Severo di Antiochia
Severo di Antiochia Vescovo | |
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Età alla morte | circa 73 anni |
Nascita | Pisidia 465 ca. |
Morte | Egitto deserto egiziano 8 febbraio 538 |
Incarichi ricoperti | Patriarca di Antiochia |
Severo di Antiochia (Pisidia, 465 ca.; † Egitto deserto egiziano, 8 febbraio 538) è stato un vescovo bizantino. Si può considerare il maggiore degli autori che in materia di teologia religiosa si distinsero in epoca giustinianea. La letteratura che fiorisce in questo periodo è principalmente dogmatica, nel senso che nel campo teologico, considerata conclusa la prima fase, quella della Patristica, con le decisioni del Concilio di Calcedonia del 451, l'interesse maggiore è volto a definire il dogma nella sua essenza, in base a quanto raggiunto dalla teologia dei Padri.
Severo aderì al monofisismo, e fu in rapporto con i migliori intellettuali di questa parte. Per le contingenze politico-religiose dovette abbandonare più di una volta la capitale, data l'avversione politico-religiosa dell'imperatore Giustiniano I per il monofisismo. Tuttavia le sue furono posizioni possibilmente conciliatorie tra le due parti della cristianità orientale, adeguate ad una visione complessiva anteriore all'epoca dell'intransigenza giustinianea.
Biografia
Severo di Antiochia era di Sozopoli, città della Pisidia (nella parte sud-occidentale dell'attuale Turchia). Qui nacque nel 465 circa, in una famiglia potente, figlio di un senatore.
Severo compì i primi studi nella città d'origine. Poi, in previsione di una brillante carriera professionale laica, e non religiosa, si spostò in Alessandria, il maggior centro intellettuale dell'Oriente bizantino, dove frequentò la scuola di grammatica e retorica.
Ancora nel 486 si spostò a Beirut assieme all'amico e poi suo biografo personale, Zaccaria Scolastico.
Trasferitosi in Libano, intendeva iniziare ad esercitare la professione dell'avvocatura, ma una vocazione improvvisa lo distolse da quella carriera. Attratto dal Cristianesimo, si fece battezzare nel 499 a Tripoli (Libano), e si ritirò a meditare e pregare in un monastero monofisita in Palestina, a Maium (oggi Striscia di Gaza; da qui era sorta alla fine del secolo precedente una fiorente scuola letterario teologica: la scuola di Gaza).
In questo convento si isolò per un certo periodo dal mondo, dedicandosi esclusivamente all'ascesi spirituale, alla macerazione del corpo, separato dalle attività mondane.
Il ruolo assunto da Severo nel monachesimo orientale, le sue capacità e nell'agire politico e nell'organizzazione (aveva nel frattempo, anche da monaco, istituito a sue spese un nuovo monastero), e nell'elaborazione intellettuale, lo fecero scegliere nel 508 per essere inviato a Costantinopoli a guidare una delegazione di monaci palestinesi.
Nella capitale fu presentato ad Anastasio I di Bisanzio dal suo amico Probo, nipote dell'imperatore; Anastasio, sulle orme del predecessore Zenone manteneva una linea conciliatoria in campo religioso. Anastasio tenne Severo in particolare considerazione, facendone un suo consigliere, attratto dalle sue idee. Le posizioni di Severo in quel momento potevano convergere con quelle dell'imperatore, partendo egli dalla linea dell'Henoticon di Zenone, opera composta vent'anni prima per appianare i contrasti religiosi. Quelle posizioni avrebbero potuto costituire una via di soluzione accettabile per tutti, calcedoniani e monofisiti, riconciliando quelle due parti della cristianità orientale.
Nel 511 Severo lasciò la capitale, ma non per tornare alla vita monastica: nel 512 infatti, in grazia della stima acquistata presso la corte, venne eletto patriarca di Antiochia. In quel momento iniziò a porre per iscritto le sue elaborazioni concettuali.
Con la morte dell'imperatore monofisita Anastasio (518), Severo fu scomunicato nel Concilio di Costantinopoli (518), condanna ribadita nel Concilio di Costantinopoli (533). Fu costretto ad abbandonare la sua sede vescovile e con essa Antiochia, ma trovò ancora ospitalità presso un altro grande vescovo monofisita, Timoteo III di Alessandria (vescovo dal 517 al 535). L'Egitto era una sorta di terra franca per i monofisiti, avendo qui Giustiniano rinunciato all'applicazione della sua politica di autoritaria imposizione del dogma calcedoniano; tanto che dopo Timoteo venne eletto, anche con l'aiuto dell'imperatrice Teodora (pure ella monofisita), un altro vescovo di questa corrente, Teodosio I (vescovo dal 535 al 537).
Ad Alessandria d'Egitto per circa dieci anni Severo si dedicò alla teologia, riscuotendo grande successo nelle regioni orientali, Siria ed Egitto, che venivano a trovarsi in contrapposizione all'assolutismo costantinopolitano.
La figura di Severo fu una delle principali della parte monofisita dell'Impero e non solo di questa, il suo valore intellettuale procedendo oltre i confini delle parti. Ebbe doti di abile politico, di grande pensatore, fu un capacissimo polemista, tanto da essere riconosciuto come rappresentante principale del monofisismo contro il dogmatismo calcedoniano.
La sua teoria è ben espressa nella serie delle molte sue opere.
Sotto Giustiniano la tendenza ortodossa dominante parve aprire qualche spiraglio, grazie anche alla mediazione dell'imperatrice Teodora verso la parte monofisita. Severo poté rientrare a Costantinopoli, tra il 531 e il 536, dove godette della protezione diretta di Teodora, già conquistata alla causa monofisita da Timoteo III di Alessandria. In grazia di queste mutate condizioni riebbe la cattedra vescovile toltagli da Giustino.
Fu una convivenza strana, tra l'asceta e la corte sfarzosa e corrotta, con implicazioni anche nel campo culturale, e nell'iconografia artistica (si può in proposito ricordare come Severo, nei suoi testi, critichi - partendo dalla visione del monachesimo palestinese - l'uso di vestire angeli e santi da regnanti terreni, e per contro all'estrema ricchezza degli abiti di queste figure nei mosaici giustinianei).
Mutate ancora una volta le condizioni, venne di nuovo esiliato a causa di una reimposizione dell'ortodossia intransigente pretesa da Roma, quando il sinodo costantinopolitano del 536, diretto dal vescovo-pontefice di Roma Agapito, riaprì il conflitto antimonofisita. Severo ancora una volta, e con lui gli altri vescovi monofisiti, venne ri-deposto dalla cattedra, e si trasferì nell'Egitto monofisita. Qui visse integro nelle sue convinzioni e ora separato ideologicamente anche dall'altro vescovo monofisita esule in quella terra, Giuliano di Alicarnasso. Severo infatti trascorse i suoi ultimi anni ritirato ancora una volta dal mondo, in eremitaggio, sino al 538, anno della sua morte, avvenuta l'9 febbraio.
Il monofisismo di Severo
La teologia di Severo corrisponde all'elaborazione del monofisismo storico, una corrente intermedia, di conciliazione, sopravvissuta come religione indipendente dall'ortodossia orientale sino ad oggi con il cristianesimo giacobita. Questo deve il nome a Giacomo Baradeo, altro personaggio strettamente legato all'opera di Severo, tramite Teodosio di Alessandria, il vescovo seguace di Severo che lo aveva nominato vescovo di Edessa (542).
Si tratta di una forma intermedia di eresia, eventualmente riconciliabile con l'ortodossia dove si trovi concordia su alcuni punti. Si trova infatti a metà strada fra l'intransigenza calcedoniana e l'estremismo degli eredi di Eutiche, da Severo stesso considerato eretico. Si tratta di una "via di mezzo": il monofisismo severiano in pratica limita al minimo, non esclude, il contenuto umano del Cristo. In momenti di non così alto conflitto religioso, l'opera di Severo avrebbe potuto essere accolta anche da altre correnti che nella contingenza storica gli si trovarono avverse.
Dal punto di vista filosofico, nell'opera di Severo si può vedere la reintroduzione nel cristianesimo del misticismo neoplatonico, proveniente da Pseudo-Dionigi l'Areopagita. Di questo autore Severo fu uno dei primi conoscitori e ne favorì la trasmissione, a partire dal secolo successivo, alla mistica di entrambe le parti del cristianesimo, sia quello occidentale che quello orientale.
La teoria e le opere
Severo può essere considerato autore greco, a pieno titolo inserito nella letteratura bizantina, per il fatto che scrive in greco, benché nella sua opera siano tradotti contenuti tipici del monachesimo palestinese. In lingua originale nulla ci è pervenuto per intero.
Opere liturgiche
Severo nella sua attività di vescovo compone una serie di opere relative alla liturgia.
Sono tra queste le centoventicinque Omelie relative alle festività, celebrazioni di santi ed altre, conservate nella versione siriaca, non in quella originale greca. Risalgono al periodo in cui fu patriarca, dal 512 al 518.
Compose poi vari inni, alcuni dei quali tuttora in uso nell'Octoekos greco ortodosso
Opere teologico-dogmatiche
Autore di una vasta opera teologico letteraria in greco, dei testi originari sono pervenuti ad oggi solo vari frammenti, non opere intere; occorre pertanto ricorrere alle traduzioni in siriaco.
Opera principale è il Contro il falso grammatico, composto per confutare Giovanni di Cesarea, il grammatico che aveva nella sua Apologia esposto il dogma calcedoniano nella sua definizione ultima, quella neocalcedoniana. Qui Severo elabora la sua teologia, rifiutando il Tomo di Leone e la doppia natura di Cristo sancita a Calcedonia. Bollato questo atteggiamento come nestoriano, riprende Cirillo di Alessandria per arrivare alla definizione dell'unità della natura del Cristo, come perfezione di umanità e divinità; la distinzione tra queste due essenze è per lui soltanto logica, non essenziale. L'elemento unificatore (quindi di stretta osservanza monofisita) è quello del monoergetismo, per il quale l'Incarnazione operava - relativamente alla natura divina e a quella umana - un'unica ipostasi, la quale corrispondeva - in questi termini - all'unica natura del Cristo postulata dal monofisismo.
Ad avvalorare queste elaborate tesi sono oltre mille citazioni dei padri su cui basa puntualmente ogni sua asserzione.
Altra opera è il Philalethes, basato su un particolareggiatissimo esame critico dell'opera di Cirillo.
Compone quindi come polemista una serie di testi che confutano Giuliano di Alicarnasso, qui attaccando la tendenza monofisita dei Giulianisti, da Giuliano di Alicarnasso, o Gaianisti, dal vescovo Gaiano di Alessandria, detti aftartodoceti per essersi posti sul versante dell'incorruttibilità del Verbo Incarnato. Lo scontro pertanto avveniva su due fronti, e dalla parte monofisita era con questa parte, che chiamava a sua volta i seguaci di Severo corrutticoli o fartatolatri per aver riportato, secondo loro, la natura umana del Cristo in mentite spoglie nel monofisismo.
Riferimento a tutte le sue opere è l'Epistolario, con quattromila lettere in ventitré libri.
Predecessore: | Patriarca di Antiochia | Successore: | |
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Flaviano II | 512–518 | Paolo di Giudea |
Predecessore: | Patriarca siriano ortodosso di Antiochia | Successore: | |
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Flaviano II | 512–538 | Sergio di Tella |
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