Ultima Cena (Tintoretto)
Tintoretto, Ultima Cena (1592 - 1594), olio su tela | |
Ultima Cena | |
Opera d'Arte | |
Stato | |
Regione | Veneto |
Regione ecclesiastica | Triveneto |
Provincia | Venezia |
Comune | |
Diocesi | Venezia |
Ubicazione specifica | Basilica di San Giorgio Maggiore, presbiterio |
Uso liturgico | quotidiano |
Comune di provenienza | Venezia |
Luogo di provenienza | ubicazione originaria |
Oggetto | dipinto |
Soggetto | Ultima Cena |
Datazione | 1592 - 1594 |
Autore |
Tintoretto (Jacopo Robusti) |
Materia e tecnica | olio su tela |
Misure | h. 365 cm; l. 568 cm |
|
L'Ultima Cena è un dipinto, realizzato tra il 1592 ed il 1594, ad olio su tela, da Jacopo Robusti, detto Tintoretto (1518 - 1594), collocato nel presbiterio della Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia.
Descrizione
Soggetto
La scena dell'Ultima Cena è ambientata in un osteria veneziana del XVI secolo, parzialmente rischiarata dalla luce che proviene dalla lampada ad olio (in alto a sinistra) appesa al soffitto, dove compaiono intorno ad una tavola imbandita:
- Gesù Cristo, in piedi, rischiarato dalla luce dell'aureola, distribuisce la comunione agli Apostoli secondo la prescrizione tridentina dell'unica specie, e dunque trionfo del pane e delle caraffe vuote.
- Giuda Iscariota, l'unico senza aureola, grifagno, malvestito e imberrettato, è relegato in solitudine dal lato lontano della tavola, ed è qualificato come eretico, oltre che traditore, dal momento che chiede le due specie, in modo esplicito, aprendo il pollice e l'indice.
- Apostoli si comunicano l'un l'altro la propria sorpresa, creando un movimento in cui risuona la rivelazione dell'evento mistico.
- Due donne, alle spalle degli Apostoli, sembrano servire a tavola anche se in effetti non hanno nulla da offrire: queste sono figure allegoriche della chiesa degli Ebrei e della chiesa dei Gentili che si pongono "al servizio" della nuova Chiesa cristiana.
- Angeli, che prendono forma grazie al fumo che proviene dalla lampada, osservano la scena dall'alto, aleggiando sospesi tra il mondo terreno e l'ineffabile mondo celeste.
- Servi e locandieri affaccendati in attività varie, tra i quali si notano:
- Due inservienti, in fondo a destra, stanno togliendo un paiolo dal focolare;
- Garzona, inginocchiata, s'affanna intorno ad una cesta di stoviglie e porge all'oste un'alzata con bianchi "confetti",[1] ma che in realtà è ricolma di manna che, per la tradizione cristiana, rappresenta un precedente veterotestamentario della comunione, quale cibo della Provvidenza che si manifesta per salvare la vita e l'anima di chi ha fede;
- Oste, visto di spalle, mostra la splendida frutta sul tavolo di servizio;
- Mendicante, in basso a sinistra, appena sopraggiunto, chiede l'elemosina, ma viene trattenuto da un apostolo che interpellato è pronto a spiegare con i gesti che non è questo il momento: la carità materiale cede il passo a quella spirituale.
Inoltre, nella scena sono presenti alcuni dettagli, resi con grande cura, spesso di valore simbolico, come:
- Bacile, telo e spugna rimandano alla lavanda dei piedi;
- Pisside, secchiello e aspersorio, sul piccolo tavolino di servizio, che rimandano alla celebrazione della Messa;
- Cane attende un avanzo della tavola;
- Gatto sta curiosando nella cesta con i piatti, forse alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche
- In questa opera, Tintoretto sperimenta una prospettiva molto ardita dello spazio interno in cui è collocata la scena. Invece di rappresentare la mensa in posizione frontale, la colloca trasversalmente in posizione di scorcio. In tal modo apre lo sguardo dell'osservatore sul resto del cenacolo, in cui si vedono inservienti affaccendati in attività varie, come doveva di solito avvenire in una taverna veneziana del Cinquecento. L'attualizzazione temporale finisce per coinvolgere lo spettatore in una scena che gli risulta sicuramente più familiare, e quindi più coinvolgente.
- L'ambiente è dominato dall'oscurità, che viene parzialmente rischiarata da due fonti di luce: la lampada posta in alto che così direzionata, crea effetti molto realistici, dando alla maggior parte delle figure una illuminazione in controluce; l'aureola di Gesù, che non è un semplice nimbo quanto piuttosto una fonte luminosa autonoma e fortissima che, contrastando con la penombra circostante, conferisce alla figura di Cristo un rilievo divino. Ma ciò che risulta ancora più suggestivo è il fumo che proviene dalla lampada e che dà forma ad una serie di angeli. Questa insolita soluzione crea una sensazione inedita, quella cioè di una stanza chiusa, ma animata da presenze invisibili, che si nascondono nella penombra e nel fumo che si spande nel cenacolo.
Notizie storico-critiche
Il dipinto è l'ultima opera di Tintoretto collocata sul presbiterio della Basilica di San Giorgio Maggiore alla quale aveva finito di lavorare nel 1594, anno della sua morte.
Note | |
Bibliografia | |
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Voci correlate | |
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