Pacem in Terris
Pacem in Terris Lettera enciclica di Giovanni XXIII VIII di VIII di questo papa | |
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Data | 11 aprile 1963 (V di pontificato) |
Traduzione del titolo | Pace sulla terra |
Argomenti trattati | pace |
Enciclica precedente | Paenitentiam Agere |
Enciclica successiva | Ecclesiam Suam |
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Pacem in Terris (latino, "La pace in Terra") è il titolo dell'ultima enciclica di papa Giovanni XXIII, pubblicata l'11 aprile 1963, quando il Pontefice era già gravemente segnato dai sintomi della malattia che l'avrebbe portato meno di due mesi dopo alla morte.
Il Pontefice si rivolge a "tutti gli uomini di buona volontà", credenti e non credenti, perché la Chiesa deve guardare ad un mondo senza confini e senza "blocchi", e non appartiene né all'Occidente né all'Oriente. "Cerchino, tutte le nazioni, tutte le comunità politiche, il dialogo, il negoziato". Bisogna ricercare ciò che unisce, tralasciando ciò che divide.
Nella redazione dell'enciclica il Papa si avvalse dell'aiuto di Pietro Pavan, professore e poi rettore della Pontificia Università Lateranense[1].
Schema
Il documento si articola in un'introduzione e in cinque capitoli, i cui titoli sono i seguenti:
- I - L'ordine tra gli esseri umani
- II - Rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici all'interno delle singole comunità politiche
- III - Rapporti tra le comunità politiche
- IV - Rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale
- V - Richiami
Contenuto
La Pacem in Terris individua quattro punti cardine per orientare l'umanità sul cammino della pace:
- la centralità della persona inviolabile nei suoi diritti;
- l'universalismo del bene comune;
- il fondamento morale della politica;
- la forza della ragione e il faro della fede.
Tali affermazioni cardine sono sviluppate lungo tutto il documento, che può essere sintetizzato nella maniera seguente.
La nuova coscienza della dignità dell'uomo
Giovanni XXIII si rivolgeva non solo ai Vescovi e ai credenti di tutta la Chiesa nel mondo, bensì "a tutti gli uomini di buona volontà". E la pace viene definita come "anelito profondo degli esseri umani di tutti tempi e può essere instaurata e consolidata solo nel rispetto dell'ordine stabilito da Dio" (n. 1). Al centro di questa convivenza ordinata e feconda "va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona, cioè dotato di intelligenza e di volontà libera; e quindi soggetto di diritti e doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili" (n. 5).
Questa verità, attingibile dalla ragione, trova ulteriore conferma e approfondimento nella rivelazione, la quale ci attesta che gli uomini sono stati redenti dal sangue di Cristo e "sono diventati figli e amici di Dio" (n.5).
Con assoluta concretezza e aderenza alla realtà storica il Papa presenta i fondamentali diritti dell'uomo: dal diritto alla vita, all'integrità fisica, alla libertà religiosa, al diritto d'emigrazione e immigrazione, fino al diritto di partecipazione attiva alla vita pubblica e politica. Ma "nella convivenza umana ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere [..] e ogni diritto fondamentale della persona trae la sua forza morale insopprimibile dalla legge naturale che lo conferisce, e impone un rispettivo dovere" (n. 15). Solo il rispetto di tali diritti-doveri fonda una convivenza umana ordinata e pacifica, secondo un ordine morale oggettivo, che chiede di essere accettato da tutti, di essere vivificato dall’amore e realizzato nella libertà e nella responsabilità.
I segni dei tempi
Tre segni caratterizzano l'epoca moderna:
- "Anzitutto l'ascesa economica sociale delle classi lavoratrici" (n. 21). I lavoratori chiedono di essere trattati come persone sia nel mondo economico-sociale, sia nel mondo della cultura e della vita pubblica; e pertanto sono soggetti di diritti e non possono essere in balia dell'"altrui arbitrio".
- "L'ingresso della donna nella vita pubblica" (n. 22): in modo più accentuato nei popoli di civiltà cristiana, in modo più lento nei popoli di altre tradizioni o civiltà.
- Il processo di indipendenza dei popoli: "Tutti i popoli si sono costituiti o si stanno costituendo in comunità politiche indipendenti" (n. 23). Negli uomini di tutto il mondo va dissolvendosi "il complesso di inferiorità" di matrice plurisecolare e si attenua il "complesso di superiorità" derivante da ragioni economiche, dal sesso o da ragioni politiche (n. 24).
La concezione universalistica del bene comune
Nel nuovo contesto del mondo, il Papa riprende la dottrina classica cristiana dell'autorità come principio necessario alla convivenza sociale e come partecipazione all'autorità divina nell'ordinare le cose al raggiungimento del bene comune, che va inteso in una visione universalistica.
Il bene comune consiste "nell'insieme di quelle condizioni che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona"[2]. Concretamente nell'epoca moderna la base su cui costruire il bene comune è costituito dai diritti e dai doveri della persona.
La concezione morale della politica
"Un elemento fondamentale per l'attuazione del bene comune è "un ordinamento giuridico in armonia con l'ordine morale" (n. 43), il quale non regola solo i rapporti tra i singoli esseri umani, ma anche i rapporti tra le rispettive comunità politiche (n. 47) perché la pace può essere costruita solo attraverso la collaborazione internazionale.
Pertanto i rapporti tra le comunità politiche "vanno regolati nella verità" (n. 49). Non ci sono esseri umani superiori o inferiori per natura: "Tutti gli esseri umani sono uguali per dignità naturale" (n. 50). Gli stessi rapporti vanno regolati "secondo giustizia": "Non è lecito (alle comunità politiche) sviluppare se stesse comprimendo e opprimendo le altre" (n. 51). Di qui l'attenzione anche alle minoranze etniche. Ed infine i rapporti tra le comunità politiche vanno regolati "nella solidarietà" (n. 54) attraverso le molte forme di collaborazione economica, sociale, politica, culturale, sanitaria e sportiva.
Il Papa non usa il termine "globalizzazione", ma coglie i segni di una nuova era: quelli dell'interdipendenza tra gli Stati, tra le comunità politiche. L'economia, il progresso sociale, la sicurezza e la pace all'interno di ciascuna comunità politica sono in rapporto vitale con il mondo.
Il disarmo
Nel contesto del bene comune mondiale e del rapporto tra gli Stati, il Papa fa un'amara constatazione: che "gli armamenti si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull'equilibrio delle forze" (n. 59). Il Papa chiede l'arresto della corsa agli armamenti, e che si mettano al bando le armi nucleari al fine di pervenire ad un "disarmo integrato da controlli efficaci" (n. 60). Ma ciò è possibile solo se si procede "ad un disarmo integrale": il che significa smontare anche gli spiriti [..] dissolvendo in essi "la psicosi bellica"; e richiede che al criterio della pace, retto sull'equilibrio degli armamenti, si costituisca il principio che la vera pace è possibile soltanto nella vicendevole fiducia.
Il disarmo "è un obiettivo reclamato dalla ragione" (n. 62), "delicatissimo", dice il Papa, ma "della più alta utilità"; il testo riprende l'espressione drammatica di Pio XII: "Nulla è perduto con la pace; tutto può essere perduto con la guerra"[3].
Il dovere di partecipare alla vita pubblica
Il Papa richiama le condizioni per operare nella vita pubblica e per contribuire all'attuazione del bene comune: essere "scientificamente competenti, tecnicamente capaci e professionalmente esperti" (n. 77). "Ma si richiede nello stesso tempo che svolgano quelle attività nell'ambito dell'ordine morale" (n. 78).
Per i credenti è importante che "nelle loro attività temporali sia presente la fede come faro che illumina e la carità come forza che vivifica" (n. 79). Ma la pace è compito di tutti gli uomini di buona volontà che credono nella verità, nella giustizia, nell'amore e nella libertà (n. 87). I credenti poi non possono ignorare di essere "una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificatore nella massa " (n. 88).
Le reazioni all'enciclica
La Pacem in Terris è una delle encicliche più famose e conosciute di papa Giovanni XXIII. Essa suscitò una molteplicità di reazioni positive, anche fuori della Chiesa Cattolica.
- A Londra numerosi deputati anglicani presentarono una mozione di apprezzamento per l'opera di papa Giovanni.
- Il segretario della Nazioni Unite U Thant salutò la Pacem in Terris con una dichiarazione piena di entusiasmo: "L'ho letta con profondo senso di soddisfazione [..] Senza dubbio è rivolta non solo ai membri della Chiesa Cattolica, ma a tutti gli uomini [..] L'enciclica è certamente conforme alle concezioni e agli obiettivi delle Nazioni Unite". Due anni dopo, Thant portò l'enciclica all'ONU, promuovendone lo studio con un ciclo di conferenze a livello internazionale.
- La Tass, agenzia di notizie sovietiche, presentò la sintesi dell'enciclica, commentando soprattutto i passi dedicati al disarmo.
- Il dipartimento di Stato Americano emanò un comunicato a nome del governo USA: "Accogliamo con calore il commovente messaggio di papa Giovanni XXIII. La Pacem in Terris è un'enciclica storica di importanza mondiale [..] nessun paese più degli Stati Uniti potrebbe essere più recettivo del suo profondo richiamo". Kennedy si dichiaro "fiero" del documento e "pronto a trarne lezione". Il Washington Post scrisse: "Giovanni XXIII ha raccolto il voto dei popoli; cosicché la Pacem in Terris non è solo la voce di un anziano prete; né quella di un'antica chiesa, ma la voce della coscienza del mondo".
Igino Giordani, studioso della Dottrina sociale della Chiesa, prese atto che l'enciclica aveva avuto "giudizi quasi unanimi nella stampa di ogni paese e partito; la gente semplice vi ha colto la risposta e l'alternativa alla minaccia nucleare".
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Fonti | |
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