Abito ecclesiastico

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Mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma; l'abito ecclesiastico ordinario dei vescovi è la veste talare filettata in violaceo con la fascia dello stesso colore violaceo
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I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali.
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L'Abito Ecclesiastico è il vestito portato ordinariamente dal clero secolare e regolare, da distinguere dalle vesti liturgiche che i ministri del culto indossano durante le sacre celebrazioni[1].

Consisteva concretamente nella veste talare o nell'abito religioso lungo fino al Concilio Vaticano II; tali abiti possono oggi essere legittimamente sostituiti dal clergyman.

Storia

Nei primi secoli del cristianesimo l'abito ecclesiastico non si distingueva in nulla dal vestito dei laici.

Quando, a partire dal V secolo, cominciarono a diventare di moda per i laici gli abiti corti, introdotti dai barbari, vari concili locali li proibirono agli ecclesiastici e prescrissero che questi portassero sempre vestiti lunghi, chiusi, senza ornamenti superflui, di colore piuttosto scuro:

(LA) (IT)
« Humilitatem, quam corde gestant, (..) habitu demonstrent. » « Dimostrino nell'abito (..) l'umiltà che hanno nel cuore»

Per trovare delle norme universali bisogna aspettare il IV Concilio Lateranense (1215) e il Concilio di Vienne (1312), che vietarono ai chierici alcune forme e colori di abiti[3].

Il colore nero, importato dai Benedettini, non divenne obbligatorio che nel XV secolo, e soprattutto nel XVI, sotto l'influenza di San Carlo Borromeo e del Concilio di Trento. Quest'ultimo[4] comminò pene contro i chierici che non portasser l'abito appropriato, rimettendo agli Ordinari e alle consuetudini ulteriori determinazioni.

Papa Sisto V, con la costituzione Cum Sacrosantam (9 gennaio 1859), prescrisse per tutti i chierici l'abito talare o sottana[5], anche se leggi particolari e consuetudini locali hanno in molte regioni determinato forme diverse. L'abito talare è nero per i presbiteri, violaceo per i vescovi, rosso per i cardinali[6], bianco per il Papa.

Le norme canoniche

Nel Codice Pio-Benedettino

Il codice pio-benedettino imponeva ai chierici di indossare sempre un conveniente abito ecclesiastico, dalla foggia stabilita dalle leggi o consuetudini locali[7], con l'obbligo però di indossare l'abito talare per la celebrazione della Messa[8].

Ai religiosi lo stesso Codice imponeva di indossare l'abito proprio dell'istituto, salvo autorizzazione del superiore[9].

Inoltre vietava a chiunque altro, compresi i chierici ridotti allo stato laicale e i religiosi esclaustrati o secolarizzati, di indossare l'abito ecclesiastico o religioso[10].

Venivano prescritte gravi sanzioni canoniche per i chierici che non indossassero l'abito ecclesiastico[11].

In base all'articolo 29 i dei Patti Lateranensi, l'art. 498 del Codice Penale italiano, puniva con la multa da lire 1.000 a 10.000[12] chiunque indossasse abusivamente in pubblico l'abito ecclesiastico.

Nel nuovo Codice

Il Codice di Diritto Canonico del 1983 si limita a prescrivere ai chierici l'uso di un abito ecclesiastico decoroso, e lascia alle Conferenze Episcopali e alla legittima consuetudine la determinazione dello stesso[13].

Indicazioni recenti

I pontefici da Paolo VI in poi hanno sempre ribadito l'uso dell'abito ecclesiastico e ne hanno esplicitato le motivazioni.

Così si esprimeva papa Giovanni Paolo II nel 1982:

« La cura dell'amata diocesi di Roma pone al mio animo numerosi problemi, tra i quali appare meritevole di considerazione, per le conseguenze pastorali da esso derivanti, quello relativo alla disciplina dell'abito ecclesiastico. Più volte negli incontri con i sacerdoti ho espresso il mio pensiero al riguardo, rilevando il valore ed il significato di tale segno distintivo, non solo perché esso contribuisce al decoro del sacerdote nel suo comportamento esterno o nell'esercizio del suo ministero, ma soprattutto perché evidenzia in seno alla Comunità ecclesiastica la pubblica testimonianza che ogni sacerdote è tenuto a dare della propria identità e speciale appartenenza a Dio. E poiché questo segno esprime concretamente il nostro "non essere del mondo" (cf. Gv 17,14 ), nella preghiera composta per il Giovedì Santo di quest'anno, alludendo all'abito ecclesiastico, mi rivolgevo al Signore con questa invocazione: "Fa' che non rattristiamo il tuo Spirito... con ciò che si manifesta come una volontà di nascondere il proprio sacerdozio davanti agli uomini e di evitarne ogni segno esterno. »

Il Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri (31 gennaio 1994) della Congregazione per il Clero così spiega il significato dell'abito ecclesiastico:

« In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero - uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri - sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l'abito che porta, come segno inequivocabile della sua dedizione e della sua identità di detentore di un ministero pubblico. Il presbitero dev'essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo,la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa»
(n. 66)
Note
  1. Pio Cipriotti (1948) 92.
  2. Cfr. anche Concilio Germanico, 742, can. 7.
  3. Il Corpus Iuris Canonici (c. 15, X, III,1; c. 2, III, 1, in Clem.) ne riproduce le prescrizioni.
  4. Sess. XIV, de ref., c. 6.
  5. Il nome "sottana" viene dal fatto che essa è indossata sotto i paramenti sacri.
  6. Introdotto da papa Paolo II, † 1471.
  7. Can. 136.
  8. Can. 811, § 1.
  9. Can. 596.
  10. Cann. 492, § 3; 683; 213, § 1; 639-640.
  11. Cann. 136, § 3; 188, 7; 2379.
  12. Nel 1948 la somma era da moltiplicare per otto; cfr. Pio Cipriotti (1948) 94.
  13. Can. 284.
Bibliografia
Voci correlate