Beato Alojzije Viktor Stepinac
Beato Alojzije Viktor Stepinac Cardinale · Martire | |
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Beato | |
In te Domine speravi | |
Età alla morte | 61 anni |
Nascita | Krašić 8 maggio 1898 |
Morte | Krašić 10 febbraio 1960 |
Ordinazione presbiterale | Roma, 26 ottobre 1930 |
Nominato vescovo | 28 maggio 1934 da Pio XI |
Consacrazione vescovile | 24 giugno 1934 da mons. Anton Bauer |
Elevazione ad Arcivescovo | Zagabria 7 dicembre 1937 |
Creato Cardinale |
12 gennaio 1953 da Pio XII (vedi) |
Cardinale per | 7 anni e 29 giorni |
Incarichi ricoperti | |
Iter verso la canonizzazione | |
Venerato da | Chiesa cattolica |
Beatificazione | 3 ottobre 1998, da Giovanni Paolo II |
Ricorrenza | 10 febbraio |
Santuario principale | Cattedrale di Zagabria |
Attributi | Palma |
Collegamenti esterni | |
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Nel Martirologio Romano, 10 febbraio, n. 13:
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Beato Alojzije Viktor Stepinac (Krašić, 8 maggio 1898; † Krašić, 10 febbraio 1960) è stato un cardinale, arcivescovo e martire croato. Durante la seconda guerra mondiale, pur dovendo convivere con il regime filonazista degli ustascia di Ante Pavelic, fu un fiero avversario del nazismo, i cui eccessi razzisti e sanguinari condannò pubblicamente. Al sopraggiungere del regime comunista di Tito, difese la religione cattolica contro le persecuzioni del regime. Arrestato, fu processato e condannato a sedici anni di lavori forzati. Fu sempre sostenuto dal papa Pio XII che il 12 gennaio 1953 lo creò Cardinale. Fu beatificato nel 1998 da papa Giovanni Paolo II.
Arcivescovo (tra i più giovani del tempo) di Zagabria dal 1937 al 1960 e Cardinale. È considerato un martire perseguitato dal regime comunista jugoslavo.
Cenni biografici
Nacque a Brezaric, parrocchia di Krašić, centro non distante da Zagabria, a quel tempo quel territorio faceva parte dell'Impero Austro-ungarico. Compì gli studi liceali presso il Seminario arcivescovile di Zagabria, ottenne la maturità nel 1916 mentre era in corso la prima guerra mondiale, fu subito arruolato nell'esercito austro-ungarico, dopo sei mesi di servizio divenne tenente e combatté sul fronte italiano, cadde prigioniero nella battaglia del Piave nel luglio 1918, rilasciato in dicembre andò volontario nella Legione Jugoslava e mandato a Salonicco dove rimase fino alla primavera 1919. Per questo servizio ricevette la Stella dei Karađorđević, medaglia istituita nel 1919 durante il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni per atti d'eroismo. Alla fine della guerra i territori già appartenenti all'Impero Austro-Ungarico, Slovenia, Bosnia e Croazia, in aggiunta a quelli già tolti nel 1912 all'Impero Ottomano dopo la Prima guerra balcanica, furono federati sotto la corona di Pietro I Karađorđević a formare il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, poi divenuto Regno di Jugoslavia. Quest'unione fu oggetto di frustrazione per molte etnie, tra cui in particolare quella croata, cui Stepinac apparteneva, per la politica di centralizzazione avviata dal governo di Belgrado, che mirava alla realizzazione di una Grande Serbia in cui i cattolici erano molto discriminati rispetto agli ortodossi[1].
Nel 1924 a 26 anni Stepinac avvertì la vocazione sacerdotale, andò a studiare presso il il famoso Collegio Germanicum di Roma e successivamente presso l'Università Gregoriana. Nel 1930 venne ordinato sacerdote a Roma. Nel 1931 rientrò a Zagabria, dove su sua ispirazione l'Arcivescovo istituì la Caritas diocesana affidandogli l'incarico di Presidente.
Ministero episcopale
Il 28 maggio 1934 Papa Pio XI lo elesse Vescovo coadiutore di Zagabria, il 24 giugno dello stesso anno venne consacrato Vescovo dall'Arcivescovo Anton Bauer(ch). Il 7 dicembre 1937, a soli 39 anni, Stepinac succedette allo stesso Arcivescovo Bauer come Arcivescovo di Zagabria, qualche tempo dopo divenne Presidente della Conferenza Episcopale Jugoslava in momenti religiosi, sociali, politici molto difficili per la Croazia come per tutte le altre nazioni, in primo luogo Italia e Germania, nelle quali le Chiese nazionali dovettero confrontarsi e prendere posizione rispetto ai totalitarismi di quegli anni.
Stepinac di fronte agli ustascia
Nel 1941 le armate di Hitler invasero la Jugoslavia e in Croazia le bande armate degli ustascia, guidate da Ante Pavelić, sotto l'egida dei nazisti e dei fascisti, costituirono lo Stato indipendente di Croazia. Inizialmente Stepinac accolse con favore la costituzione di questo nuovo Stato che realizzava l'indipendenza della Croazia a lungo desiderata da molti croati, tanto che nel 1941 comunicò nella Cattedrale di Zagabria l'indipendenza della Croazia e si prodigò affinché il nuovo Stato, venisse riconosciuto dal Vaticano (cosa che non avvenne mai). Ciò non fu dettato da un'adesione al regime filo-nazi-fascista degli ustascia, quanto da un sincero desiderio di contribuire all'indipendenza della Croazia. I suoi rapporti con il nazifascismo furono sempre molto tesi, già nel 1937 a Zagabria, Stepinac era a capo di un'associazione che assicurava assistenza ai tedeschi e agli italiani esiliati dai regimi nazista e fascista.[2]. Stepinac avvertiva che il Cattolicesimo era considerato dai croati come parte essenziale dell'identità nazionale croata e che essi volevano che uno Stato croato indipendente si ispirasse necessariamente ai suoi principi. Ma le speranze che Stepinac e i croati avevano riposto nel nuovo Stato furono ben presto deluse. Lo Stato indipendente di Croazia, governato dagli ustascia, fu uno dei più terribili per quanto riguarda odi e persecuzioni contro le altre nazionalità jugoslave, tanto che Pavelić venne addirittura richiamato dai governi di Berlino e Roma per l'eccessiva violenza e brutalità del regime. L'atteggiamento dell'Arcivescovo era prevalente fra i cattolici croati fra i quali molti si opposero al regime anche a prezzo della propria vita, anche se non mancarono coloro che ebbero responsabilità di primo piano nei massacri.
Stepinac si schierò subito in difesa dei serbi perseguitati, impedì le conversioni forzate al cattolicesimo e il 20 novembre 1941 inviò una lettera a Pavelić in cui chiedeva il rispetto totale della persona, senza distinzione di età, sesso, religione, nazionalità e razza. Difese anche zingari ed ebrei con energiche omelie e discorsi pubblici, in cui attaccava senza mezzi termini il razzismo [3][4]. Già in un'omelia pronunciata nel 1938 aveva affermato: "Il moderno razzismo nutre rancore contro la Chiesa poiché essa non vuole cadere in ginocchio dinanzi al suo idolo, la nazione e adorarlo"[5]. Il generale Edmund Glaise von Horstenau, plenipotenziario tedesco presso Pavelić commentò: Se un Vescovo pronunciasse in Germania tali discorsi, non scenderebbe vivo dal pulpito. Gli ustascia giunsero a chiedere (invano) al Vaticano il suo allontanamento da Zagabria.
Nel 1943 Stepinac fece leggere nelle chiese dai sacerdoti sermoni anti-razzisti, che vennero diffusi anche tramite radio partigiane in tutta la Croazia: come risposta, le autorità di occupazione tedesche arrestarono 31 sacerdoti. Secondo lo storico Michael Phayer, "Nessun capo di una chiesa nazionale parlò del genocidio in modo così evidente come fece Stepinac. Le sue parole furono coraggiose e di principio"[6].
Il dopoguerra: l'arresto e il processo
Alla fine della seconda guerra mondiale il movimento di liberazione nazionale egemonizzato dai comunisti di Josip Broz Tito occupò la Croazia. Iniziarono subito le stragi e le persecuzioni dei cattolici. Secondo Stepinac furono condannati a morte senza processo 369 sacerdoti. Vennero inoltre chiuse le scuole cattoliche, espropriate le proprietà della Chiesa, requisite le tipografie e violata la libertà di stampa, aggrediti i Vescovi ed eliminata la religione dall'insegnamento ufficiale delle scuole[2].
Il 17 maggio 1945 Stepinac fu arrestato insieme a molti sacerdoti e ad alcuni Vescovi. Tito lo liberò il 3 giugno e gli propose di fondare una Chiesa nazionale croata sottomessa al regime comunista e separata da Roma, ma Stepinac rifiutò fermamente. Il 18 settembre 1946, la magistratura di Zagabria dispose l'arresto di Alojzije Stepinac, accusandolo di collaborazionismo e di attività eversiva contro lo Stato jugoslavo».
Nell'imminenza del processo il governo jugoslavo, intenzionato a migliorare i difficili rapporti con la Santa Sede, chiese al Vaticano di nominare un nuovo Arcivescovo di Zagabria in sostituzione di Stepinac, il quale, richiamato a Roma, avrebbe così evitato il processo per i numerosi crimini imputati. Il Vaticano, tuttavia, confermò Stepinac nella carica di Primate di Croazia.
Il processo contro di lui per presunta collaborazione con gli ustascia iniziò il 30 settembre 1946. Al processo il cardinale si difese, non rispondendo oppure negando le accuse che gli venivano rivolte. I capi d'accusa sono di fatto i seguenti: collaborazione con i nazisti, relazioni con il governo di Pavelić, nomina di cappellani dell'esercito croato, conversione forzata di serbi-ortodossi al cattolicesimo, opposizione al governo comunista. Stepinac fu condannato per i capi d'accusa politici.
Il processo durò pochi giorni e dei 35 testimoni proposti dalla difesa, tra cui c'erano alcuni serbi ed ebrei, ne vennero ascoltati solo 8.[2] L'11 ottobre 1946 l'arcivescovo Stepinac veniva condannato. La sentenza di colpevolezza lo condanna "alla pena di privazione dalla libertà con lavori forzati per la durata di 16 anni e alla privazione dei diritti politici e civili per la durata di cinque anni".
Cardinalato
Fu creato Cardinale da papa Pio XII nel concistoro del 12 gennaio 1953, ma non gli fu mai permesso di recarsi a Roma e pertanto non ricevette mai un titolo cardinalizio. Non poté prendere parte nemmeno al Conclave del 1958 in cui fu eletto papa Giovanni XXIII.
Durante la prigionia, trasformata in seguito negli arresti domiciliari[7], Stepinac avrebbe sviluppato i sintomi di una malattia genetica e morì nel 1960, sempre durante gli arresti domiciliari. Tuttavia, esiste una testimonianza di un carceriere di Stepinac che riferisce di avergli somministrato del veleno.[8] Qui finì la sua vita, ma la sua figura ritornò all'attenzione dell'opinione pubblica nel 1998 dopo la sua beatificazione da parte di Giovanni Paolo II.
La figura di Stepinac si è sin dall'inizio differenziata dalle idee e dalle azioni degli ustascia. Secondo la Chiesa, Stepinac ha sempre voluto separare la propria figura dal movimento ustascia. A questo proposito il Vescovo ha lasciato la seguente deposizione: «Come vescovo non sono mai stato né appartenente al partito contadino croato, né a quello ustascia, né al partito croato nazionale. Ho difeso l'interesse del popolo e continuerò sempre a farlo, mentre la politica come tale la lascio agli altri».
In una sua omelia nella Cattedrale di Zagabria il 25 ottobre 1942 Stepinac affermò: «Ogni popolo e ogni razza, come al giorno d'oggi troviamo sulla terra, ha diritto a una vita degna e a essere trattato con dignità. Per questo la Chiesa cattolica ha sempre accusato - e anche oggi lo fa - l'ingiustizia e la violenza che prende campo in nome di teorie di classe, di razza e nazionalistiche [...] esse tradiscono in materia di fede il loro compito, se non si continuerà ancora ad alzare la propria voce in difesa di tutti quelli che soffrono per queste ingiustizie...».[3]
Il Ministro dell'istruzione del governo ustascia Julije Makanec, nell'articolo Chiamati e non chiamati in Hrvatski Narod del 7 novembre, rispose pesantemente all'omelia dell'ottobre 1943, anzitutto per il fatto che l'Arcivescovo aveva condannato come inumani certi modi di fare degli ustascia, e in secondo luogo, per avere ribadito che la dottrina della Chiesa cattolica si opponeva alla teoria razziale. Secondo Makanec la predica dell'Arcivescovo era un coltello che si infiggeva nella schiena degli "eroici combattenti" ustascia e riteneva che l'arcivescovo non avesse il diritto di immischiarsi nella politica e gli consigliava di occuparsi di cose ecclesiali[9].
Si sostiene inoltre che un problema nel reperire affermazioni di Stepinac sta nel fatto che durante il periodo ustascia sarebbe stato proibito stampare e pubblicare le prediche di Stepinac; per questo furono pubblicate solamente dopo, a guerra finita. Ed è per questo che è difficile spiegare la sua posizione rispetto a Pavelić, perché - sia da una parte sia dall'altra - è facile mettergli in bocca parole che non sono state sue.
In relazione alla questione ebraica, ci sono molti avvenimenti documentati e libri che sostengono non soltanto la completa innocenza di Stepinac, ma il suo aiuto materiale agli ebrei. Due libri al riguardo sono Il caso del cardinale Stepinac di Richard Patee e Stepinac e gli ebrei di Alexandra Stefan. In particolare, ci sono molti testimoni che dicono come il cardinale abbia aiutato materialmente e concretamente gli ebrei durante l'olocausto[10].
Per quanto riguarda il dibattito sulle conversioni, mentre l'accusa afferma che Stepinac attuò conversioni forzate di massa, la Chiesa afferma che esse avvennero col consenso dei serbi, per poterli salvare dai campi di concentramento. Per contro il Vescovo della Chiesa serba ortodossa Josif Cvijic scrisse un documento pubblico in cui ribadiva il divieto di accettare le conversioni degli ebrei alla religione cristiana ortodossa. In questo modo tutti gli ebrei di Serbia furono condannati ai campi di concentramento.
In una lettera indirizzata ad Ante Pavelić il 24 febbraio 1943, Stepinac definì il campo di concentramento di Jasenovac "vergognosa macchia per lo Stato Indipendente Croato"[11].
Culto
Papa Giovanni Paolo II beatificò il cardinale Alojzije Stepinac nel 1998, a Marija Bistrica presso Zagabria, durante il governo di Franjo Tuđman nella Croazia da poco indipendente. È importante ricordare il ruolo per certi versi determinante che il Vaticano ha avuto nella secessione della Repubblica Croata dalla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Onorificenze
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Stella dei Karađorđević | |
Successione degli incarichi
Predecessore: | Arcivescovo titolare di Nicopsi | Successore: | |
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Johannes Poggenburg | 28 maggio 1934 - 7 dicembre 1937 | Joseph Butt |
Predecessore: | Arcivescovo di Zagabria | Successore: | |
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Anton Bauer | 7 dicembre 1937 - 10 febbraio 1960 | Franjo Šeper |
Predecessore: | Primate di Croazia | Successore: | |
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Anton Bauer | 7 dicembre 1937 - 10 febbraio 1960 | Franjo Šeper |
Fonti | |
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Note | |
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Bibliografia | |
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Collegamenti esterni | |
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