Concordato di Vienna
Il Concordato di Vienna o Concordato germanico (lingua latina concordata Germaniae) del 17 febbraio 1448, stipulato tra papa Nicolò V, rappresentato a Vienna dal cardinale legato Juan de Carvajal, e l'imperatore Federico III d'Asburgo, fu confermato dal pontefice il 19 marzo seguente, in sostituzione del concordato di Worms che aveva regolato sino ad allora la nomina dei vescovi e l'investitura temporale dei benefici ecclesiastici. Il concordato viennese, nelle sue quattro parti,[1] regolò i rapporti tra la Santa Sede e il Sacro Romano Impero, sino alla dissoluzione di quest'ultimo.
Con questo nuovo concordato vennero abrogati i decreti del Concilio di Basilea contrari alle prerogative papali nel Sacro Romano Impero. Il successo della politica pontificia fu confermato con l'incoronazione di Federico III d'Asburgo a Roma il 16 marzo 1452, avvenuta mentre l'imperatore si trovava in Italia, per sposare a Siena Eleonora del Portogallo.
Disposizioni
- Parte I
Il Papa riceveva l'esclusiva nell'assegnazione dei benefici ecclesiastici e delle altre prebende divenute vacanti in curia (apud sedem apostolicam vacans) nella misura descritta dal Liber Sextus di Bonifacio VIII del 1298 e secondo le disposizioni delle due costituzioni Execrabilis del 17 novembre 1317 di Giovanni XXII[2] e Ad regimen del 15 gennaio 1335 di Benedetto XII.[3] Il numero degli ufficiali curiali doveva mantenersi nei limiti previsti dal concordato del concilio di Costanza. Con ciò venivano revocate le riservazioni per tutte le sedi patriarcali, arcivescovili e vescovili sancite da Urbano V negli anni 1362-1370, assieme al decreto del concilio di Basilea De reservationibus del 1436 che annullava le disposizioni delle costituzioni Ad regimen e Execrabilis.
- Parte II
Il Papa conservava per sé l'occupazione di tutte le cariche derivanti dalla dignità episcopale nelle chiese cattedrali e le cariche più distinte nelle collegiate, che da Clemente VI erano ritenute riservate.
Era compito dei capitoli del duomo nominare, tramite elezione, i successori nelle arcidiocesi e diocesi non direttamente soggetti alla Sede apostolica. Lo stesso diritto di nomina dei superiori lo avevano i capitoli dei conventi esenti, cioè direttamente soggetti alla Sede apostolica. Di volta in volta la nomina doveva essere comunicata al Papa entro i termini previsti dalla costituzione Cupientes (Liber Sextus 1.6.16), il quale la confermava, se era avvenuta secondo le norme, altrimenti il Papa in concistoro poteva nominare un proprio candidato. Nei conventi maschili non esenti gli eletti potevano scegliere liberamente se fare approvare o meno l'elezione dalla Santa Sede. Nei conventi femminili le nomine erano di competenza dell'ordinario; se erano esenti, il Papa poteva intervenire nominando in loco un giudice delegato (Commissio in partibus).
- Parte III
Il Papa e gli altri enti ai quali per tradizione competeva il conferimento delle altre dignità e benefici, cioè i collatori ordinari (vescovi, capitoli dei duomo o delle collegiate, abati e conventi), si dividevano il frutto dei benefici vacanti.
Con il concordato, il pontefice disponeva dei benefici divenuti vacanti, normalmente alla morte del detentore, nei mesi dispari (a partire dal mese di gennaio), mentre il collatore ordinario ne disponeva, ancorché la vacanza era avvenuta, nei mesi pari. Come per le riservazioni apud sedem apostolicam vacans, il conferimento di una prebenda scaduta in un mese dispari rimaneva a disposizione della Santa Sede per tre mesi; se durante questo periodo nessun provisus si annunciava al collatore ordinario, la Santa Sede poteva disporre del beneficio.[4]
- Parte IV
Le provvigioni papali comportavano per le chiese cattedrali e i conventi maschili il Servitium commune secondo le disposizioni della Camera apostolica. Se l'importo risultava eccessivo, allora andava effettuata una nuova stima; parimenti per le prebende in zone lacerate dalla guerra. Nei primi due anni del proprio ufficio, il vescovo o l'abate poteva versare alla Camera apostolica la metà del "Servitium". Se nel corso dello stesso anno si registravano due o più vacanze, il Servitium era dovuto una sola volta. Contrariamente a quanto avveniva prima, il successore non rispondeva più degli eventuali debiti del predecessore. Per le prebende minori (canonicati, parrocchie, vicariati, cappellanie, etc.), ancorché ottenute per provvigione papale, il detentore doveva pagare il contributo entro l'anno in cui le aveva assunte. Da questa regola erano esclusi i benefici con reddito annuale inferiore a 24 fiorini da camera e quelli ottenuti per scambio o per un'aspettativa papale. Solo un futuro concordato poteva modificare le nuove disposizioni.
Infine, i decreti del concilio di Basilea ritenuti nell'accettazione di Magonza dovevano conservare la loro validità conformemente alla promessa di Eugenio IV ai Principi germanici del 7 febbraio 1447, sempreché non fossero entrati esplicitamente in contraddizione con il Concordato viennese.
Note | |
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