Decimo comandamento
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« | Non desiderare [...] alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo. » | |
« | Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. » | |
Il decimo comandamento sdoppia e completa il nono, che verte sulla concupiscenza della carne. Il decimo proibisce la cupidigia dei beni altrui, che è la radice del furto, della rapina e della frode, vietati dal settimo comandamento. La "concupiscenza degli occhi" (1Gv 2,16 ) porta alla violenza e all'ingiustizia, proibite dal quinto comandamento (cfr. Mi 2,2 ). La bramosia, come la fornicazione, trova origine nell'idolatria vietata nei primi tre comandamenti (cfr. Sap 14,12 ). Il decimo comandamento riguarda l'intenzione del cuore; insieme con il nono riassume tutti i precetti della Legge[1].
Nell'Antico Testamento
Per approfondire, vedi la voce Nono e decimo comandamento del decalogo |
La formulazione biblica di tale comandamento è differente nelle due versioni del decalogo, e tra gli esegeti si discute se si tratti di due comandamenti o di uno solo, come pure non c'è consenso sull'antichità relativa delle due versioni.
Probabilmente il duplice comandamento si è formato nel contesto della predicazione sociale dei profeti dell'VIII secolo a.C.: Amos, Osea, Isaia, Michea. Esso vuol difendere il diritto e la proprietà di ogni israelita dagli attentati effettivi ai suoi diritti e alle sue proprietà; in tal senso, il comandamento è da collegare al settimo, che ha di mira le false accuse finalizzate a espropriare gli stessi diritti e proprietà.
La lettura positiva del decimo comandamento, considerato nel suo oggetto fondamentale, la casa, mette in evidenza l'importante aspetto della sicurezza del focolare[2].
L'Antico Testamento giudica severamente la cupidigia di chi mira ad accumulare (Qo 5,9 ). Spesso il ricco non si accontenta di quanto ha, ma brama impossessarsi di quanto ha il povero (cfr. 2Sam 12,1-4 ), commettendo i peggiori misfatti 1Re 21,1-29 ). Il Dio delle promesse da sempre ha messo in guardia l'uomo dalla seduzione di ciò che, fin dalle origini, appare "buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza" (Gen 3,6 ).
Nel Nuovo Testamento
Ai suoi discepoli Gesù chiede di preferire lui a tutto e a tutti, e propone di rinunziare a tutti i loro averi (Lc 14,33 ) per lui e per il Vangelo (Mc 8,35 ). Poco prima della sua passione addita loro come esempio la povera vedova di Gerusalemme, la quale, nella sua miseria, aveva versato nel tesoro del Tempio tutto quanto aveva per vivere (Lc 21,4 ). Per Gesù il precetto del distacco dalle ricchezze è vincolante per entrare nel Regno dei Cieli. Egli apostrofa i ricchi, perché trovano la loro consolazione nell'abbondanza dei beni (Lc 6,24 ), e proclama beati quanti hanno un cuore da poveri (Mt 5,3 ).
San Paolo coglie la libertà interiore del Figlio di Dio che, "da ricco che era, si è fatto povero per noi" (2Cor 8,9 ).
Nell'insegnamento della Chiesa
Il decimo comandamento ha a che fare con i desideri dei sensi, che portano l'uomo a desiderare le cose piacevoli che non ha. Tali desideri, in se stessi, sono buoni; ma spesso non restano nei limiti della ragione, e spingono l'uomo a bramare ingiustamente ciò che non gli spetta e appartiene, o ciò che è dovuto ad altri.
Il comandamento proibisce quindi l'avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura dei beni terreni; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama delle ricchezze e del potere in esse insito.
Il comandamento proibisce anche il desiderio di commettere un'ingiustizia, con la quale si danneggerebbe il prossimo nei suoi beni temporali[3]. Il Catechismo Romano insegna che "la formula: Non desiderare è come un avvertimento generale che ci spinge a moderare il desiderio e l'avidità delle cose altrui. C'è infatti in noi una latente sete di cupidigia per tutto ciò che non è nostro; sete mai sazia"[4].
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