Beata Benedetta Bianchi Porro

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Beata Benedetta Bianchi Porro
Laica
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battezzata
Beata
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Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 27 anni
Nascita Dovadola
8 agosto 1936
Morte Sirmione
23 gennaio 1964
Sepoltura Abbazia di Sant'Andrea (Dovadola)
Appartenenza
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° vescovo di Roma
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Extra Anni di pontificato


Cardinali creazioni
Proclamazioni
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Eventi

Iter verso la canonizzazione

Venerata da Chiesa cattolica
Venerabile il 1993, da Giovanni Paolo II
Beatificazione 8 novembre 2018, da Francesco
Canonizzazione [[]]
Ricorrenza 23 gennaio
Altre ricorrenze
Santuario principale
Attributi
Devozioni particolari {{{devozioni}}}
Patrona di
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Incoronazione
Investitura
Predecessore
Erede
Successore
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Onorificenze
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Nomi postumi
Altri titoli
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Coniuge

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Consorte

Consorte di

Figli
Religione {{{religione}}}
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Collegamenti esterni
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Invito all'ascolto
Firma autografa
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Io penso che cosa meravigliosa è la vita anche nei suoi aspetti più terribili; e la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo.
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Beata Benedetta Bianchi Porro (Dovadola, 8 agosto 1936; † Sirmione, 23 gennaio 1964) è stata una giovane laica e studentessa italiana dichiarata venerabile per la fede e il comportamento morale improntato al Vangelo e mantenuti in vita attraverso le sofferenze. L'8 novembre 2018 Papa Francesco l'ha proclamata beata.

Padre David Maria Turoldo per primo curò l'edizione degli scritti di Benedetta Bianchi Porro, che in genere non vanno oltre i brevi appunti. In epoca successiva, anche cardinali e studiosi di spiritualità hanno dedicato a essi introduzioni e commenti. L'attenzione rivolta da vari ambienti cattolici alla sua persona e ai suoi scritti è ben documentata da una ricca bibliografia.

Biografia

Infanzia e adolescenza

Il culto popolare che è sorto intorno alla figura della venerabile ha descritto i fatti salienti della sua vita con le connotazioni tipiche dell'agiografia.

Nacque a Dovàdola (cittadina nota per il vicino eremo francescano di Montepaolo), un paese di una bellezza dura e sinuosa. A 19 chilometri da Forlì[1]. Appena nata, fu colpita da una emorragia: così, su richiesta della madre, le venne conferito il battesimo "di necessità" con acqua di Lourdes[2].

Cinque giorni dopo, il 13 agosto, riacquistata una certa stabilità fisica, fu battezzata solennemente e chiamata: Benedetta Bianca Maria.[3] A tre mesi Benedetta si ammalò di poliomielite, secondo la diagnosi del Prof. Vittorio Putti dell'istituto Rizzoli di Bologna.[4] La malattia le lasciò la gamba destra più corta, costringendola in seguito a portare una pesante scarpa ortopedica. Tra marzo e maggio 1937 fu colpita da ripetute bronchiti e da otite purulenta bilaterale.

Nel maggio 1944, nella piccola Chiesa dell'Annunziata a Dovadola fece la prima Comunione. Le venne regalato in quella occasione un rosario, da cui non si sarebbe più separata. Conseguì la Cresima quindici giorni dopo, amministrata dal vescovo di Modigliana, Mons. Massimiliano Massimiliani[5].

« È una bella giornata e anche io sono felice perché ho ricevuto Gesù nel cuore, ho promesso a Gesù che farò la comunione tutte le domeniche di Maggio.[6] »

In quello stesso mese iniziò a scrivere il suo Diario segreto poiché invitata dalla madre a continuare una tradizione di famiglia. Compilare un diario personale diventò un piacere e un modo semplice e naturale per annotare pensieri e quotidianità. Il Dario cammina con lei, rappresenta un frammento di anima, un confidente inviolabile.[7] Fu un adolescente dall'incredibile compassione, fragilità e delicatezza. Ciò che maggiormente le impedì di vivere una giovinezza spensierata è da ricercare nei numerosi problemi fisici e nei relativi tentativi di cura: le scarpe alte, il busto, l'emicrania, la debolezza e soprattutto quella gamba che le regalò il soprannome di "zoppona".

« Non dovete prendervela, in fondo dicono la verità: sono zoppa.[8] »

Furono questi gli elementi che tendevano a identificarsi come normalità nella vita di una ragazzina di appena 13 anni e già da tutti considerata un'emarginata.

Terminate le elementari dalle suore, frequentò le scuole medie a Brescia, nell'istituto Santa Maria degli Angeli tenuto dalle suore Orsoline. La prima esperienza scolastica risultò essere molto più che positiva, Benedetta si dimostrò infatti una ragazzina promettente, intelligente e attenta; ma la nostalgia di casa non l'abbandonò mai, fu un'esperienza che visse in costante attesa di rivedere tutta la famiglia. La presenza familiare ebbe infatti un ruolo rilevante nel suo percorso di vita. Così rientrò in Romagna, per frequentare il Liceo Ginnasio Giovan Battista Morgagni a Forlì.

La madre, casalinga e fervente cattolica, il padre, cattolico non praticante ma uomo dalla grandissima generosità, i cinque fratelli, Gabriele (nato nel 1938), Manuela (1941), Corrado (1946), Carmen (1953) e il fratellastro Leonida (1930), rimasero un costante punto di riferimento per la giovane.[9]

Durante l'Anno Santo del 1950 insieme alla zia Carmen si recò a Roma, Assisi e Loreto.[10]

Ben presto nacque una profonda amicizia, quella tra lei e Anna Laura Conti. Un'amicizia pura, gioiosa quasi necessaria per la crescita fisica e spirituale di Benedetta:

« Tu sei la mia prima amica e amica per me vuol dire qualcosa di più di quello che altri intendono.[11] »

Citando un passo di Sant'Agostino le spiegò che ormai metà del suo essere le apparteneva e che la paura di poter rimanere sola e di poterla perdere ombreggiava costantemente nella sua anima.

A contribuire al suo stato di emarginazione fu però la progressiva perdita dell'udito, problema che la costrinse a seguire numerosi incontri di riabilitazione, ma con scarsi risultati.

La sua fede si fece sempre più evidente nella giovane venerabile, la voglia di vivere e di aiutare gli altri diventarono delle priorità quasi imprescindibili. Alla domanda "cosa è la vita?" rispose: "Un sogno, un sogno bello e triste, un godimento e un dolore insieme, una prova: una prova in cui si è soli davanti all'infinito."[12] Benedetta incentrò la sua vita prevalentemente nella figura illuminante e protettiva di Dio: mèta e Amore Puro.

Innamorata dei libri realistici, libri in cui non era solo il corpo fisico ad avere ampio spazio, ma anche l'anima con le sue paure e i suoi pensieri. Libri che narrano la vita di uomini semplici e tormentati nei quali lei stessa ebbe la capacità di immedesimarsi. Le sue Preferenze bibliografiche spaziarono da Tolstoj a Dostoevskij, le piaceva l'anima russa, un'anima ardente, profonda, umana[13]; Shakespeare, poiché nelle sue tragedie è ritratto in modo ammirabile ogni aspetto dell'anima dell'uomo[14]; Platone Che nel Fedone espone la teoria dell'immortalità dell'anima[15]; Marco Aurelio; Ugo Foscolo; Giacomo Leopardi, di cui si sentì profondamente sostenitrice; e Orazio.

Gli anni universitari

Nonostante la precaria situazione di salute, nell'ottobre 1953, a soli 17 anni, si iscrisse all'Università Statale di Milano. Inizialmente influenzata dal padre, scelse di intraprendere gli studi di Fisica[16]. Dopo successivi ripensamenti e con una maggiore consapevolezza nelle sue aspirazioni decise di intraprendere quella di Medicina. La nuova facoltà le era congeniale. Le piaceva e si gettò a capofitto nello studio.[17]

Il trasferimento a Milano vide la giovane forlivese nuovamente costretta ad abbandonare la famiglia e a intraprendere una strada completamente diversa. L'immagine di una città così grande le procurò un maggior senso di solitudine e di nullità. L'addio a Sirmione fu lacrimevole[18].

La sordità continuò intanto a causarle gravi problemi relazionali e scolastici. Il prof. Ettore Brocca, assistente ordinario di Clinica Otorinolaringoiatrica preoccupato per le condizioni di Benedetta, pensò che la sordità di lei fosse di origine psichica. Le consigliò quindi di iniziare una cura psicoterapeutica[19].

Il 12 luglio 1955 venne ricoverata presso la Casa di Cura Villa Igea a Forlì, causa: ipotrofia all'arto inferiore destro con conseguente resezione del femore.[20] La riabilitazione della gamba le costò giorni di sacrificio.

Per il quarto anno accademico il 26 ottobre chiese l'iscrizione ai Corsi fondamentali di anatomia patologica, patologia speciale medica, patologia speciale chirurgica, clinica otorinolaringoiatrica.[21]

Nel 1956 iniziarono i problemi alla congiuntiva, dopo aver consultato un oculista di Brescia le venne diagnosticata un'ulcera corneale. Il fratello Gabriele decise di portarla a controllo a Milano all'Ambulatorio della clinica oculistica, qui il professor Leo le diagnosticò una papilla da stasi, sintomo di ipertensione endocranica, spesso indice di tumore.[22] Fu attraverso le conoscenze mediche appena acquisite che Benedetta riuscì ad auto diagnosticarsi il suo male: neurofibromatosi diffusa o sindrome di Von Recklinghausen. Il 27 giugno venne fissato un nuovo intervento per asportare un neurinoma del nervo acustico in sede pontocerebrale e per procedere alla decompressione cranica.[23] Per errore del chirurgo le venne reciso il nervo facciale VII sinistro, le si paralizzò l'intero lato facciale.

Il 4 agosto 1959 venne ricoverata presso la clinica neurologica del Beretta, le diagnosticarono una aracnoidite spinale. L'intervento non ebbe risultati positivi, anzi, a seguito di questo le si paralizzarono gli arti superiori, lo sfintere vescicale e inoltre la sordità divenne totale. Continuò nonostante tutto a mantenere integre le doti intellettive, la femminilità, l'incredibile voglia di vivere e l'insaziabile sete di Dio.

L'intervento chirurgico per neurofibromatoma all'acustico era stato inutile e aveva causato la sordità totale bilaterale, con l'aggiunta di forti disturbi atassici, aggravati dagli esiti alla gamba destra di una poliomielite e dalla paralisi del facciale destro dovuto all'intervento stesso.[24] Benedetta entrò in crisi e iniziò a pensare di dover cambiare facoltà optando in ultima analisi per Biologia. Tutti gli amici medici le sconsigliarono di prendere questa decisione e alla fine scelse di rimanere a Medicina.

Gli anni della malattia

Le condizioni fisiche si aggravarono, il 30 novembre 1960 inviò al rettore la domanda di rinuncia agli studi, Benedetta pose fine al suo futuro e a tutto ciò che la legava ad esso, intrappolata in un corpo completamente distrutto dalla malattia. Nel gennaio 1961 riprese a scrivere il diario, sospeso durante gli anni di studio universitari.

Nel 1962 fece il primo pellegrinaggio a Lourdes. Dopo aver fatto domanda all'UNITALSI partì dal 24 maggio al 31 maggio. Il clima di santità che respirò la rese ancora più forte e sicura di prima. A metà di ottobre 1962 terminò definitivamente il Diario. I suoi pensieri, interamente riguardanti la religione e il cammino interiore, vennero appuntati sull'Agenda della Motta. Scrivere le comportava un grandissima fatica e una quantità inverosimile di tempo.

Il 15 ottobre 1962 venne ricoverata all'ospedale civile di Desenzano. La diagnosi: neurofibromatosi multipla e febbre da foci dentari. Presentava inoltre piaghe da decubito al sacro e alla regione glutea di sinistra, le erano impossibili le funzioni fisiologiche. Le furono estratti 14 denti.[25] Al controllo oculistico risultò che la stasi si era accentuata con edema intenso delle papille. Il 28 novembre venne dimessa.

A causa di un peggioramento della vista il 12 dicembre fu sottoposta a un nuovo intervento chirurgico: deviazione del liquor cerebrale nella giugulare. Una deviazione ventricolo cava superiore con valvola di Spitz-Holter, essendosi riscontrato il blocco del liquor cefalorachidiano a livello ventricolare da compressione. A seguito dell'intervento perse completamente la vista. L'unico contatto con il mondo esterno passava attraverso il palmo della sua mano. Lì, con incredibile pazienza e amore, la mamma tentava di parlarle attraverso dei segni, tentativi a cui Benedetta rispondeva con un impercettibile bisbiglio.[26]

Sedotta dal Signore, innamorata della vita, speranzosa nella risurrezione non c'era nulla di cui potesse aver bisogno se non di Dio. Era completamente e serenamente abbandonata a Lui. Umile fino all'inverosimile, prendeva ispirazione da San Francesco e Sant'Agostino due abissi di amore.[27] Il suo fisico viaggiava verso un lento processo di degradazione, ma la sua anima continuava a essere pura e serena come un tempo.

Il 20 gennaio 1964 si confessò e ricevette la comunione dal parroco di Sirmione.

Prima di morire il suo pensiero ritornò a una leggenda a lei cara, la leggenda del mendicante e del re:

« Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio,quando, nella lontananza,apparve il tuo aureo cocchio come un segno meraviglioso;io mi domandai : chi sarà questo Re di tutti i re!Crebbero le mie speranze e pensai che i miei giorni tristi sarebbero finiti; stetti ad attendere che l'elemosina mi fosse data senza che la chiedessi e che le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere. Il cocchio mi si fermò accanto. Il suo sguardo cadde su di me e scendesti con un sorriso. Sentivo che era giunto al fine il momento supremo della mia vita. Ma tu, a un tratto, mi stendesti la mano dritta dicendomi :- cosa hai da darmi? -. Ah, qual gesto regale fu quello di stendere la tua palma per chiedere a un povero? Confuso ed esitante tirai fuori lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e te lo diedi. Ma qual non fu la mia sorpresa quando, sul finire del giorno, vuotai per terra la mia bisaccia e trovai nello scarso mucchietto un granello d'oro! Piansi amaramente di non aver avuto il cuore di darti tutto quello che possedevo »

[28]

Morì il 23 gennaio 1964.

Attualmente è grazie al Diario da lei composto e aggiornato con incredibile cura e sincerità, che la venerabile ci regala la possibilità di conoscere e di comprendere le sue scelte e i suoi travagli interiori. È l'anima di una bambina, di un'adolescente e di una donna che cerca conforto o semplicemente che racconta le sue quotidianità.

Il processo di Beatificazione

Nel dicembre 1993 venne emesso il decreto di riconoscimento della eroicità delle virtù, pertanto, le spetta il titolo di Venerabile, titolo che non comporta ancora la possibilità di un culto pubblico. Il passo successivo sarà il riconoscimento di un miracolo ottenuto per sua intercessione che aprirà la strada alla beatificazione e successivamente alla canonizzazione.

Pur essendo solo una studentessa morta ventottenne, senza aver compiuto grandi imprese, un vasto culto popolare ha esaltato le virtù eroiche di Benedetta Bianchi Porro nell'accettare le sofferenze toccatele in sorte e il paese in cui è morta, Sirmione, è già mèta di turismo devozionale.

L'8 novembre 2018 è proclamata beata da Papa Francesco. La cerimonia di beatificazione si è svolta il 14 settembre 2019 a Forlì, presieduta dal cardinale Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione per le cause dei santi.

Opere

  • Quaderni di Benedetta - Il cammino verso la luce, pubblicato nel 2007 a cura di Divo Barsotti.
  • Scritti Completi, Edizioni San Paolo, 2006
Note
  1. Lorenzo Da Fara, Benedetta Bianchi Porro, Edizioni Carroccio. p. 17
  2. La necessità derivava da come appariva alla madre stessa la gravità delle condizioni della piccola Benedetta, ma il racconto vuole sottolineare che il suo battesimo avvenne con l'acqua di Lourdes (la materia del sacramento del battesimo è l'acqua normale)
  3. In municipio fu denunciata con i nomi: Benedetta, Bianca Maria, Antonia, Grazia, Anna.op. cit. p. 19
  4. op. cit. p. 20
  5. op. cit. p. 26
  6. op. cit. p. 59
  7. op. cit. p. 27
  8. op. cit. p. 43.
  9. op. cit. pp. 18-19
  10. op. cit. p. 88.
  11. op. cit. p. 96.
  12. op. cit. p. 109.
  13. op. cit. p. 113
  14. op. cit. p. 113
  15. op. cit. p. 113
  16. op. cit. p. 115.
  17. op. cit. p. 119.
  18. op. cit. p. 116
  19. op. cit. p. 125
  20. op. cit. pp. 129-130.
  21. op. cit. p. 135.
  22. op. cit. p. 137.
  23. op. cit. p. 140
  24. op. cit. p. 149.
  25. op. cit. p. 217
  26. op. cit. p. 222.
  27. op. cit. p. 259.
  28. op. cit. p. 277.
Bibliografia
  • Lorenzo Artuso, Benedetta Bianchi Porro, Padova, Carroccio, 1986
  • Giacomo Biffi, Il mistero di Benedetta Bianchi Porro: approccio teologico al mistero di Benedetta, Casale Monferrato, Piemme, 1994 ISBN 88-384-2282-6
  • Dante Bovo, Giuseppe De Roma, Benedetta Bianchi Porro: Dal buio al silenzio, Padova, Messaggero, 1984 ISBN 88-7026-523-4
  • Anna Maria Cappelli (a cura di), Il volto della speranza, lettere di Benedetta Bianchi Porro e testimonianze, Milano, Massimo, 1974
  • Giuseppino De Roma, Un canto dal buio: Benedetta Bianchi Porro, Milano, Edizioni Paoline, 1985 ISBN 88-215-0958-3
  • Emanuela Ghini, Vivere è bello, Milano, Rizzoli Editore, 1984, ISBN 88-17-53329-7
  • David Maria Turoldo (a cura di), Siate nella gioia, Milano, Corsia dei Servi, 1968
  • Matteo Salvatti, Benedetta Bianchi Porro, per una prima analisi dei temi della sua spiritualità, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, 2007
  • Andrea Vena, Benedetta Bianchi Porro. Biografia autorizzata, Edizioni San Paolo, 2004
  • Lorenzo Da Fara, Benedetta Bianchi Porro, Padova, Edizioni Carroccio.
  • Andrea Vena, Benedetta Bianchi Porro. Nella fede la gioia, EMP 2014. ISBN 978-88-250-3567-4
Collegamenti esterni