Salmo 126

Da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica.
100%Decrease text sizeStandard text sizeIncrease text size
Share/Save/Bookmark
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
James Joseph Jacques Tissot, Il seminatore (fine XIX secolo)
Il Sal 126 riporta l'immagine del seminare nel pianto (v. 5), che frutta il raccolto nella gioia (v. 6)
1leftarrow.png Voce principale: Salmi.

Il Salmo 126 (leggi il testo completo nella versione CEI 2008) è una lamentazione della comunità che si fa preghiera di lode alle grandi cose che YHWH ha operato con il suo popolo e che continuamente opera con ogni credente.

Si tratta di una composizione notevole per ispirazione lirica[1].

Il numero 126 corrisponde alla numerazione ebraica di Salmi; nella tradizione greco-latina il numero di questo Salmo è il 125, e ad evitare equivoci viene spesso indicato come Salmo 126 (125), ovvero come Salmo 125 (126).

Contenuto

Il contenuto e lo schema del Salmo sono del tutto affini a quelli del Sal 85 [1].

La memoria dell'azione di YHWH (v. 1-3)

Il Salmista, a nome di tutto Israele, inizia la sua preghiera ricordando l'esperienza esaltante della salvezza: YHWH ha ristabilito le sorti di Sion (v. 1: c'era una situazione di sofferenza e di bisogno, e Dio ha risposto operando salvezza e riportando l'orante a una condizione migliore di quella precedente. È un qualcosa di simile a quello che avviene a Giobbe, quando il Signore gli ridona tutto quanto aveva perduto, raddoppiandolo ed elargendo una benedizione ancora maggiore (cfr. Gb 42,10-13 ), ed è quanto sperimenta il popolo d'Israele quando ritorna in patria dall'esilio babilonese.

Di fatto, la composizione del Salmo viene collocata dagli esegeti alla fine dell'esperienza della deportazione: l'espressione "ristabilire la sorte di Sion" è letta e compresa dalla tradizione come "far tornare i prigionieri di Sion". Il ritorno dall'esilio è per Israele paradigma di ogni intervento divino di salvezza; inversamente, la caduta di Gerusalemme e la deportazione a Babilonia erano state un'esperienza devastante per il popolo eletto, non solo sul piano politico e sociale, ma anche e soprattutto sul piano religioso e spirituale. La perdita della terra, la fine della monarchia davidica e la distruzione del Tempio appaiono come una smentita delle promesse divine, e il popolo dell'alleanza, disperso tra i pagani, si interroga dolorosamente su un Dio che sembra averlo abbandonato. Perciò, la fine della deportazione e il ritorno in patria sono sperimentati come un meraviglioso ritorno alla fede, alla fiducia, alla comunione con YHWH; è un "ristabilimento della sorte" che implica anche conversione del cuore, perdono, ritrovata amicizia con Dio, consapevolezza della sua misericordia e rinnovata possibilità di lodarlo (cfr. Ger 29,12-14; 30,18-20; 33,6-11 ; Ez 39,25-29 ); è un'esperienza di gioia straripante, di sorrisi e grida di giubilo, talmente bella che "sembra di sognare" (v. 1)[2].

L'intervento divino ha spesso forme inaspettate, che vanno al di là di quanto l'uomo possa immaginare; ecco allora che la meraviglia e la gioia si esprimono nella lode: "Il Signore ha fatto grandi cose".

Dio compie cose grandi, e il credente che ne fa esperienza, nell'attenzione del cuore alla bontà del Signore, è ricolmo di gioia. Su questa nota festosa si conclude la prima parte del Salmo.

La supplica (v. 4)

Se tornare in patria dall'esilio è come ritornare alla vita, si profila però l'attesa di un compimento ancora da desiderare e da domandare. Il tono del Salmo vira su una supplica accorata: "Signore, ristabilisci la nostra sorte[3], come i torrenti del Negheb" (v. 4). La preghiera è divenuta richiesta di qualcosa ancora da realizzare.

Nell'interpretazione che riferiva i versetti precedenti al ritorno dall'esilio babilonese[4], questa apparente contraddizione viene spiegata con l'esperienza storica, che Israele ha fatto, di un ritorno in patria difficile, solo parziale[5]; questa situazione induce l'orante a sollecitare un ulteriore intervento divino per portare a pienezza la restaurazione del popolo. L'esperienza "consolante" (cfr. Is 40,1 ) della liberazione da Babilonia è ancora incompiuta, già avvenuta, ma non ancora ricevuta in pienezza. Per questo la preghiera si apre all'attesa della realizzazione piena.

Ma il Salmo va oltre il dato puramente storico per aprirsi a dimensioni più ampie, di tipo teologico, suggerite dall'immagine dei torrenti secchi del deserto del Neghev (v. 4), che con le piogge si riempiono di acqua impetuosa che ridà vita al terreno inaridito e lo fa rifiorire, suggeriscono che la richiesta del Salmista del ristabilimento della sorte del popolo e del ritorno dall'esilio siano come quell'acqua, travolgente e inarrestabile, capace di trasformare il deserto in una immensa distesa di erba verde e di fiori.

La certezza del raccolto dopo la semina

Subito dopo il Salmo presenta richiama l'esperienza che ogni anno si rinnova nel mondo agricolo: il momento difficile e faticoso della semina prepara la gioia prorompente del raccolto (v. 5-6).

Nella realtà la semina è accompagnata dalle lacrime[6], perché si getta ciò che potrebbe ancora diventare pane, esponendosi a un'attesa piena di incertezze: il contadino lavora, prepara il terreno, sparge il seme, senza avere certezze sul raccolto[7]; il gesto di gettare il seme è un gesto di fiducia e di speranza; se l'operosità dell'uomo è necessaria, essa deve poi far posto a un'attesa impotente, nella coscienza che molti fattori saranno determinanti per il buon esito del raccolto, e che il rischio di un fallimento sarà sempre in agguato.

Nonostante tutto, anno dopo anno, il contadino ripete il suo gesto e getta il suo seme. E quando questo diventa spiga, e i campi si riempiono di messi, ecco la gioia di chi è davanti a un prodigio straordinario[8][9]. È il mistero nascosto della vita, sono le meravigliose "grandi cose" della salvezza che YHWH opera nella storia degli uomini, e di cui gli uomini ignorano il segreto.

Messaggio

Il Salmo invita il cristiano che lo prega a ricordare come, nelle vicende della sua vita, spesso ha ricevuto dal Signore protezione, guida, aiuto; da qui scaturisce la lode per quanto il Signore fa per ognuno. Questa attenzione, che diventa gratitudine, crea una "memoria del bene" e aiuta nei momenti bui.

Alla luce del Nuovo Testamento, il messaggio della semina e del raccolto si fa ancora più esplicito e chiaro: il credente che attraversa il buio è come il chicco di grano caduto in terra che muore, ma per dare molto frutto (Gv 12,24 ); ovvero, riprendendo un'altra immagine cara a Gesù, è come la donna che soffre nelle doglie del parto per giungere alla gioia di aver dato alla luce una nuova vita (Gv 16,21 ).

Il Salmo insegna una preghiera sempre aperta alla speranza e salda nella fede in Dio. La storia del credente, anche se segnata spesso da dolore, incertezze, momenti di crisi, è una storia di salvezza e di "ristabilimento delle sorti". In Gesù, ogni umano esilio finisce, e ogni lacrima è asciugata, nel mistero della sua Croce, di quella morte trasformata in vita.

Note
  1. 1,0 1,1 Angelo Lancellotti (1991) 469.
  2. Un'esperienza simile, in cui sembra di sognare, verrà fatta da Pietro alla liberazione prodigiosa e inaspettata da parte dell'angelo in At 12,9 .
  3. In ebraico šûbah šebût: si tratta di un'espressione idiomatica, parallela e foneticamente affine a šûb šebît del v. 1; cfr. anche Sal 85,2 ; Ez 16,53b ; Gb 42,10 (Angelo Lancellotti, 1991, 470).
  4. Riferisce però Roland E. Murphy (1973, 765) che alcuni studiosi, come il Gunkel, interpretano i vv. 1-3 come un annuncio di una liberazione futura.
  5. Roland E. Murphy (1973) 765.
  6. Il pianto associato alla semina potrebbe risalire al simbolismo della morte del dio della fertilità (Baal, Osiride) dei popoli vicini; è però certo che tale sfondo non ha nulla a che fare con il significato attuale del Salmo (cfr. Roland E. Murphy, 1973, 765).
  7. Come illustra bene la parabola del seminatore, il contadino non sa dove questo seme cadrà, se gli uccelli lo mangeranno, se attecchirà, se metterà radici, se diventerà spiga (cfr. Mt 13,3-9 ; Mc 4,2-9 ; Lc 8,4-8 ).
  8. Per la gioia del tempo del raccolto, cfr. Sal 4,8 ; Is 9,2 . Per l'alternanza della gioia con il dolore, cfr. Sal 30,6 ; Gv 16,20 .
  9. Gesù conosceva bene questa esperienza (Mc 4,26-27 ).
Bibliografia
Voci correlate