Juan Donoso Cortés

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Juan Francesco Maria de la Salud Donoso Cortés
Laico
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battezzato
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Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 43 anni
Nascita Don Benito
6 maggio 1809
Morte Parigi
3 marzo 1853
Sepoltura
Conversione
Appartenenza
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Collegamenti esterni
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Ditemi, se foste pittore e voleste dipingere il modello di un re, chi mai scegliereste se non Pio IX? Signori, Pio IX volle essere, come il suo divin maestro, magnifico e liberale; tese la mano agli esuli e li rese alla loro patria; ai riformisti dette riforme, ai liberali la libertà; ogni sua parola fu un beneficio.
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(dal Discurso sobre la dictadura, 4 gennaio 1849)

Juan Francesco Maria de la Salud Donoso Cortés, primo marchese di Valdegamas (Don Benito, 6 maggio 1809; † Parigi, 3 marzo 1853), è stato uno scrittore, politico e testimone della fede spagnolo, noto per aver abbandonato le idee liberali, sostenute in gioventù, avendo scoperto gli errori sia di quelle dottrine sia di quelle socialiste, e per aver quindi difeso la verità cattolica.

Biografia

Primi anni

Figlio maggiore di Pedro Donoso Cortés, un avvocato e proprietario terriero di Estremadura, studiò inizialmente con un maestro privato, prima di entrare molto giovane alla facoltà di filosofia di Salamanca, quindi al collegio di San Pedro, a Cáceres; Juan si rivelò particolarmente dotato in logica ed in metafisica.

Nell'ottobre 1823 ritornò all'Università di Siviglia, e lì conobbe Nicomedes Pastor Diaz; l'incontro gli aprì la strada per diventare giornalista e uomo politico. Terminò i suoi studi all'età di diciannove anni; troppo giovane per essere avvocato, si dedicò all'insegnamento ed ottenne, nell'autunno del 1828, su segnalazione dello scrittore Manuel Quintana, la cattedra di filosofia dell'Università di Cáceres. Fu in quella città che conobbe Teresa Carrasco, che sposò poi nel 1830.

Lo stesso anno partì per Madrid, dove lavorò con suo padre come avvocato. Le sue poesie erano apprezzate, ma si fece conoscere soprattutto per la Memoria sulla situazione attuale della monarchia che, indirizzata al re Ferdinando VII di Spagna, gli permise di ottenere un posto come segretario del ministero della giustizia. La Memoria è un testo d'orientamento liberale, nel quale l'autore difese i diritti di Ferdinando VII di occupare il trono contro l'oppositore Carlo Maria Isidro di Borbone. Alla morte del re, poi, si schierò dalla parte della regina Isabella II e di sua madre Maria Cristina di Borbone.

Va notato che, in effetti, "egli, al tempo degli studi universitari a Salamanca e a Siviglia, aveva maturato idee di stampo liberale e progressista, leggendo le opere di John Locke, Étienne Bonnot de Condillac, Jean-Jacques Rousseau e Voltaire"[1]

Giornalista e uomo politico

Nel 1834 scrisse le Considerazioni sulla diplomazia e la sua influenza sulla situazione politica e sociale dell'Europa, dalla Rivoluzione di luglio al trattato della Quadrupla alleanza. Vi espose la sua ammirazione per la Costituzione spagnola del 1812, e si mostrò favorevole ad un governo "in nome dell'intelligenza". Ovviamente ispirato dalla lettura di alcuni dottrinari francesi come Pierre Paul Royer-Collard, fondò il principio della legittimità del sovrano non sulla sua elezione da parte del popolo, ma sulla conformità dei suoi atti con la giustizia.

La sua unica figlia e sua moglie morirono in successione durante l'estate del 1835. A novembre dello stesso anno partecipò alla creazione dell'Ateneo di Madrid con Salustiano Olózaga e Ángel de Saavedra. Eletto deputato dalla circoscrizione di Cadice nel 1837, fu nominato segretario del Consiglio dei ministri presieduto da Juan Álvarez Mendizábal; tuttavia, cadendo in disaccordo con quest'ultimo, si dimise poco tempo dopo.

In questa occasione, iniziò a rivedere alcuni giudizi storici, soprattutto verso la Rivoluzione francese e quindi anche verso i controrivoluzionari, come anche la sua posizione nei confronti del Carlismo. Per diffondere le sue idee fondò il giornale El Porvenir ("Il Futuro"), pur contribuendo, tra l'altro, a El Piloto ("Il Pilota"), alla Revista de Madrid ed al Correo Nacional. Dal 1836-1837 tenne corsi di diritto pubblico all'Ateneo di Madrid, corsi che suscitarono numerose reazioni, spesso polemiche.

Nel 1840, quando Baldomero Espartero prese il potere, dovette lasciare la Spagna: accompagnò Maria Cristina nel suo esilio in Francia, e redisse i vari manifesti che indirizzò agli spagnoli. Nel 1843, quando Espartero venne deposto da Narváez, Donoso Cortés ritornò in Spagna, e Maria Cristina gli affidò l'istruzione di sua figlia, la regina Isabella II.

Svolse un ruolo importante nella redazione della costituzione del 1845. In occasione del matrimonio di Isabella II prese posizione tra i due pretendenti, Francesco d'Assis] e il carlista Antonio d'Orléans, in favore del primo. Venne nominato in questa occasione Gran Croce della Legione d'Onore da parte di Luigi Filippo di Francia.

Si interessò ai mistici cattolici, in particolare a Santa Teresa d'Avila e a Fray Luis de Granada. Nel 1848 entrò alla Real Academia Española, e pronunciò in quell'occasione il suo Discorso sulla Bibbia.

La difesa del cattolicesimo

Nel 1848 venne nominato ambasciatore presso la Prussia, a Berlino; a causa delle riflessioni suscitategli dalla morte del fratello, carlista, e dalla rivoluzione del febbraio 1848 in Francia, Donoso Cortés proseguì nel suoi ripensamenti, che sfociarono nel discorso tenuto nel 1849 in difesa di Ramón María Narvaez, chiamato Discurso sobre la Dictadura ("Discorso sopra la Dittatura"). Fu in questo momento che il suo liberalismo si avvicinò al tradizionalismo dei filosofi Joseph de Maistre e Louis de Bonald.

Anche in seguito alle sue "esperienze politiche (le rivoluzioni divampate in tutta Europa, eventi di cui egli poté valutare di persona gli effetti in qualità di ministro plenipotenziario della Spagna a Berlino), si convinse dell'erroneità delle dottrine moderne e dell'unica e piena verità del cattolicesimo"[2].

Nel 1851 andò ambasciatore a Parigi, dove diventò intimo di Napoleone III di Francia, di cui fu testimone di nozze con la cattolica Eugenia Maria de Montijo, contessa di Teba. Nello stesso anno pubblicò una delle sue più importanti opere, l'Ensayo sobre el catolicismo, el liberalismo y el socialismo ("Saggio sul cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo"), pubblicato in francese e in spagnolo, che venne abbondantemente commentato nella stampa europea; alcuni cattolici attaccarono il lavoro, cosa che indusse Louis Veuillot a prenderne la difesa nel suo giornale L'Univers, così come fece anche papa Pio IX in una lettera personale[3].

Successivamente, Cortés mise senza successo la sua autorità intellettuale al servizio della riconciliazione tra i carlisti di Carlo e Isabella II che si contendevano il trono di Spagna.

Nel 1852 fu incaricato dal cardinale Raffaele Fornari di vagliare la possibile pubblicazione di una condanna degli errori del loro tempo; a tale richiesta rispose con un'importante lettera intitolata, appunto, condanna degli errori del nostro tempo[4], utilizzata successivamente da papa Pio IX per la pubblicazione del Sillabo.

Nominato ambasciatore di Spagna a Parigi, vi morì il 3 marzo 1853; sul suo corpo venne trovato un cilicio.

Fu sepolto a Madrid.

Opere e lettere

  • Saggio sul cattolicesimo, sul liberalismo e sul socialismo
  • Memorie dell'attuale situazione della monarchia
  • Considerazioni sulla diplomazia e la sua influenza sulla situazione politica e sociale dell'Europa
  • Lettere al Conte di Montalembert
  • Discorso sulla Dittatura
  • Discorso sull'Europa
  • Discorso sulla Bibbia
  • Lettera a Blanche-Raffin
  • Lettera a Veuillot
  • Lettera al Cardinal Fornari
  • Lettera al Duca di Valmy
  • Lettera alla Regina Maria Cristina
  • Risposta al signor De Broglie
  • Lettera al Conte Raczynski

Citazioni

« La storia, questo chiaro specchio dove Dio osserva fuori le sue intenzioni. »
« Un soldato è uno schiavo in uniforme. »
« La repubblica esisterà in Francia, perché è la forma di governo necessaria, nei popoli ingovernabili. »
« Rappresento la tradizione, con la quale le nazioni rimangono in tutta la dimensione dei secoli. Se la mia voce ha una qualunque autorità, signori, non è perché è la mia: ma perché è la voce dei nostri padri. »
Note
Bibliografia


Voci correlate
Collegamenti esterni