Professione religiosa

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Professione religiosa presieduta dall'arcivescovo Mario Delpini nella Basilica di Sant'Ambrogio. Elena Bianchi e Cristina Scuccia hanno professato i Voti perpetui.

La Professione religiosa è l'atto formale con cui una persona si consacra a Dio nella vita religiosa abbracciando una Società di vita apostolica o un Istituto di vita consacrata approvato dalla Chiesa, ed emettendo i voti di povertà, castità e obbedienza secondo i consigli evangelici[1].

Si hanno le seguenti tipologie di professione:

  • professione semplice
    • Professione semplice temporanea;
    • professione semplice perpetua;
  • professione solenne.

La differenza non risiede tanto nelle modalità di emissione, ma nella specie.

Professione semplice

La professione semplice può essere perpetua o temporanea e quindi imperfetta. Al termine del mandato di professione temporanea il religioso è libero di tornare nel mondo e l'ordine ha facoltà di destituire colui che non si è mostrato degno di rinnovare la professione, o di emetterne una successiva. Un'infermità fisica, tuttavia, sorta dopo i voti o la cui causa era nota al momento dei voti, non giustifica la dimissione di un religioso contro la sua volontà.

Nelle congregazioni in cui non sono previsti i voti solenni, la Santa Sede prescrive ordinariamente prima dei voti perpetui un termine di voti temporanei variabile da tre a sei anni.

Vi sono però alcune congregazioni, in cui tutti i voti sono perpetui come nel caso delle Monache del Sacro Cuore. Le pie società, invece, sono senza voti perpetui, come le Suore della Carità di San Vincenzo de' Paoli oppure anche senza alcun voto, ma con solo un giuramento di obbedienza come i Missionari d'Africa, o i Padri Bianchi.

La Santa Sede insiste affinché, allo scadere dei voti temporanei, questi siano rinnovati o convertiti in voti perpetui a seconda dei casi, senza concedere alcun intervallo di tempo durante il quale il religioso è libero dai suoi obblighi.

La professione semplice può avere un carattere proprio oppure essere una preparazione alla professione solenne. In tutti gli ordini religiosi è condizione necessaria per la validità della professione almeno tre anni di professione semplice, come nel caso delle monache. Invece per i fratelli laici sono richiesti sei anni di professione semplice e un'età di almeno trent'anni (Decreto del 1º gennaio 1911). Questo tempo di professione semplice può considerarsi come un secondo periodo di prova.

Il religioso può ottenere la dispensa dai voti. L'ordine, a giudizio del Superiore invece, può destituirlo per qualsiasi grave causa di insoddisfazione. La dimissione delle monache richiede come requisito il consenso della Santa Sede. I religiosi di voti semplici o anche temporanei, che hanno ricevuto ordini maggiori nel loro istituto, sono nella stessa posizione, riguardo alla dimissione, di coloro che hanno emesso la professione perpetua.

In linea generale, la professione semplice vieta la gestione e la disponibilità delle proprietà, ma non impedisce a un religioso di detenerne o acquisirne. Tranne che nella Compagnia di Gesù, non è più un impedimento dirimente al matrimonio e non annulla mai un matrimonio già contratto.

Professione religiosa solenne

La professione solenne è formulata negli istituti approvati dalla Santa Sede come ad esempio gli ordini religiosi. È sempre perpetua ed è difficile ottenerne la dispensa. Il religioso che è stato dimesso dal suo ordine è ancora vincolato dagli obblighi della vita religiosa e lo stesso dicasi per chi ottiene dalla Santa Sede l'indulto[2] della secolarizzazione perpetua (uscita dall'istituto o dall'ordine). I professi che hanno lasciato l'ordine devono al vescovo della diocesi in cui risiedono l'obbedienza che un tempo dovevano al loro Superiore religioso.

La professione solenne implica un impegno reciproco tra il religioso e il suo Ordine, che si impegna a mantenerlo e a trattarlo come un membro della sua famiglia. Salvo speciale privilegio, l'Ordine può dimettere un religioso professo in forma canonica solo per persistenza incorreggibile in qualche grave colpa pubblica. Il religioso professo dimesso è ipso facto sospeso e la sospensione è riservata alla Santa Sede (cfr. "Cum singulae" del 16 maggio 1911).

Secondo la legge vigente, la professione solenne annulla un eventuale matrimonio contratto in precedenza, ma non ancora consumato e crea un impedimento a qualsiasi matrimonio futuro; proibisce, inoltre, anche al religioso professo, senza il permesso della Santa Sede, l'acquisto o il possesso e la disposizione di beni. In Belgio e probabilmente in Olanda, la professione non comporta più questo impedimento.

Validità della professione religiosa

Per la validità di una professione religiosa è indispensabile che il candidato abbia almeno sedici anni e abbia trascorso un anno di noviziato. A norma del decreto Ecclesia Christi del 7 settembre 1909 le persone che non possono essere validamente ammesse al noviziato senza il consenso della Santa Sede, non possono senza il medesimo consenso emettere una professione valida.

L'ammissione alla professione, specie alla prima, è generalmente decisa dal Capitolo. È nulla qualsiasi professione religiosa emessa o consentita sotto costrizione. Il Concilio di Trento sentenziò la pena di scomunica a tutti coloro che obbligano o impediscono con la forza una fanciulla di entrare in monastero con professione solenne.

Sebbene la professione tacita o implicita espressamente abolita per gli ordini religiosi sia caduta ovunque in disuso, nessun rito o formula particolare di professione è indispensabile, se non espressamente richiesto dalle costituzioni. Un Decreto generale della Sacra Congregazione dei Riti del 14-27 agosto 1874 indica le modalità con cui si deve emettere la professione durante la Messa.

A partire dal Decreto Auctis admodum la professione semplice, ma perpetua, crea lo stesso legame tra il religioso e la Congregazione come fa la professione solenne in un Ordine religioso. Un religioso può essere dimesso solo per incorreggibile persistenza in qualche grave colpa pubblica. Anche quando le congregazioni di voti semplici hanno il potere di dimettere un religioso, non hanno il potere di dispensarlo dai suoi voti: questo è strettamente riservato alla Santa Sede.

Effetti delle professioni religiose

Ogni professione perpetua ammette allo stato religioso e di conseguenza crea l'obbligo di aspirare alla perfezione. Tale obbligo è sufficientemente adempiuto osservando i voti e le regole nella misura in cui vincolano la coscienza. Tutti i voti precedenti, purché non ledano il diritto di un terzo, possono essere mutati in professione religiosa come in qualcosa di carattere nettamente superiore. Ciò può essere fatto dal religioso stesso o da chi ha il potere di commutare i voti. Se la professione è solenne, questi voti precedenti sono annullati dal diritto canonico. I teologi generalmente insegnano che quando si è in stato di grazia, questa resa assoluta di sé procura al religioso la remissione di tutte le pene dovute ai peccati passati. L'opinione generalmente accettata, con cui la professione religiosa veniva paragonata a un nuovo battesimo, indusse San Pio V a permettere alle novizie nelle case di monache domenicane di emettere la professione in pericolo di morte ancor prima di aver compiuto gli anni di noviziato (Costituzione Summi sacerdotii del 23 agosto 1570). Da allora questo è stato esteso a tutti gli ordini religiosi, ma il ripristino della salute priva la professione, fatta in tali circostanze, di tutti gli effetti canonici.

Vari voti di professione

Molto spesso le regole o le costituzioni di un ordine o di una congregazione (approvate prima delle Normæ del 1901[3]) aggiungono ai tre voti essenziali alcuni voti speciali ispirati allo scopo dell'ordine così ad esempio:

  • i Frati Minori fanno voto di speciale obbedienza al papa e al Chiesa di Roma;
  • le Clarisse emettono voto di clausura;
  • i Mercedari voto di dedicarsi alla redenzione dei prigionieri cristiani, anche dandosi ostaggi;
  • i Minimi voto di rigorosa astinenza;
  • le Carmelitane e gli Agostiniani Scalzi voto di umiltà;
  • la prima professione nella Compagnia di Gesù implica un voto di indifferenza rispetto ai voti perpetui, cioè solenni o semplici, la professione solenne aggiunge un voto di obbedienza al papa per le missioni e cinque semplici voti per meglio assicurare l'osservanza della povertà e il rifiuto dell'ambizione;
  • i Fratelli di San Giovanni di Dio fanno voto di servire i malati;
  • i Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle scuole pie voto solenne di educare i fanciulli e anche tre voti semplici relativi alla povertà e all'elusione dell'ambizione;
  • l'Ordine dei Frati penitenti di Gesù Nazareno (Scalzetti) voto di difesa della dottrina dell'Immacolata;
  • i Passionisti per promuovere la devozione alla Passione di Nostro Signore;
  • i Fratelli delle Scuole Cristiane voti di stabilità e di educazione gratuita dei figli;
  • le Piccole Sorelle dei Poveri voto di ospitalità.

Storia

La professione era esplicita quando espressa con le tradizionali cerimonie, oppure tacita o implicita quando tra l'ordine e il religioso si stabiliva un reciproco impegno avvalorato da atti esteriori, ossia era sufficiente a questo scopo indossare per qualche tempo l'abito dei professi apertamente e senza alcuna obiezione. l'11 giugno 1858 Pio IX abolì la tacita professione per gli ordini religiosi, infatti oggi è completamente in disuso.

Le origini della professione religiosa risalgono al tempo in cui i cristiani erano riconosciuti nella Chiesa come seguaci dopo la perfezione nella pratica della vita religiosa. I primi gruppi risalgono al III secolo, sotto il nome di asceti, dal greco ασκητές, asketés e in latino confessores. Eusebio di Cesarea (Storia della Chiesa III.37) annovera tra gli asceti i pontefici più illustri delle prime epoche, San Clemente di Roma, Sant'Ignazio di Antiochia, San Policarpo e altri. Dopo questi, nel IV secolo, vengono gli eremiti e i monaci, seguiti nell'XI secolo dai canonici regolari, nel XIII secolo dagli Ordini mendicanti, nel XVI dai Chierici regolari e, infine, dai membri delle congregazioni religiose.

La professione per lungo tempo si emetteva vestendo l'abito religioso: l'aspirante poteva indossare personalmente l'abito o riceverlo con o senza cerimonia dall'abate o dal vescovo. Questo vestito imponeva su di esso l'obbligo della povertà e della castità più come conseguenza naturale di una donazione o di una consacrazione a Dio che come derivanti da voti formali, allora inesistenti[4].

La vita comunitaria, stabilita sotto San Schenoudi[5], il grande discepolo di san Pacomio, aggiungeva a certi precetti un'esplicita promessa di fedeltà.

San Benedetto aggiunse un'esplicita promessa di costanza e obbedienza al superiore. Queste ultime promesse esprimevano con chiarezza obblighi aggiuntivi a quelli impliciti nell'assumere l'abito. La prima formula, che menziona espressamente la povertà e la castità, è quella delle Costituzioni di Narbonne, promulgate nel 1260 da San Bonaventura per i Frati Minori. In seguito, le Costituzioni dei Minimi e dei Chierici regolari menzionano espressamente i tre voti essenziali della vita religiosa, così come quelli che furono aggiunti per i fini speciali dei loro ordini. Questa disciplina è comune agli ordini e alle congregazioni religiose. Infine, le Normæ del 1901, pubblicate per spiegare l'attuale prassi della Santa Sede, consentono alle nuove congregazioni solo i tre voti essenziali di povertà, castità e obbedienza.

Nella Decretale[6], Quod votum, Bonifacio VIII dichiarava autorevolmente che il voto di castità, consacrato dal sacramento degli ordini maggiori, o dalla professione religiosa in un istituto riconosciuto, creava un impedimento al matrimonio.

Alcune comunità di terziari non appartenenti a un ordine approvato furono le prime a introdurre la professione accompagnata dai voti semplici, che è ormai prassi ordinaria nelle congregazioni più recenti.

Gli Annali dell'Ordine di San Benedetto (vol. I, p. 74) nell'anno 537 riconoscevano tra i Greci tre classi di religiosi:

  • i novizi, che indossavano la semplice tunica;
  • il perfetto, vestito del pallio;
  • il più perfetto rivestito della cuculla, o cappuccio attaccato a un corto mantello, che copriva le spalle, che era considerato l'emblema speciale della vita religiosa.

In alcuni monasteri orientali si distinguevano le persone che indossavano l'abito corto, mikroschemoi, da quelle che indossavano l'abito lungo, megaloschemoi, distinzione contro la quale san Teodoro Studita protestò nelle sue epistole (I, ep. x, in PG, XCIX, 941-2) e che si trova ancora tra i monaci copti scismatici (vedi Kathol. Missionen 1º ottobre 1910, p. 7 mq.).

Sant'Ignazio di Loyola stabilì che nel suo Ordine vi fosse una professione semplice, seguita da un rinnovo più o meno frequente dei voti fino a quando il candidato fosse preparato alla professione solenne o definitiva; questo sotto Pio IX e Leone XIII diventò il diritto comune di tutti gli ordini religiosi.

Note
  1. cfr. CCC 915 e CDC can 654.
  2. L'indulto consiste in un provvedimento generale che causa l'estinzione di un obbligo o di una pena
  3. Normae secundum quas S.Congr. episcoporum et regularium et regularium procedere solet in approbandis novis institutis votorum simplcium, norme emanate dalla Sacra congregazione dei vescovi e regolari con il compito di concedere l'approvazione ai nuovi istituti religiosi
  4. cfr. San Basilio, Regulæ fusius tractatæ () - responsio ad 14 interrogatio, in PG su documentacatholicaomnia.eu, XXXI, 949-52.
  5. San Schenoudi d'Atripé o Chénouté, Shenouda, Shenouté d'Atripe, Chenouté d'Atribi, scrittore più significativo del cristianesimo copto, è una delle tre grandi figure monastiche della terra d'Egitto. Morì nel 466. Piuttosto sconosciuto in Occidente, in Egitto è uno dei più grandi santi copti.
  6. Decretale, lettera firmata da un papa contenente disposizioni giuridiche riguardanti un caso singolo, alle quali andava riconosciuto un valore generale.
Voci correlate
Collegamenti esterni