in onore della ss. Vergine, e di tutti i santi Martiri; perciò fece trasportare da varj cimiteri 18. carri di ossa di ss. Martiri, e fecele collocare sotto l'altare maggiore; onde fu detto s. Maria ad Martyres. » | |
(Giuseppe Vasi, Itinerario istruttivo per ritrovare le antiche e moderne magnificenze di Roma, 1763)
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Fu il primo caso di un tempio romano trasposto al culto cristiano. Questo fatto lo rende il solo edificio dell'antica Roma ad essere rimasto praticamente intatto e ininterrottamente in uso per scopo religioso fin dal momento della sua fondazione.
Le tegole di bronzo dorato che rivestivano all'esterno la cupola furono asportate per ordine di Costante II, imperatore d'Oriente nel 663[10] e sostituite da Greorio III con una copertura di piombo nel 735.
Dopo l'anno 1000 la chiesa prese il nome di Santa Maria Rotunda, dalla quale deriva il nome della piazza antistante.
L'edificio adoperato talora come fortilizio, fu dotato di un palazzo destinato a sede pontificia (1153 - 1154) e di un campanile al centro del frontone.
Papa Eugenio IV (1431 - 1447) lo fece restaurare, liberandolo anche delle botteghe che negli anni erano state costruite intorno.
Nel 1625, papa Urbano VIII (al secolo Vincenzo Maffeo Barberini) fece asportare il rivestimento bronzeo delle travi del pronao per farne ottanta cannoni per Castel Sant'Angelo e le quattro colonne tortili del baldacchino di San Pietro (1624 - 1633), fece rimpiazzare la colonna d'angolo a sinistra della facciata ed innalzare da Gian Lorenzo Bernini, tra il 1626 ed il 1627, due campanili ai lati dell'attico in luogo di quello centrale: questi, fin da allora, oggetto di critiche molto accese, furono presto conosciuti con il dispregiativo di "orecchie d'asino".
Papa Alessandro VII (1655 - 1667) fece sostituire altre due colonne sul lato sinistro ed abbassare il livello della piazza; Clemente IX nel 1668 circondò il pronao con una cancellata per impedire che il pronao fosse occupato dal mercato che si svolgeva nell'area antistante; Benedetto XIV nel 1747 fece risistemare l'attico interno. Il risanamento della zona fu avviato da Pio VII e proseguito da Pio IX, il quale rinnovò parzialmente il pavimento interno; divenuto nel 1870 sacrario dei re d'Italia, fu restaurato con l'eliminazione della cancellata, il completo isolamento dei fianchi, lo scavo delle adiacenze e la demolizione dei due campanili (1881 - 1883).
La basilica attualmente è luogo sussidiario di culto della parrocchia di Santa Maria in Aquiro.
Interno: altare maggiore, cappelle ed edicole cristiane
All'interno, si notano di particolare interesse storico-artistico (da sinistra a destra):
- prima cappella: Annunciazione (post 1460), affresco staccato, attribuita a Melozzo da Forlì.[11]
- seconda cappella: Tomba di Vittorio Emanuele II di Savoia (1878) realizzata su disegno di Manfredo Manfredi.
- seconda edicola: gruppo scultoreo con Sant'Anna e Maria Vergine (1710 - 1720), in marmo, di Lorenzo Ottoni.[12]
- quarta edicola: Statua di san Rasio (1720 - 1730 ca.), in marmo, di Bernardino Cametti.[13]
- all'altare maggiore: Madonna con Gesù Bambino (609), tempera su tavola, di un anonimo pittore romano.[14]
- quinta edicola: Statua di sant'Anastasio (1717), in marmo, di Francesco Moderati.[15]
- sesta edicola: Statua della Madonna del Sasso (1520), in marmo, di Lorenzo Lotti, detto Lorenzetto: opera commissionata da Raffaello Sanzio per la propria sottostante tomba, il cui epitaffio venne dettato da Pietro Bembo.
- quinta cappella: Tomba di Umberto I di Savoia (1900) di Giuseppe Sacconi e Tomba Margherita di Savoia (1926).[16]
- settima edicola: Monumento funebre di Baldassarre Peruzzi (1921).
- sesta cappella, detta dei Virtuosi del Pantheon:
- Gruppo scultoreo con San Giuseppe e Gesù fanciullo (1547 - 1555 ca.), in marmo, di Vincenzo de Rossi.[17]
- Rilievo con Riposo nella fuga in Egitto (1728), in stucco, di Carlo Monaldi.[18]
Pantheon come modello architettonico
« | Il più bel resto dell'antichità romana è senza dubbio il Pantheon. Questo tempio ha così poco sofferto, che ci appare come dovettero vederlo alla loro epoca i Romani » | |
(Stendhal, Passeggiate romane)
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Come esempio meglio conservato dell'architettura monumentale romana, il Pantheon ha avuto enorme influenza sugli architetti europei ed americani, in particolare dal Rinascimento al Neoclassicismo. Numerose sale civiche, università e biblioteche, riecheggiano la sua struttura con portico e cupola.
Molti sono gli edifici celebri influenzati dal Pantheon, tra i quali si ricordano:
- in Italia:
- Villa La Rotonda a Vicenza (1566 - 1591), opera di Andrea Palladio;
- Chiesa di San Simeon Piccolo (1718 - 1738), opera di Giovanni Antonio Scalfarotto;
- Basilica di San Francesco di Paola a Napoli (1816 - 1846) di Pietro Bianchi;
- Chiesa della Gran Madre di Dio a Torino (1818 - 1831) di Ferdinando Bonsignore;
- Tempio Canoviano a Possagno (1819 - 1830) di Antonio Canova;
- Cisternone di Livorno (1829 - 1842) di Pasquale Poccianti;
- Chiesa di San Carlo al Corso a Milano (1832 - 1847) di Carlo Amati;
- Chiesa del cimitero monumentale di Staglieno a Genova (1844 - 1851);
- Mausoleo della Bela Rosin a Torino (1886 - 1888) di Angelo Demezzi.
- in Francia: Pantheon di Parigi (1756 - 1789) di Jacques Germain Soufflot;
- in Gran Bretagna: Rotonda del British Museum a Londra (1753);
- negli Stati Uniti d'America:
- Villa di Monticello e rotonda dell'Università della Virginia, volute da Thomas Jefferson;
- Biblioteca della Columbia University a New York;
- Jefferson Memorial a Washington;
- in Australia: Biblioteca dello Stato di Victoria.
Curiosità
Nel Pantheon, il giorno di Pentecoste, si ripete ogni anno un rito antico, detto la Pasqua delle rose: alla fine della Messa, una pioggia di petali di rosa cade sui fedeli dall'oculus al centro dell'enorme cupola, per commemorare la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli.
Galleria fotografica
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Note | |
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Bibliografia | |
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Collegamenti esterni | |
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