Principio di solidarietà
Il principio di solidarietà è quel forte legame di interdipendenza che dà valore alla socialità e che lega ogni persona umana al contesto di appartenenza.
Tale principio ha a che fare con quel vincolo particolare che spinge ciascun individuo verso una sempre più convinta unità degli uomini e dei popoli, riconosciuti come uguali in dignità e diritti.
Il termine solidarietà si fa risalire all'espressione in solidum, presente nel diritto romano; con essa si intendeva uno speciale vincolo giuridico, l'obbligazione solidale, appunto, che legava ciascuno dei contraenti a rispondere per l'intero e non solo per la propria parte[1].
La Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) ha elaborato il concetto di tale principio.
Elementi costitutivi: interdipendenza e sussidiarietà
Il Magistero, nel sottolineare quanto la socializzazione sia il valore portante dell'umano associarsi, ha sempre valorizzato anche l'interdipendenza come uno dei legami più forti della coesione sociale.
Nel mondo moderno, grazie al rapidissimo moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione e all'intensificarsi dei rapporti tra gli uomini e i popoli, l'interdipendenza ha finito per interessare tutti i settori della vita politica, economica, culturale, sociale, religiosa.
Tale fenomeno non ha tuttavia abolito le disuguaglianze che ancora permangono tra popoli e uomini. La DSC esorta perciò ad accompagnare l'ampliarsi dell'interdipendenza con un intenso impegno sul piano etico-sociale per risolvere le situazioni di ingiustizia che determinano ancora oggi squilibri tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo (PVS).
L'interdipendenza dunque sta a fondamento del principio di solidarietà come afferma la Sollicitudo Rei Socialis:
« | Quando l'interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come "virtù", è la solidarietà. Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. » | |
(n. 38)
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In questa enciclica il principio di solidarietà viene definito una virtù umana e cristiana. La percezione della vicendevole dipendenza porta ogni singolo a sentirsi eticamente responsabile del bene dell'altro. A questo principio etico si dà il nome di solidarietà; prima di essere un comportamento è un atteggiamento morale, una virtù appunto. Le virtù hanno tutte una forte componente relazionale perché per esercitarle si ha bisogno dell'altro. La generosità, il coraggio, la saggezza, per potersi evidenziare hanno bisogno di entrare in una relazione. La solidarietà è la virtù di impegnarsi e di perseverare per il bene comune.
All'interno del contesto sociale il principio di solidarietà prende corpo quando i singoli membri che lo compongono si rispettano, agiscono nell'osservanza della giustizia, partecipano in modo attivo e costruttivo alla vita politica, economica, culturale. Il principio di solidarietà porta infatti gli uomini a vivere correttamente i rapporti reciproci di dipendenza. Sentirsi responsabili del bene dell'altro si coniuga con la consapevolezza che l'altro mi aiuterà in caso di bisogno.
Il principio di solidarietà si compenetra anche con quello della sussidiarietà, poiché fa appello alla capacità degli individui di andare incontro ai bisogni della collettività e dei singoli attuando strategie di intervento autonome e peculiari.
Fondamento
Il principio di solidarietà trova il suo culmine e il suo fondamento nella vita e nel messaggio di Gesù Cristo. Egli infatti incarna l'Uomo nuovo, solidale con l'umanità fino a dare per essa la propria vita. Lui, l'Emmanuele, Il Dio-con-noi si fa carico delle sue necessità di redenzione, assume il bene dell'altro come proprio criterio esistenziale.
In Mt 7,12 (regola d'oro) troviamo espresso il principio della solidarietà come la libertà di ognuno di indirizzare al bene dell'altro le proprie azioni. Tale principio perciò non può mai essere identificato con le strutture che sorreggono la società, ma ha a che fare sempre ed esclusivamente con le persone. Sono queste che si attivano, a livello del singolo o in gruppo, in associazioni, e responsabilmente perseguono il bene comune.
La finalità della solidarietà non può prescindere dall'impegno per la giustizia sociale e la libertà. Il principio di solidarietà interagisce con quello di sussidiarietà, e, considerato nel suo valore sociale, diventa quel principio ordinatore delle istituzioni che spinge a superare le "strutture di peccato" che impediscono la realizzazione della giustizia universale e della condivisione tra gli uomini e i popoli. La Dottrina Sociale della Chiesa sottolinea come la solidarietà sia strettamente connessa con la destinazione universale dei beni, con l'uguaglianza e la pace nel mondo.
Nel concetto di solidarietà sono inscrivibili non solo realtà materiali, ma anche il patrimonio della cultura, della conoscenza scientifica e tecnologica, insomma tutto ciò che la vicenda umana ha prodotto, come si legge nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa n°19.
Forti di queste responsabilità, gli uomini e i popoli coltivano con particolare attenzione la consapevolezza del debito che ciascuno ha contratto nei confronti della società entro la quale esprime la propria esistenza. Tale debito deve essere onorato nelle molteplici manifestazioni dell'agire sociale e deve permettere a tutte le generazioni presenti e future la condivisione nella solidarietà dello stesso dono della vita.
Il principio di solidarietà nei Vangeli
Il principio di solidarietà può essere rintracciato nei Vangeli, e letto come paradigma esistenziale praticato da Cristo stesso e presentato come comportamento virtuoso.
La parabola del buon samaritano
Il brano evangelico che meglio mette a fuoco la solidarietà è la parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37 ).
La narrazione prende l'avvio dal fatto che un dottore della legge, volendo mettere alla prova Gesù, gli chiede quale pratica consenta di ottenere la vita eterna. Il Signore lo interroga sul senso delle Scritture e il dottore, da esperto qual è, cita le prescrizioni del Dt 6,5 e del Lev 19,18 . L'amore per il prossimo secondo la visione dell'Antico Testamento si limitava alla solidarietà verso il proprio popolo e verso gli stranieri stanziati in Israele. La parabola raccontata da Gesù allarga i confini spazio-temporali della solidarietà e finisce per includere tutti gli uomini e tutti i popoli.
La solidarietà che si realizza verso "un uomo" che scendeva da una città per andare in un'altra ha dunque il volto di uno sconosciuto che si rapporta con un altro sconosciuto. Ma il samaritano che si attiva per soccorrere chi è nel bisogno ha per Gesù un volto ben preciso: l'immagine del Padre. Un volto che trascende l'immagine del nemico, dello straniero, del ricco o del povero.
Il brano di Luca ci parla della solidarietà non in termini generici, quali potrebbero rientrare nella filantropia. Il samaritano esegue azioni pratiche di solidarietà, di impegno per il bene del prossimo, di investimento di denaro per il prossimo. La parabola del buon samaritano è il paradigma esistenziale di chi incarna la solidarietà. Alla fine della parabola giunge quindi quanto mai forte per tutti l'invito "Va' e anche tu fa' così" (Lc 10,37 ).
All'interno del racconto vi è un ulteriore argomento di riflessione: "Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti"? (Lc 10,38 ). La risposta ci illumina anche sul fondamento morale della solidarietà: "Chi ha avuto compassione di lui". Cristo opera un rovesciamento: il prossimo è un samaritano ossia uno straniero, uno sconosciuto, uno che non si trova nel bisogno ma legge il bisogno dell'altro. Si fa soggetto della solidarietà pur non essendo oggetto dell'amore fraterno.
La moltiplicazione dei pani e dei pesci
Un altro episodio che può illuminarci sul principio di solidarietà testimoniato da Cristo è la moltiplicazione dei pani e dei pesci (Lc 9,12-17 ). Gli apostoli consigliano a Gesù di congedare la folla perché faccia ritorno a casa, in maniera che provveda a trovare cibo e alloggio. Il Signore però interviene dicendo: "Voi stessi date loro da mangiare" (Lc 9,13 ), invitando così i discepoli ad una prossimità che li coinvolge in prima persona. Cosa possono dare a questa folla di uomini e donne? Quello che hanno, purché condiviso con generosità. All'abbondanza penserà Lui.
Anche in questo episodio la solidarietà si configura come azioni concrete per il prossimo, investimento di energie e beni materiali.
Il brano di Luca testimonia anche altro: la solidarietà con ammette la cultura della delega ma chiama in prima persona.
Il giudizio universale
Un altro passo evangelico che ci permette di considerare nella pratica la solidarietà si trova in Mt 25,31-46 . C'è la descrizione di quello che accadrà "quando il Figlio dell'Uomo verrà nella gloria". Sono enumerate diverse azioni concrete: dare da mangiare, da bere, accogliere lo straniero, vestire chi è nudo, visitare chi è malato. Il Catechismo delle Chiesa cattolica le definisce, con la tradizione della Chiesa, le opere di misericordia corporale. Sono azioni concrete che il cristiano compie nell'espletare la solidarietà.
Ma la realtà che più sorprende nel brano di Matteo è che allo stupore di chi non ricorderà di aver mai fatto al Giudice divino tali azioni solidali viene risposto "tutto quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40 ). La solidarietà si realizza nel farsi prossimo di chi non è considerato, di chi non può rispondere con gesti concreti, di chi non sa come ricambiare. Ecco allora la gratuità del gesto, che lo rende ancora più significativo perché ha come ricompensa la salvezza.
Nel Magistero
Il principio di solidarietà è stato affermato dal Magistero fin dall'inizio della Dottrina Sociale della Chiesa, dal momento che esso è alla base della visione antropologica cristiana che trova il suo fondamento nella Rivelazione[2]. Attraverso i secoli il Magistero, quello pontificio in particolare, ha prodotto testi significativi per la comprensione e l'approfondimento di tale principio[3].
la Rerum Novarum
L'anno in cui il principio di solidarietà fa la sua apparizione in modo implicito è il 1891, nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Il termine non è presente perché il pontefice preferì piuttosto quello di fraternità, inteso come legame fraterno di tutte le componenti della società e tra gli uomini.
Nell'enciclica si definisce con gli aggettivi: "diffusa, lunga, organica, ed economica", e chiara appare la condanna di quei fenomeni sociali e culturali che impunemente violano la dignità dell'uomo.
L'enciclica indica come negative le estreme conseguenze del capitalismo: il mancato aiuto ai bisognosi, le ingiustizie riscontrate nel mondo del lavoro, la speculazione ai danni dei lavoratori, gli abusi a scopo di guadagno. Invita gli uomini a costruire associazioni e società di mutuo soccorso in nome della fraternità e della carità vicendevole.
Quadragesimo Anno
Quarant'anni dopo la Rerum Novarum, nel 1931, Pio XI pubblica l'enciclica Quadragesimo Anno.
Il contesto storico sociale ed economico è notevolmente cambiato. Dopo l'esperienza del primo conflitto mondiale i vari paesi cominciano una nuova fase di sviluppo che vede la concentrazione della ricchezza in fasce della popolazione ristrette ed il diffondersi di preoccupanti fenomeni di egoismo, predominio e cupidigia.
Gli aggettivi che nell'enciclica definiscono l'economia sono "orribilmente dura, inesorabile, crudele"[4]. Il Papa di fronte a queste difficoltà sostiene la necessità di un nuovo assetto proponendo la nascita di un ordine sociale fondato sulla solidarietà e capace di rispondere alle necessità di tutte le sue componenti.
Al centro di questa rinnovata visione della società c'è la persona, valorizzata nella sua individualità, al di là di ogni massificazione.
Nella Quadragesimo Anno il principio di solidarietà assume una dimensione sociale, economica e politica. La prima si evidenzia nelle organizzazioni corporative delle professioni che permettono al singolo di interagire nelle decisioni collettive. La dimensione economica e quella politica si manifestano invece nel contributo dato da tutti i soggetti della produzione alla ricchezza collettiva che deve poi regolare la giustizia sociale.
Summi Pontificatus
La prima enciclica di Pio XII, Summi Pontificatus (1939), presenta il concetto della pacifica convivenza nelle due accezioni fondamentali: la ferma condanna del ricorso alla violenza e l'invito alla costruzione di un mondo aperto alla fratellanza tra gli uomini ed i popoli.
Il papa si pronuncia anche contro i totalitarismi emergenti in quel delicato momento storico, e in particolare condanna l'ideologia della violenza e della guerra. Si legge infatti:
« | Fra i molteplici errori, che (..) rendono quasi impossibile, o almeno precaria e incerta, la pacifica convivenza dei popoli (..) è la dimenticanza di quella legge di umana solidarietà e carità, che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine e dall'uguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano.
La concezione che assegna allo stato un'autorità illimitata non è soltanto un errore pernicioso alla vita interna delle nazioni, alla loro prosperità e al maggiore e ordinato incremento del loro benessere, ma arreca altresì nocumento alle relazioni fra i popoli, perché rompe l'unità della società soprannazionale, toglie fondamento e valore al diritto delle genti, apre la via alla violazione dei diritti altrui e rende difficili l'intesa e la convivenza pacifiche. » |
Con Pio XII la solidarietà è definita dunque una legge di ordine morale naturale, normativa dei rapporti tra gli uomini e i popoli che si traduce in relazioni di reciproco aiuto, fiducia e collaborazione in ogni ambito della vita sociale e in forme istituzionali, in grado di disegnare un nuovo assetto giuridico, politico ed economico.
Mater et Magistra
Giovanni XXIII pubblica nel 1961 l'enciclica Mater et Magistra, che riprende ed amplifica il concetto di solidarietà, soprattutto in relazione ai problemi sociali. Affronta in particolare i problemi legati alla decolonizzazione e al sottosviluppo, e li confronta con il principio della libertà economica e con il valore della persona. L'enciclica pone l'accento sulla necessità del solidarismo internazionale, unica speranza alla pacifica relazione tra i popoli:
« | La solidarietà che lega tutti gli esseri umani e li fa membri di un'unica famiglia impone alle comunità politiche, che dispongono di mezzi di sussistenza ad esuberanza, il dovere di non restare indifferenti di fronte alle comunità politiche i cui membri si dibattono nelle difficoltà dell'indigenza, della miseria e della fame, e non godono dei diritti elementari di persona. Tanto più che, data la interdipendenza sempre maggiore tra i popoli, non è possibile che tra essi regni una pace duratura e feconda, quando sia troppo accentuato lo squilibrio nelle loro condizioni economico-sociali. » | |
(N. 144)
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Pacem in Terris
Due mesi prima della sua morte, l'11 aprile 1963, Giovanni XXIII pubblica la Pacem in Terris.
Torna ancora a parlare di solidarietà che, insieme alla verità, alla giustizia e alla libertà, è alla base di ogni edificazione della pace a livello universale.
La solidarietà implica lo sviluppo anche dei popoli svantaggiati economicamente, e collabora alla costituzione di organismi e comunità in grado di farsi carico di questo programma.
L'enciclica distingue tra la carità che agisce a livello interpersonale e guida le relazioni tra le persone, e la solidarietà che coinvolge le comunità politiche e orienta invece le relazioni ed i rapporti internazionali.
Il Magistero di Giovanni XXIII si inserisce all'interno di un contesto storico-sociale complesso dove i rapporti relazionali si sono amplificati e dove è dunque necessario un principio di solidarietà che faccia riferimento a strutture universali e a comunità mondiali.
Gaudium et Spes
Con la costituzione pastorale Gaudium et Spes, il Concilio Vaticano II mette la solidarietà al centro delle sue riflessioni.
I capovolgimenti di natura economica hanno aumentato il divario tra paesi ricchi e paesi poveri, ed il richiamo alla solidarietà da parte del Magistero si fa quanto mai urgente. È necessario
« | instaurare un ordine politico, sociale ed economico che sempre più e meglio serva l'uomo e aiuti i singoli e i gruppi ad affermare e sviluppare la propria dignità (..). Per la prima volta nella storia umana, tutti i popoli sono (..) persuasi che realmente i benefici della civiltà possono e devono estendersi a tutti. » | |
(N. 9.)
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Populorum Progressio
Paolo VI pubblica nel 1967 l'enciclica Populorum Progressio con la quale affronta il delicato rapporto tra il principio di solidarietà e lo sviluppo dei popoli. La Chiesa accoglie ed interpreta le relazioni esistenti tra lo sviluppo integrale dell'uomo e lo sviluppo solidale dell'umanità. In questo senso affronta anche il dramma del sottosviluppo:
« | Si tratta di un insegnamento di particolare gravità che esige un'applicazione urgente. I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d'angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello. » | |
(N. 3.)
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Nell'ottica di questa enciclica il principio di solidarietà è visto come un'esigenza di tutti gli uomini che si percepiscono debitori gli uni degli altri all'interno di un rapporto di interdipendenza.
Octogesima Adveniens
Paolo VI torna a trattare il tema della solidarietà nella lettera apostolica Octogesima Adveniens.
L'applicazione di tale principio diventa la soluzione radicale ai problemi contemporanei perché in grado di diventare responsabilità comune, partecipazione e impegno. Si legge infatti:
« | Molti cominciano a interrogarsi sul modello stesso di società. Nelle competizioni che le oppongono e le trascinano, l'ambizione di numerose nazioni è d'impadronirsi della potenza tecnologica, economica, militare; essa contrasta allora con l'assetto di strutture nelle quali il ritmo del progresso sia regolato in funzione di una più grande giustizia, invece di accentuare le disparità e di vivere in un clima di sfiducia e di lotta che compromette continuamente la pace. » | |
(N. 45)
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Da qui l'invito del papa:
« | Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un'azione effettiva. È troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzi tutto la conversione personale. » | |
(N. 48)
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Sollicitudo Rei Socialis
Giovanni Paolo II pubblica il 30 dicembre 1987 una nuova enciclica sul tema della solidarietà in occasione del XX anniversario della Populorum Progressio. È la Sollicitudo Rei Socialis, in cui è presente una definizione della solidarietà prevalentemente morale, che fa emergere il suo ruolo di virtù etico-sociale:
« | La solidarietà non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. » | |
(N. 38)
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A Giovanni Paolo II stava particolarmente a cuore il tema della solidarietà, tanto che ricorre spessissimo nel suo Magistero, legato ad altri temi come il lavoro, la gratuità, il perdono, la carità, la sussidiarietà, la famiglia.
Centesimus Annus
In occasione del centenario della Rerum Novarum, Giovanni Paolo II pubblica l'enciclica Centesimus Annus riprendendo e ampliando i concetti già espressi in precedenza dai papi.
In particolare mette in relazione la solidarietà con la sussidiarietà, che ne diventa complemento in quanto protegge la persona, le comunità e i corpi sociali dal pericolo di perdere la loro legittima autonomia.
La novità di quest'enciclica consiste nell'interpretare la solidarietà come l'impegno a creare le condizioni necessarie perché tutti i popoli possano accedere ai beni indispensabili, necessari a raggiungere la piena realizzazione. In quest'ottica la solidarietà si integra perfettamente con il principio di sussidiarietà poiché è mantenuta e tutelata l'autonomia dei singoli, la loro libertà d'iniziativa come pure quella dei popoli e degli stati. Si legge infatti:
« | Lo sviluppo, infine, non deve essere inteso in un modo esclusivamente economico, ma in senso integralmente umano. Non si tratta solo di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all'appello di Dio, in essa contenuto. » | |
(N. 29)
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L'enciclica richiama anche la famiglia al delicato compito della promozione della solidarietà:
« | Per superare la mentalità individualista, oggi diffusa, si richiede un concreto impegno di solidarietà e di carità, il quale inizia all'interno della famiglia col mutuo sostegno degli sposi e, poi, con la cura che le generazioni si prendono l'una dell'altra. In tal modo la famiglia si qualifica come comunità di lavoro e di solidarietà. » | |
(N. 49)
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Caritas in Veritate
Benedetto XVI pubblica nel 2009 l'enciclica Caritas in Veritate.
Al tema della fraternità e dei suoi rapporti con la società civile e lo sviluppo economico è dedicato il terzo capitolo:
« | La carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono. La gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell'esistenza. L'essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza. Talvolta l'uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società. » | |
(N. 34)
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Il dono dunque, espressione suprema della gratuità, diventa il fine ultimo dell'umana esistenza. Tale consapevolezza viene a ridefinire la politica, l'economia, la società. Non viene negata l'importanza dello stato in quanto tale e di leggi giuste che individuano le forme di distribuzione della ricchezza, ma si legge che c'è anche bisogno di
« | opere che rechino impresso lo spirito del dono (..) L'economia globalizzata sembra privilegiare la logica dello scambio contrattuale, ma direttamente o indirettamente dimostra di aver bisogno anche (..) della logica del dono senza contropartita. » | |
(N. 37)
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L'enciclica passa poi a delineare un modello di società più equa e solidale che veda la "famiglia umana" impegnata in un discernimento cui la fede cristiana può fornire le indispensabili basi etiche, evitando gli opposti atteggiamenti laicisti e fondamentalisti cui assistiamo di solito, in quanto
« | l'esclusione della religione dall'ambito pubblico come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l'incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell'umanità » | |
(N. 55-56)
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Questa "collaborazione feconda tra credenti e non credenti" è di fondamentale importanza per le relazioni tra gli uomini e i popoli. Essa porta ad una visione più ampia in cui "il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa" (N. 58).
Quando si passa a considerare la cooperazione allo sviluppo, l'enciclica chiama in causa i paesi sviluppati a non utilizzare gli aiuti per ribadire una loro presunta superiorità culturale e come uno strumento per "mantenere un popolo in uno stato di dipendenza e perfino favorire situazioni di dominio locale e di sfruttamento all'interno del Paese aiutato" (N. 58). La cooperazione internazionale deve quindi partire dalla solidarietà civile.
Benedetto XVI lega quindi ad un approccio umanitario e solidaristico i problemi del mondo presente: disoccupazione, fenomeni migratori, tutela del lavoro, povertà ed esclusione sociale. Per risolvere questi, afferma,
« | serve un nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l'interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l'integrazione avvenga nel segno della solidarietà piuttosto che della marginalizzazione. » | |
(N. 53)
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Note | |
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Voci correlate | |