San Paolo apostolo
San Paolo Personaggio del Nuovo Testamento · Martire | |
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Santo | |
Apostolo | |
Tiziano Vecellio, San Paolo (part.), 1543 - 1549, olio su tela; Vittorio Veneto, Museo Diocesano d'Arte Sacra "Albino Luciani" | |
Età alla morte | circa 55 anni |
Nascita | Tarso 5 -10[1] |
Morte | Roma 64 -67[2] |
Venerato da | Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi |
Ricorrenza | 29 giugno |
Santuario principale | Basilica di San Paolo fuori le mura, Roma |
Attributi | Libro, fune, cesta, spada[3] |
Devozioni particolari | Invocato contro tempeste e morso di serpenti |
Patrono di | Roma, Grecia, Malta, giornalisti, stampa cattolica, vescovi, missionari, scout, panieri, cordai, cestai, teologi |
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Nel Martirologio Romano, 29 giugno, n. 1:
25 gennaio, n. 1, ricorrenza secondaria:
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San Paolo (Tarso, 5-10[1]; † Roma, 64-67[2]) è stato l'«apostolo dei Gentili»[4], ovvero il principale (sebbene non il primo[5]) missionario del Vangelo di Gesù tra i greci e romani.
Secondo i testi biblici, Paolo era un ebreo ellenista che godeva della cittadinanza romana. Sebbene a lui coevo, non conobbe direttamente Gesù e, come tanti connazionali, avversava la neo-istituita Chiesa cristiana, arrivando a perseguitarla direttamente.
Sempre secondo la narrazione biblica, un giorno, mentre si recava da Gerusalemme a Damasco per perseguitare i cristiani della città, venne accecato da una luce e sulle sue palpebre si formarono come delle squame. Fu chiamato da Gesù risorto e, dopo il battesimo, iniziò a predicare il Cristianesimo.
Come gli altri missionari cristiani, si rivolse inizialmente agli Ebrei, ma in seguito si dedicò prevalentemente ai «Gentili». I territori da lui toccati nella predicazione itinerante furono inizialmente l'Arabia (attuale Giordania), quindi soprattutto la Grecia e l'Asia minore (attuale Turchia). Il successo di questa predicazione lo spinse a scontrarsi con alcuni cristiani di origine ebraica, che volevano imporre ai pagani convertiti l'osservanza dell'intera legge religiosa ebraica, in primis la circoncisione. Paolo si oppose fortemente a questa richiesta, e, con il suo carattere energico e appassionato, riuscì vittorioso. Fu fatto imprigionare dagli Ebrei a Gerusalemme con l'accusa di turbare l'ordine pubblico. Appellatosi al giudizio dell'imperatore – come era suo diritto, in quanto cittadino romano –, fu condotto a Roma, dove venne tenuto per alcuni anni agli arresti domiciliari, riuscendo a continuare la sua predicazione. Venne decapitato probabilmente attorno al 64-67, durante la persecuzione di Nerone.
L'influenza storica di Paolo nell'elaborazione della teologia cristiana è stata enorme: mentre i vangeli si limitano prevalentemente a narrare parole e opere di Gesù, sono le lettere paoline che definiscono i fondamenti dottrinali del valore salvifico della sua incarnazione, passione, morte e risurrezione – ripresi dai più eminenti pensatori cristiani dei successivi due millenni. Per questo, alcuni studiosi contemporanei lo hanno identificato come il vero fondatore del Cristianesimo.
Indice |
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Fonti storiche
Non esistono riferimenti archeologici diretti (come, ad esempio, epigrafi) o testimonianze di autori extra-cristiani che si riferiscano direttamente alla vita e all'operato di Paolo. Le fonti storiche sono sostanzialmente di quattro tipi.
- Gli Atti degli Apostoli, come parte del Nuovo Testamento, tradizionalmente attribuiti a Luca, ritenuto autore anche dell'omonimo vangelo. Sono stati composti in greco attorno agli anni 80, ovvero tra 20 e 50 anni dopo gli eventi in essi narrati. A Paolo è dedicata principalmente la seconda parte dello scritto (At 9;11;13-28 ), dove è descritto il suo ministero itinerante, a partire dalla sua chiamata sulla "via di Damasco" (collocabile intorno ai primi anni 30) fino all'arrivo a Roma e la messa agli arresti domiciliari (intorno ai primi anni 60). In alcune sezioni (cosiddette "sezioni noi"), il racconto passa dalla terza alla prima persona (At 16,10-17;20,5-15;21,1-18;27,1-28,16 ), lasciando ipotizzare che l'autore fosse compartecipe degli avvenimenti narrati.
- Le tredici lettere di Paolo, anch'esse raccolte nel Nuovo Testamento, scritte in greco. Si ritiene tradizionalmente che siano state redatte tra gli anni 50 e 60 – durante il ministero itinerante di Paolo e la successiva prigionia a Cesarea e/o Roma. In epoca contemporanea, con lo svilupparsi del metodo storico-critico, sono stati sollevati dubbi circa l'autenticità di alcune di queste lettere. Dal punto di vista storico, comunque, la discussione sull'effettiva autenticità delle lettere dubbie – che difficilmente potrà arrivare a conclusioni chiare e condivise basandosi sui soli dati intrinseci dei testi – non lede il ritratto della vita e dell'operato di Paolo: le lettere di dubbia paternità non sono infatti in contrasto col messaggio teologico contenuto nelle lettere sicuramente autentiche. Solo l'ultimo periodo della sua vita (attorno agli anni 60 e successivi all'arrivo a Roma) descritto negli Atti, può essere ricostruito in maniera differenziata ammettendone o meno l'autenticità, ipotizzando dopo Roma un nuovo viaggio missionario in Oriente (Grecia e/o Turchia) o in Spagna.[6]
- Le varie fonti patristiche. Negli scritti di alcuni Padri della Chiesa, in particolare Clemente Romano, Girolamo ed Eusebio, sono contenute alcune sporadiche informazioni su Paolo, che tendenzialmente confermano i relativi dati del Nuovo Testamento.
- Gli apocrifi riferiti a Paolo, ovvero: Atti di Paolo, Atti di Paolo e Tecla, Atti di Pietro e Paolo, Lettera dei Corinzi a Paolo, Lettere di Paolo e Seneca, Terza lettera di Paolo ai Corinzi, Apocalisse di Paolo greca e Apocalisse di Paolo copta. Vista la loro tarda redazione, come per tutti gli altri apocrifi del Nuovo Testamento, gli studiosi contemporanei considerano gli elementi narrativi di questi testi come elaborazioni leggendarie successive.
Nomi e titoli
Nelle sue prime apparizioni negli Atti, il nome proprio usato è Saulo (nell'originale greco, Σαούλ, Saúl,[7] oppure Σαῦλος, Sàulos,[8] traslitterazione dell'ebraico שאול, Shaʾùl). L'etimologia è connessa al verbo ebraico שאל, shaʾal (= «domandare», «pregare»): il nome significa dunque «colui che è stato chiesto (a Dio)», «colui per il quale si è pregato».[9] Il nome è lo stesso del primo re degli Ebrei, vissuto nell'XI secolo a.C. – nelle traduzioni italiane, reso solitamente con «Saul». Questo nome non risulta essere ricorrente tra i personaggi successivi della tradizione biblica, probabilmente per la descrizione negativa che il primo libro di Samuele fornisce dell'operato del re – inizialmente scelto da Dio tramite il profeta stesso. La tribù del re era quella di Beniamino – la stessa di Saulo-Paolo (Rm 11,1 ; Fil 3,5 ) – e il re Saul probabilmente poteva rappresentare per questa tribù minore una sorta di "eroe nazionale".
Nel suo epistolario, però, Paolo non si identifica mai con questo nome: il nome più ricorrente negli Atti, e l'unico usato nelle lettere, è Paolo (nell'originale greco Παῦλος, Paûlos, traslitterazione greca del nome latino Paulus, significante «piccolo»[10]).
L'etimologia non è dunque correlata al significato del nome ebraico; sono state quindi avanzate diverse ipotesi sulla sua derivazione:
- nell'Impero romano, gli Ebrei adottavano un secondo nome greco-latino, talvolta scelto per semplice assonanza col nome originale (come per Giosuè-Giasone o Sila-Silvano). Si tratta dell'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi;[11]
- la tradizione cristiana successiva lo ha collegato con la bassa statura di Paolo;[12]
- alcuni hanno ipotizzato che il nome Paolo sia stato assunto da Saulo in onore di Sergio Paolo, proconsole di Cipro, che, secondo At 13,6-12 , si convertì al Cristianesimo: infatti, nella narrazione degli Atti, l'introduzione del nome Paolo al posto di Saulo avviene proprio in occasione di tale incontro (At 13,9 ).[13] L'ipotesi non trova attualmente largo consenso tra gli studiosi, i quali collegano il cambiamento onomastico non all'incontro fisico di Paolo col proconsole, ma col primo confronto dell'apostolo col mondo greco-romano che questi rappresentava;
- ipotizzando, sulla base di alcune indicazioni di Girolamo,[14] una schiavitù degli antenati di Paolo e un successivo loro affrancamento, questo comportava l'assunzione automatica della cittadinanza romana e solitamente l'adozione del cognomen del vecchio proprietario.[15]
«Apostolo» è il titolo principale che Paolo si attribuisce nelle sue lettere (vedi, ad esempio, Rm 1,1 ; 1Cor 1,1 ; Ef 1,1 ; Col 1,1 ) e che la tradizione cristiana successiva gli ha confermato; non gli è invece attribuito negli Atti. Il titolo è la traslitterazione del termine greco ἀπόστολος, apóstolos, che significa «inviato». In senso proprio, il titolo è applicato nei testi del Nuovo Testamento ai dodici apostoli che seguirono Gesù durante il suo ministero pubblico. Paolo, che non compare nei vangeli e che non fece parte del suo seguito, non può essere identificato come apostolo in tal senso – lui stesso specifica infatti nella Rm 1,1 di essere «apostolo per vocazione». Come Paolo, del resto, anche altri personaggi del Nuovo Testamento sono detti «apostoli» (Barnaba negli At 14,14 ; Andronico e Giunia nella Rm 16,7 ; Sila e Timoteo nella 1Ts 1,1;2,6 ; Apollo nella 1Cor 4,9 ), sebbene non lo furono in senso proprio. In alcuni passi (Rm 11,13 ; Gal 2,8 ), Paolo si definisce «apostolo dei Gentili».
In At 9,11;21,39;22,3 , Paolo è detto «di Tarso», essendo originario di quella città della Cilicia, nell'attuale Turchia del Sud.
Caratteristiche personali
Origini etniche
Paolo era ebreo, della tribù di Beniamino (Rm 11,1 ; Fil 3,5 ). Sebbene il territorio tradizionale della tribù fosse collocato nel centro della Palestina, poco a nord di Gerusalemme tra la Giudea e la Samaria, questa appartenenza etnica non era correlata alla zona geografica, in quanto lungo i secoli il significato territoriale si era progressivamente perso. È il caso, ad esempio, di Giuseppe e Gesù, della tribù di Giuda e della casa di Davide (sud della Palestina), che vivevano però a Nazaret, nel nord della Palestina.
Cittadinanza romana
Paolo era, per nascita, cittadino romano (At 16,37-38;22,25-29;25,7-12 ). Nei primi tempi dell'impero, la cittadinanza romana era un privilegio ereditario non comune, soprattutto per gli abitanti delle province non italiche, e comportava notevoli vantaggi economici, politici, fiscali, giuridici. Non è chiara l'origine di questo status paolino, per cui sono state elaborate diverse ipotesi:
- gli avi di Paolo, risiedendo a Tarso, beneficiarono del privilegio concesso ad alcuni Ebrei della Cilicia durante la campagna di Cesare contro Farnace, nel 47 a.C. circa;[16]
- gli avi di Paolo, risiedendo a Tarso, ottennero la cittadinanza in occasione di diversi privilegi concessi ai cittadini di Tarso da Marco Antonio dopo la vittoria a Filippi del 42 a.C.;
- il padre (o il nonno) di Paolo, fabbricatori di tende, si distinse per l'aiuto militare fornito all'esercito romano durante una campagna militare di Cesare, Antonio o Pompeo, ottenendo in riconoscimento la cittadinanza;[17]
- i genitori di Paolo furono condotti, come prigionieri di guerra, dalla città giudea di Giscala a Tarso (vedi Girolamo), divennero schiavi di un romano, quindi furono affrancati ricevendo automaticamente la cittadinanza;[15]
- Paolo faceva parte della famiglia regale degli Erodiani,[18] all'antenato dei quali (Erode Antipatro) fu concessa da Cesare la cittadinanza.[19] Vaghi accenni a questo legame familiare sarebbero riscontrabili negli At 13,1 e nella Rm 16,10-11 . Questa ipotesi non gode tuttavia di largo consenso tra gli studiosi, anche per l'estraneità che traspare dall'incontro tra Paolo e l'erodiano Marco Giulio Agrippa II in At 26 .
Lingue conosciute
Paolo appare un ebreo perfettamente ellenizzato. Come tutti gli Ebrei, conosceva l'ebraico, lingua nella quale è composta la Tanakh, che all'inizio dell'era cristiana non era più usata nella vita quotidiana ma riservata al culto religioso. Lingua vernacolare degli Ebrei in Palestina (tra i quali Gesù) era l'aramaico, alla quale si riferisce verosimilmente At 21,40 : il testo originale usa il termine "ebraico" che va però inteso come "lingua degli Ebrei", cioè l'aramaico. Conosceva il greco, lingua franca dell'Impero romano orientale, nella quale sono composte le sue lettere, cosa non comune tra gli Ebrei e che desta meraviglia nel tribuno di Gerusalemme (At 21,37 ). In quanto cittadino romano è verosimile che comprendesse almeno un po' il latino, ma non ve n'è traccia diretta nei passi neotestamentari (nel greco delle lettere pastorali che, se autentiche, furono scritte a Roma, sono presenti alcuni latinismi[20]). Circa i dialetti locali parlati nella zona di Tarso, ufficialmente ellenista ma situata al confine tra l'area linguistica indoeuropea (greco e galata) e semita (siriaco e aramaico), attualmente estinti e poco conosciuti, non sembra che Paolo ne avesse conoscenza. In At 14,11 , mostra di non comprendere il dialetto della Licaonia, regione confinante a nord con la sua Cilicia natale.
Formazione culturale
Sebbene nelle fonti non venga direttamente affermato, si può inferire come Paolo abbia ricevuto una solida formazione greco-ellenista, probabilmente nella prima giovinezza nella natale Tarso e/o in seguito a Gerusalemme.[21]
Nelle sue lettere e nella sua predicazione riferita negli Atti, si può desumere avesse conoscenza della Bibbia in greco (Septuaginta) e del metodo retorico della diatriba (Rm 27,3-8 ), nonché si possono rilevare alcuni riferimenti (impliciti) a concetti e pensatori ellenisti, fra cui: i temi stoici dell'autosufficienza (in 2Cor 9,8 ; Fil 4,11-12 ); l'immanenza di Dio (in Rm 11,36 ; Col 1,16 ); la "teologia naturale" (in Rm 19,20 ); la "moderazione" cinica (in 1Ts 2,1-8 ); Epimenide e Arato (in At 17,28 ); Menandro (in 1Cor 15,33 ); la conoscenza delle "cose invisibili", cioè le idee di Platone (in 2Cor 4,18;5,7 ; Col 1,5 ); l'uso dell'allegoria, come è usata da Filone (in Gal 4,24-26 ).[22]
Formazione religiosa
L'ebreo Paolo appare innanzitutto come un laico, cioè non appartenente a nessuna delle classi sacerdotali che gestivano il culto del tempio di Gerusalemme. In Fil 13,5 , si definisce "fariseo quanto alla legge" (si veda anche At 23,6;26,5 ), cioè facente parte di quel movimento che si era sviluppato pochi secoli prima dell'era cristiana e che, nel I secolo, era fortemente contrapposto al movimento aristocratico-sacerdotale dei sadducei su diversi aspetti dottrinali: diversamente da questi ultimi, i farisei per esempio accettavano l'immortalità dell'anima, l'esistenza degli angeli, gli altri libri della Tanakh più una tradizione orale (poi confluita nei Talmud), oltre ai cinque libri della Torah, nonché adottavano un'interpretazione delle scritture tendenzialmente meno rigorosa e rigida, più vicina alle esigenze del popolo. I farisei si formavano in apposite scuole collegate alle sinagoghe, cioè luoghi di culto da loro gestiti e presenti ovunque vi fossero comunità giudaiche. In queste scuole, tutti gli Ebrei imparavano a leggere le scritture ebraiche e i fondamenti della dottrina. È verosimile che Paolo abbia iniziato la sua formazione farisaica in una di queste scuole a Tarso, quindi, secondo At 22,3 , continuò e perfezionò gli studi a Gerusalemme presso l'autorevole maestro Gamaliele. Dalle sue lettere traspaiono metodi argomentativi tipici delle scuole rabbiniche del tempo, testimoniati poi nei Talmud, come, ad esempio, la gezerah shavah ("decreto simile"), che accosta argomentativamente a un passo biblico un altro per semplice legame di similitudine-analogia (si veda Rm 9,6-28 o 3,1-5,12). L'appartenenza di Paolo al Sinedrio, che sembra essere suggerita da At 26,10 , è solitamente esclusa dai biblisti (vedi infra). At 18,18 indica poi che Paolo era un nazireo, cioè aveva fatto uno speciale voto di consacrazione a Dio, che implicava una vita particolarmente sobria e rigorosa e il portare i capelli lunghi.
Condizione economica
Non ci è direttamente noto a quale classe socio-economica Paolo appartenesse. Tuttavia, in At 18,3 , viene detto “costruttore di tende”, attività che intraprese verosimilmente sulle orme paterne ed alla quale, secondo l'interpretazione comune di alcuni passi di sue lettere (At 20,34-35 ; 1Cor 4,12 ; 2Cor 11,27 ; 1Ts 2,9 ; 2Ts 3,8 ), si dedicò anche durante il ministero itinerante per garantirsi una certa autonomia economica. Dunque, i dati storici in nostro possesso, fra cui quelli relativi al tipo di attività artigianale svolta, al suo trascorso giovanile a Gerusalemme per gli studi religiosi (una sorta di “studi universitari all'estero”) e, soprattutto, al possesso della cittadinanza romana, con i notevoli sgravi fiscali che essa comportava, lasciano presumere che egli e la sua famiglia appartenessero a un ceto sociale medio o medio-alto.
Aspetto fisico
Non ci è noto quale aspetto avesse. Il nome Paolo ("piccolo") non deriva dalla statura, come inteso dall'iconografia successiva, ma verosimilmente dall'assonanza con "Saulo" (vedi sopra). La più antica descrizione fisica a lui riferita (influenzata, forse, dalla tradizionale bruttezza attribuita a Socrate) è contenuta nell'apocrifo Atti di Paolo e Tecla, della seconda metà del II secolo, nel quale si legge che "era un uomo di bassa statura, la testa calva, le gambe arcuate, il corpo vigoroso, le sopracciglia congiunte, il naso alquanto sporgente".[24] Come per questo e altri apocrifi, la datazione tardiva rende difficile attribuire un effettivo valore storico al testo e a questa descrizione di Paolo. Difficilmente fondata è anche la notizia riportata in uno scritto del V secolo, tradizionalmente ma erroneamente attribuito a Giovanni Crisostomo, che attribuisce a Paolo la statura di 3 cubiti (circa 133 cm).[25]
Altri testi sono ancora più tardivi. Giovanni Malala (VI secolo) riporta questa descrizione: "Paolo mentre visse fu di statura bassa, calvo con testa e barba brizzolate, con bel naso, occhi azzurrognoli, sopracciglia congiunte, carnagione bianca, d'aspetto florido, con barba folta, sorridente per carattere, sapiente, mite, affabile, dolce, animato dallo Spirito Santo, taumaturgo".[26] Niceforo Callisto (XIV secolo) descrive così Paolo: "Era piccolo e ristretto quanto a grandezza corporea, fatto come a curva e un po' ripiegato, di bianco aspetto, con segni di una età precocemente avanzata, con testa priva di capelli, sguardo pieno di grazia, sopracciglia piegate in giù: aveva il naso bellamente incurvato e che dominava tutta la faccia, barba folta e piuttosto aguzza ch'era brizzolata come la testa".[27]
L'unico dato desumibile dai passi del Nuovo Testamento, certo ma generico, è che Paolo era afflitto da una malattia (1Cor 2,3-4 ; 2Cor 10,10 ; 2Cor 12,7 ; Gal 4,13-14 ). Sull'effettiva diagnosi di questa "spina nella carne" non è possibile dare risposte precise e sono state ipotizzate,[28] oltre a generiche tentazioni carnali, epilessia (derivante dall'esperienza della conversione), isteria, emicrania, depressione, sciatica, reumatismi, sordità, lebbra, balbuzie, un disturbo agli occhi (così J.B. Lightfoot sulla base di Gal 4,15 ).
Tratti psicologici
I tratti comportamentali che si possono dedurre dal Nuovo Testamento sono sostanzialmente ambivalenti. Paolo non doveva avere un carattere particolarmente amabile: sono, ad esempio, riportati dissidi con l'evangelista Marco (At 13,13 ; At 15,37-38 , verso il quale sembra in seguito ben disposto in Col 4,10 ), Barnaba (At 15,39-40 ; Gal 2,13 ), Pietro (Gal 2,11-16 ), Giacomo e con tutto l'allora maggioritario partito giudeo-cristiano (vedi At 15 , dove la discussione viene presentata con tratti e toni più irenici di Gal 2 , verosimilmente più aderente alla realtà). Sotto questo aspetto, l'affermazione di At 9,30-31 secondo la quale, una volta partito Paolo, "la Chiesa era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria" può suonare ironica e liberatoria.
Paolo sembra caratterizzato da una forte caparbietà e resistenza alle avversità (vedi soprattutto 2Cor 11,23-28 ), anche se la sua ultima lettera, 2 Timoteo (se autentica), sembra scritta da un Paolo ormai stanco e abbattuto. Il successo della sua predicazione, con la fondazione di nuove chiese in Grecia e Asia, nonché la forte influenza che mostrava di avere sulla stessa chiesa di Gerusalemme mostrano che doveva essere caratterizzato da un certo carisma e magnetismo, al punto da essere identificato dagli avversari Ebrei come capo del cristianesimo (At 24,5 ). La cura di queste nuove comunità tramite l'invio di lettere e collaboratori, l'analisi dei problemi che le caratterizzavano e le chiare, talvolta dure, direttive in proposito, la scelta di capi (presbiteri e vescovi) e le successive nuove visite, mostrano una notevole capacità di gestire le risorse umane. L'aspro ed energico Paolo era però caratterizzato anche da un sincero affetto e amore (si veda, ad esempio, 1Ts 2,7-12 ; Gal 4,18-20 ), che si rivolge anche agli "avversari" giudeo-cristiani in occasione della colletta di Gerusalemme, da lui organizzata tra le sue comunità per far fronte alle necessità dei poveri della città santa (si veda, ad esempio, 2Cor 8-9 ).
Il ritratto più comune di Paolo, forte e battagliero, non corrisponde tuttavia alla sua vera natura, ma sembra piuttosto il risultato di una violenza che egli fa a sé stesso. Invero, la sua natura, riscontrabile tra le pieghe dei suoi scritti e delle sue lettere, analizzati in maniera interdisciplinare secondo un'opportuna contestualizzazione storica e teologica, appare molto più vicina alla tenerezza e all'affettività vissute intensamente. L'intimità, la dolcezza, la commozione e perfino la fragilità appaiono come le vere forze interiori, le risorse più profonde dell'umanità di Paolo, capaci di muovere ogni sua azione sociale, anche quelle che esternamente sembrano di segno opposto. Paolo vive una nuova psicologia attraverso la fede, integrando due dimensioni psicologiche che tendono ad agire in forma separata: una a un livello psicologico profondo, l'altra a un livello sociale più chiaramente osservabile.[29]
Legami familiari
Il Nuovo Testamento non fornisce informazioni dirette intorno alla famiglia di Paolo. Questa risiedeva verosimilmente a Tarso, dove egli nacque, e, come accennato sopra, è possibile che fosse originaria di Giscala, in Giudea. L'attività lavorativa familiare era, verosimilmente, come per Paolo, la manifattura di tende. Poi, in At 23,16 (probabilmente attorno al 58) viene fatto cenno al "figlio della sorella di Paolo", presente a Gerusalemme, ed è possibile che questa (forse con altri familiari) si fosse trasferita nella città. Circa lo stato civile di Paolo, in nessun passo si accenna a moglie o a figli, in 1Cor 7,8 (inizio anni 50) dichiarandosi celibe. Tuttavia, dato l'alto valore che il matrimonio aveva nella cultura ebraica, e per i farisei in particolare, è probabile che Paolo si fosse sposato in gioventù e in seguito sia rimasto vedovo, o abbia ripudiato la moglie, o ne sia stato ripudiato.[30]
Possibile cronologia
La ricostruzione cronologica della vita e del ministero di Paolo, come per tutti i personaggi del Nuovo Testamento (incluso Gesù), è in gran parte ipotetica. La narrazione degli Atti, che descrive in maniera particolareggiata il suo ministero pubblico con alcuni accenni al mondo greco-romano, unita ad alcune preziose seppur sporadiche integrazioni cronologiche presenti nelle lettere di Paolo e in altri scritti successivi, permette tuttavia di ricostruire un quadro verosimile, condiviso nelle linee fondamentali da biblisti e storici contemporanei.
Talvolta si riscontrano differenze tra le lettere e gli Atti: per esempio, in Gal 1,17 Paolo accenna a un viaggio in Arabia (l'attuale Giordania) dopo la conversione, particolare questo assente nella narrazione degli Atti. In questi casi, gli studiosi propendono, laddove possibile, per l'armonizzazione complementare delle fonti.
Il punto più oscuro della sua vita riguarda gli ultimi anni, successivi alla prigionia romana, all'incirca nei primi anni 60, attorno ai quali le ricostruzioni possibili vertono sulla possibilità di una seconda prigionia, più dura della prima, e sulla eventualità di un altro viaggio, in oriente o in Spagna.
CE[32] | BG[33] | TOB[34] | DP[35] | RF[36] | Evento | Redazione lettere | Atti | Lettere | Eventi correlati |
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- | 5-10 | 5-10(?) | - | 5-10 | Nascita a Tarso | - | 22,3 | - | - |
- | - | - | - | - | Trasferimento a Gerusalemme | - | 22,3;26,4 | - | - |
35 | 34 o 36 | c. 37 | c. 33 | 34-35 | Poco dopo il martirio di Stefano,[37] conversione sulla via di Damasco e battesimo | - | 9,1-19, ripreso in 22,4-21;26,9-18 | 1,15-16 | - |
35-37 | - | c. 37-39 | - | - | Predicazione in Arabia e a Damasco | - | 9,19-25 | 1,17 | - |
37 | 36 o 38 | c. 39 | 35 | 36-37 | Fuga da Damasco controllata dal re nabateo Areta IV, prima breve visita (di "15 giorni") a Gerusalemme "dopo 3 anni"[38] dalla conversione |
- | 9,25-30 | 11,32-33; 1,18-20 |
Governo di Areta IV su Damasco (forse) tra il 37-39[39] |
37-43 | - | - | 35+ | - | Soggiorno a Tarso, predicazione in Siria e Cilicia | - | 9,30 | 1,21 | - |
43-44 | - | c. 43 | 45 | - | Barnaba porta Paolo da Tarso ad Antiochia di Siria, soggiorno di un anno intero | - | 11,25-26 | - | - |
44 o 45 | 48 | - | 46 | - | Visita – coincidente con la successiva visita del Concilio(?)[40] – a Gerusalemme "per portare soccorso" all'annunciata carestia, morte di Erode,[41] ritorno ad Antiochia | - | 11,27-30;12,21-25 | - | Erode Agrippa I muore nel marzo del 44; carestia in diverse zone dell'impero durante il regno di Claudio (41-54), in Giudea in particolare sotto i governatori Cuspio Fado (44-46) e Tiberio Alessandro (46-48), aggravata dall'anno sabbatico del 47-48[42] |
45-49 | 46-48 | 45-48 | 47-48 | 46-48 | Primo viaggio con Barnaba (e in parte con Giovanni-Marco): Cipro (incontro con Sergio Paolo), Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra, Derbe; ritorno lungo le stesse tappe ad Antiochia di Siria | - | 13-14 | - | Sergio Paolo proconsole di Cipro |
49-50 | - | 48-49 | 48-49 | 49-50 | Visita a Gerusalemme e Concilio "dopo 14 anni",[38] ritorno ad Antiochia | - | 15,1-35 | 2,1-9 | - |
50+ | 49+ | 50+ | 49+ | 50+ | Inizio del secondo viaggio con Sila-Silvano: Siria, Cilicia, Derbe, Listra, Filippi, Tessalonica, Berea, Atene | - | 15,36-18,1 | - | - |
- | inverno 50 - estate 52 | inverno 50 - estate 52 | - | - | Soggiorno a Corinto di (almeno) "un anno e mezzo", incontro con Aquila e Priscilla espulsi poco prima da Roma, incontro col proconsole Gallione | Prima e Seconda lettera ai Tessalonicesi a Corinto | 18,1-18 | - | Espulsione degli Ebrei da Roma, tra i quali Aquila e Priscilla, nel 49-50;[43] Gallione proconsole dell'Acaia attorno al 52 (vedi Iscrizione di Delfi), "data cardine" della cronologia paolina |
53 | 52 | 52 | 51-52 | 52 | Fine del secondo viaggio: Efeso, Cesarea, visita a Gerusalemme | - | 18,18-22 | - | |
- | - | 52-53 | 51-52 | - | Ritorno e permanenza ad Antiochia | - | 18,22 | - | - |
53+ | 53+ | 54+ | 52+ | 53+ | Inizio del terzo viaggio: Galazia, Frigia, soggiorno a Efeso per (almeno) 2 anni e 3 mesi, probabile prigionia con liberazione, Macedonia | Prima lettera ai Corinzi a Efeso; Lettera ai Galati e Lettera ai Filippesi a Efeso; Seconda lettera ai Corinzi in Macedonia |
18,23-20,1 | - | - |
57 | inverno 57-58 | inverno 57-58 | 57 | - | Soggiorno a Corinto per 3 mesi | Romani | 20,2-3 | - | - |
57 | Pasqua 58 | Pasqua 58 | - | 57 | Fine del terzo viaggio: da Filippi a Cesarea | - | 20,3-21,14 | - | |
57 | Pentecoste 58 | Pentecoste 58 | 57 | - | Visita a Gerusalemme, arresto nel tempio, condotto a Cesarea dove incontra il governatore Felice | - | 21,15-24,26 | - | Felice governatore di Giudea (forse) tra il 52–59/60 |
57-59 | 58-60 | 58-60 | 57-59 | 58-60 | Prigioniero due anni a Cesarea, incontra il governatore Porcio Festo e il re Marco Giulio Agrippa II | - | 24,27-26,32 | - | Porcio Festo governatore di Giudea (forse) tra il 59/60–62 |
59-60 | 60-61 | 60-61 | 59-60 | 60 | In autunno, viaggio in mare verso Roma, naufragio, inverno a Malta, arrivo a Roma | - | 27,1-28,16 | - | |
60-62 | 61-63 | 61-63 | 60-62 | 61-63 | Arresti domiciliari a Roma per (almeno) 2 anni | Colossesi, Efesini, Filemone(?) | 28,17-31 | - | - |
62-66 | - | (?) | - | - | Libertà e predicazione a Roma(?), viaggio in Spagna (BG 63)(?), quarto viaggio a Efeso, Creta, Macedonia (BG c. 65)(?) |
Prima lettera a Timoteo e Lettera a Tito in Macedonia nel 65 (BG)(?) | - | - | - |
66 | 67 | (?) | - | - | Seconda prigionia a Roma(?) | Seconda lettera a Timoteo(?) | - | - | - |
67 | c. 67 | 64-67(?) | 65(?) | 63 | Decapitato a Roma | - | - | - |
Biografia
Nascita e giovinezza
Secondo At 22,3 Paolo nacque a Tarso, in Cilicia (attuale Turchia del sud). San Girolamo invece riferisce, verso la fine del IV secolo, che era originario di "Giscala di Giudea" (attuale Jish in arabo, Gush Halav in ebraico, nell'attuale Galilea) ed emigrò a Tarso con i parentes (genitori o nonni) quando la città fu conquistata dai Romani.[14] Non è chiara la fonte ("favola") dalla quale attinge Girolamo. Il dettaglio della conquista romana della città è verosimilmente un anacronismo: vere e proprie operazioni militari romane in Giudea sono testimoniate sotto Gneo Pompeo Magno (63 a.C.) e soprattutto durante la prima guerra giudaica (66-74), che vide la cattura di Giscala nel 67 per resa all'allora generale Tito.[44] Per questo gli studiosi contemporanei rigettano l'ipotesi della nascita a Giscala, sebbene rimanga possibile un'origine galilaica dei suoi antenati, probabilmente nonni, poi trasferitisi a Tarso.
Nessun dato delle fonti storiche accenna direttamente alla data di nascita, sebbene alcuni sporadici e generici accenni siano presenti nel Nuovo Testamento. In At 7,58 , in occasione del martirio di Stefano avvenuto pochi anni dopo la morte di Gesù (circa prima metà degli anni 30), Saulo è detto giovane. In At 9,1-2 l'incarico ufficiale ottenuto dal Sommo Sacerdote, di poco precedente alla conversione collocata attorno alla metà degli anni 30, suggerisce una certa maturità anagrafica. In Fm 9 , scritta nei primi anni 60, Paolo si definisce vecchio. È diffusa convinzione tra gli studiosi che la nascita vada collocata, verosimilmente ma non sicuramente, attorno al 5-10 d.C.
Circa i primi anni della sua vita, in At 22,3 e At 26,4 Paolo si dice cresciuto a Gerusalemme, dove studiò alla scuola di Gamaliele. Non è chiaro quando si trasferì nella città santa da Tarso. La Mishnah (fine II secolo) stabilisce a 15 anni l'inizio dello studio del Talmud,[45] ed è pertanto possibile che si sia trasferito all'inizio della giovinezza.
Persecutore
In At 7,58 ; At 8,1 (ripreso da At 22,20 ), alla sua prima comparsa nella narrazione biblica, Paolo viene descritto come presente e accondiscendente all'uccisione di Stefano (attorno al 35), il primo martire cristiano, sebbene non sia stato direttamente partecipe della sua lapidazione ma il semplice "custode dei mantelli" dei lapidatori. In seguito, prima dell'adesione al cristianesimo, Paolo aveva ricoperto ruoli di particolare rilievo nelle alte sfere religiose ebraiche relativamente alla persecuzione dei cristiani. Il suo zelante operato è accennato direttamente in diversi passi di Atti e delle lettere (At 8,3 ; At 9,1-2 ; At 26,9-11 ; Gal 1,13-14 ; 1Cor 15,9 ; Fil 3,6 ; 1Tim 1,13 ), mentre in altri passi sono riportati gli echi indiretti della sua persecuzione (At 9,13 ; At 9,21 ; At 9,26 ; Gal 1,23 ).
Le modalità pratiche e il contesto di questa persecuzione paolina, probabilmente descritta con toni esagerati, non sono chiare. È possibile che la sua azione si sia limitata alla sola comunità di Gerusalemme e in seguito, quando la persecuzione portò alla dispersione dei credenti, cercò di rivolgersi anche ai profughi cristiani fuori dalla città, nella fattispecie quelli residenti a Damasco (At 9,2 ). I riferimenti biblici indicano che questa persecuzione ebraica, all'interno della quale appunto operava Paolo, inizialmente non fu rivolta a tutti i cristiani indistintamente ma solo ai cosiddetti ellenisti, cioè i cristiani di cultura greca come Stefano e Filippo. Gli apostoli (e i giudeo-cristiani) invece sembrano rimanere indisturbati (At 8,1 ; At 8,14 ), salvati dalla loro appartenenza alla comunità giudaica e dalla adesione ai precetti religiosi della fede ebraica. Dalle fonti storiche non appare chiara l'effettiva portata di questa persecuzione ebraica: Giuseppe Flavio, principale e preziosa fonte extra-cristiana circa il medio-oriente del I secolo, non fa cenno di una sistematica persecuzione e anche nel testo biblico le uccisioni dirette descritte sono solo quella di Stefano e dell'apostolo Giacomo "il Maggiore" (At 12,1-2 , attorno al 44), alle quali va aggiunta in seguito quella di Giacomo "il Giusto" (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche 20,9, attorno al 62). È possibile che la persecuzione ebraica (e paolina) sia stata più una questione giuridico-religiosa, finalizzata alla scomunica e all'interdizione dei cristiani dal culto della sinagoga e del tempio, che un sistematico eccidio.
L'accenno al voto circa la condanna capitale di At 26,10 sembra suggerire una sua appartenenza al Gran Sinedrio di Gerusalemme, il consiglio religioso ebraico di 70 membri (71 col Sommo Sacerdote) al quale solo spettava il voto e la delibera (ma durante l'occupazione romana non l'esecuzione, vedi il caso di Gesù) delle condanne a morte per motivi religiosi, dal quale lo stesso Paolo sarà giudicato (At 22,30-23,10 ). Questa appartenenza sinedrita farebbe di Paolo uno degli Ebrei più noti e rilevanti dell'ebraismo dell'epoca, ma viene solitamente esclusa dagli studiosi anche perché non direttamente affermata dai testi biblici e non usata nelle sue lettere quando in vari loci presenta le sue credenziali. In tal senso, il suo "voto" per la condanna a morte dei cristiani deve essere inteso come un semplice consenso.
Conversione
Per approfondire, vedi la voce Conversione di San Paolo |
L'evento della conversione di Paolo è descritto esplicitamente negli Atti degli Apostoli e accennato implicitamente in alcune lettere paoline.
In At 9,1-19 c'è la descrizione narrativa dell'accaduto, che è raccontato nuovamente dallo stesso Paolo con lievi variazioni sia al termine del tentativo di linciaggio a Gerusalemme (At 22,6-16 ) che durante la comparizione a Cesarea davanti al governatore Porcio Festo e al re Marco Giulio Agrippa II (At 6,12-18 ):
La conversione di Paolo avviene in due momenti:
- la folgorazione con la conseguente cecità, sulla via di Damasco;
- l'incontro con il giudeo-cristiano Anania e il battesimo ricevuto dalle sue mani.
La tradizione artistica successiva ha immaginato la caduta a terra come una caduta da cavallo ma il particolare è assente da tutti e tre i resoconti, sebbene rimanga possibile e verosimile poiché l'evento si verificò durante il viaggio.
Inizio della predicazione
Secondo il resoconto di Atti (At 9,19-25 ), dopo la conversione sulla via di Damasco e il battesimo ricevuto da Anania, Paolo rimase nella città per un tempo indeterminato ("molti giorni"), predicando nelle sinagoghe il messaggio cristiano agli Ebrei. Questi però cercarono di ucciderlo e fu aiutato a scappare dai "suoi discepoli", che lo calarono di notte in una cesta facendolo uscire dalle mura cittadine. Da Damasco si recò poi a Gerusalemme (At 9,26 ).
Questo resoconto è integrabile con alcune sporadiche informazioni presenti nelle lettere paoline. In 2Cor 11,32-33 Paolo racconta l'episodio della fuga nella cesta, collocandolo cronologicamente durante il dominio sulla città da parte del re nabateo Areta IV (verso la fine degli anni 30[39]).
In Gal 1,17 Paolo specifica che dopo la conversione (e quindi il suo arrivo a Damasco), si recò in Arabia (da intendersi come il regno dei Nabatei nell'attuale Giordania, poi compreso nella provincia romana di Arabia), per poi ritornare dopo un tempo indefinito nuovamente a Damasco.
Il soggiorno a Damasco quindi sembra essere stato duplice, presentato come unico da Atti che omette il viaggio in Arabia. I biblisti collocano la fuga nella cesta, al termine del secondo soggiorno.[46] Circa il viaggio in Arabia non sono noti il motivo, i luoghi visitati, la durata e i risultati conseguiti. È verosimile che sia stato caratterizzato, come gli anni successivi, dalla predicazione del cristianesimo nelle sinagoghe.
Secondo At 9,26-30 , giunto a Gerusalemme fu accolto inizialmente con freddezza e timore dai cristiani della città a motivo del suo passato di persecutore dei cristiani. Il giudeo-cristiano Barnaba si fece suo garante, iniziando così con Paolo una collaborazione che durerà negli anni successivi.
Nella città santa continuò a predicare nelle sinagoghe ma anche qui, come a Damasco, fu costretto a fuggire nella sua città natale Tarso. Gal 1,18-19 aggiunge alcune precisazioni: questa prima visita a Gerusalemme avvenne "3 anni dopo"[38] la sua conversione, fu breve ("15 giorni"), vide l'incontro di Paolo con Pietro e Giacomo.
Ad Antiochia
Dopo essere fuggito da Gerusalemme, Paolo rimase a Tarso diversi anni (tra i 5 e i 10 a seconda delle varie ricostruzioni cronologiche, v. sopra). Di questo lungo periodo oscuro della sua vita rimane solo l'accenno di Gal 1,21 che vede Paolo recarsi in Siria e Cilicia, cioè nei dintorni di Tarso. Non è esplicitato il motivo di questi viaggi ma è presumibile che si riferissero a una predicazione itinerante e come per il caso della predicazione precedente in Arabia non sono noti luoghi visitati, durata e risultati conseguiti.
In Atti Paolo fa la sua ricomparsa solo in At 11,25-26 quando il suo mentore Barnaba, inviato dalla chiesa di Gerusalemme ad Antiochia di Siria, lo va a cercare nella vicina Tarso per farne un suo collaboratore e lo conduce nella città siriaca, allora la principale metropoli del medio-oriente. Qui Paolo rimarrà strettamente legato alla comunità cristiana per alcuni anni. La tradizione cristiana ha conservato memoria di una grotta, detta di San Pietro, nella quale si sarebbe riunita la chiesa di Antiochia.[47]
Dopo "un anno intero" di permanenza, Paolo e Barnaba si recarono a Gerusalemme (seconda visita, vedi At 11,27-30 ; At 12,21-25 ). Occasione del viaggio fu una colletta[48] della chiesa di Antiochia per la chiesa di Gerusalemme in vista di una carestia che, stando al racconto di Atti, era stata predetta da un cristiano di nome Agabo. Dopo aver portato le offerte della colletta ritornarono ad Antiochia. La notizia della morte di Erode Agrippa I (44 d.C.), collocata tra la partenza e il ritorno di Paolo e le informazioni pervenuteci da autori extra-cristiani circa la prolungata carestia in Palestina, collocano l'accaduto attorno alla metà degli anni 40.[42]
In passato da alcuni biblisti questa seconda visita veniva fatta coincidere con quella descritta in Gal 2,1-9 (vedi paragrafo cronologico sopra), ma attualmente vi è accordo nel considerare quest'ultima come coincidente con la terza visita, quella del concilio di Gerusalemme (v. dopo).
Primo viaggio
Dopo un tempo imprecisato dal ritorno dalla seconda visita a Gerusalemme, Paolo partì per il primo di quelli che saranno i suoi tre viaggi missionari itineranti. Il viaggio è descritto in At 13-14 . Protagonisti furono (almeno) Paolo, Barnaba e per il tratto iniziale Giovanni-Marco, cugino di Barnaba (Col 4,10 ), che in seguito comporrà a Roma il secondo vangelo. In questo viaggio Paolo sembra avere inizialmente un ruolo subordinato a Barnaba per poi progressivamente scavalcare il suo primato durante il viaggio.[49] Le regioni toccate sono Cipro, terra natale dello stesso Barnaba (At 4,36 ) e la Galazia[50] (attuale Turchia centrale). La durata, a seconda delle varie ricostruzioni cronologiche, è tra i 2 e 5 anni, collocabili nella seconda metà degli anni 40 (v. sopra). I destinatari della predicazione sono principalmente gli Ebrei ma anche i pagani.
- 13,1-4: partenza da Antiochia, imbarco a Seleucia verso Cipro;
- 13,5: arrivo a Salamina di Cipro, inizio della predicazione nelle sinagoghe;
- 13,6-12: attraversamento dell'isola (nell'entroterra o navigando lungo la costa sud?) e arrivo a Pafo, incontro e disputa col falso mago Elimas Bar-Iesus, "conversione" (?) del proconsole[51] romano Sergio Paolo (del quale assunse il cognome? V. sopra). Presso la chiesa bizantina di Chrysopolitissa di Pafo è situata una bassa colonna, detta di san Paolo (foto), alla quale la tradizione vuole che sia stato legato e flagellato prima della conversione del proconsole. Data la totale assenza di avversità di Sergio Paolo verso gli apostoli che traspare dal racconto biblico il particolare appare leggendario.
- 13,13-14: imbarco da Pafo, sbarco ad Attalia (particolare tralasciato, la città era il porto del capoluogo Perge, nell'entroterra), arrivo a Perge, abbandono di Giovanni-Marco. Il motivo della separazione non è descritto e il successivo accenno di At 15,37-38 lascia intuire che devono essersi create tensioni tra Paolo e Marco, forse per il passaggio in secondo piano del cugino Barnaba a favore della leadership di Paolo.
- 13,14-52: arrivo ad Antiochia di Pisidia (città di Sergio Paolo? Dietro suo invito?), predicazione agli Ebrei, successo e opposizione dagli Ebrei, scacciata dalla città.
- 13,51-14,6: arrivo a Iconio, predicazione con successo e opposizione di alcuni Ebrei, scacciata dalla città.
- 14,6-20: arrivo a Listra in Licaonia, predicazione e guarigione miracolosa di un paralitico, la folla scambia Barnaba per Zeus e Paolo per Hermes e loro rifiuto, arrivo di alcuni Giudei dalle città già visitate che sobillano la folla, lapidazione di Paolo, partenza per Derbe.
- 14,20: predicazione a Derbe con successo.
- 14,20-28: ritorno attraverso le città già visitate (Listra, Iconio e Antiochia), organizzazione delle comunità cristiane, predicazione a Perge, imbarco ad Attalia, ritorno ad Antiochia di Siria.
Nonostante le avversità da parte dei Giudei il viaggio si rivelò complessivamente fruttoso. Alle chiese fondate Paolo indirizzerà in seguito la Lettera ai Galati.
Concilio di Gerusalemme
Per approfondire, vedi la voce Concilio di Gerusalemme |
Dopo un periodo imprecisato ("non poco tempo") dal ritorno ad Antiochia scoppiò un dissidio nella comunità che porterà al cosiddetto "concilio di Gerusalemme" con la terza visita di Paolo nella città santa. La descrizione degli eventi è contenuta in At 15,1-35 e, sotto una prospettiva diversa, in Gal 2,1-9 . In passato alcuni biblisti hanno ipotizzato che il racconto di Galati non corrispondesse a questa terza visita ma fosse da collocare nella seconda visita, durante la quale Paolo portò le offerte per la carestia. Attualmente la maggior parte degli esegeti però rifiuta questa ipotesi, ritenendo che At15 corrisponda a Gal2.[52]
La questione riguardava le recenti conversioni al cristianesimo di alcuni pagani (detti ellenisti) che erano avvenute nella città. Fino a quel momento le comunità cristiane erano composte prevalentemente da Ebrei che avevano accettato la messianicità di Gesù e la sua risurrezione (detto giudeo-cristiani), i quali accettavano le prescrizioni della Legge ebraica nella quale erano cresciuti, in primis la circoncisione. I pagani convertiti erano però estranei dalla tradizione ebraica e, soprattutto, non erano circoncisi. Per questo "alcuni" (probabilmente giudeo-cristiani di origine farisaica) venuti dalla Giudea ad Antiochia insegnavano la necessità della circoncisione che doveva essere imposta loro. A questa richiesta si opposero Paolo e Barnaba. Il confronto con la vita e la predicazione di Gesù non forniva chiare indicazioni a favore di una delle due posizioni: Gesù stesso era un ebreo circonciso e osservante i precetti della Legge ebraica, ma nella sua predicazione appare come costante ricorrente il contrasto con alcuni di questi precetti (vedi p. es. il ritornello "è stato detto... ma io vi dico" del discorso della montagna) e con la modalità esteriore e formale con la quale le autorità farisaiche li applicavano e insegnavano ad applicarli.
Per risolvere questa impasse Paolo e Barnaba si recarono a Gerusalemme (Gal 2,2 precisa che il motivo del viaggio fu "per una rivelazione"). Qui ebbe luogo la discussione, che la tradizione cristiana indica come il primo concilio, che vide in definitiva la vittoria della posizione paolina ("non cedemmo neppure un istante", Gal 2,5 ): ai nuovi convertiti non occorreva imporre l'osservanza della legge ebraica ("non fu imposto nulla di più", Gal 2,6 ), ma solo di alcune norme fondamentali, cioè l'astensione "dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia" (At 15,28-29 , particolare omesso da Gal).
Nonostante l'atmosfera irenica che traspare dal resoconto di Atti, lo scontro tra le due fazioni dovette essere abbastanza aspro, come testimoniato da Galati. Inoltre il comune accordo raggiunto a Gerusalemme non impedì che la questione avesse uno strascico successivo, il cosiddetto "incidente d'Antiochia" (riferito dal solo Paolo in Gal 2,11-14 ). A quanto pare la comunità giudeo-cristiana continuava a vedere gli ellenisti come una sorta di cristiani di "seconda categoria", arrivando a scindere la mensa (eucaristica?) per le due distinte comunità. Pietro si lasciò coinvolgere in questa separazione, contraria allo spirito paritario emerso al Concilio, coinvolgendo anche Barnaba e venendo per questo apertamente ripreso da Paolo.
Anche Paolo tuttavia non si attenne strettamente al Concilio: in seguito fece circoncidere Timoteo affinché venisse accettato anche dai Giudei e dai giudeo-cristiani (At 16,1-3 ).
Secondo viaggio
Il secondo viaggio missionario è narrato in At 15,36-18,22 . Protagonisti furono (almeno) Paolo e Sila-Silvano, ai quali si aggiunse poco dopo Timoteo. Grande assente è Barnaba, il quale si recò col cugino Giovanni-Marco nella natale Cipro e col quale Paolo sembra aver interrotto la collaborazione (At 15,39 ). Paolo è il capo indiscusso del viaggio. Le regioni toccate sono la Galazia del sud, evangelizzata nel primo viaggio e quindi la Macedonia e la Grecia. La durata, a seconda delle varie ricostruzioni cronologiche, è circa 4-5 anni, collocabili attorno al 50 (v. sopra).
- 15,36-41: partenza di Paolo e Sila da Antiochia, passaggio per Siria e Cilicia (forse transito da Tarso).
- 16,1-5: passaggio per Derbe e Listra (forse anche Iconio e Antiochia di Pisidia visitate nel primo viaggio), a Listra aggregazione di Timoteo.
- 16,6-11: attraversamento di Frigia e Galazia (è possibile che sia intesa la Galazia storica, situata nel nord attorno all'attuale Ankara, ma non sono nominate né qui né altrove nel NT comunità così a nord). Lo Spirito Santo (o "di Gesù") impedisce di recarsi in Asia e Bitinia, una visione indirizza Paolo in Macedonia, passaggio per la Misia, imbarco a Troade, arrivo a Neapoli.
- 16,12-40: arrivo a Filippi, predicazione e conversione di Lidia (prima cristiana europea), esorcismo di una schiava indovina, denuncia dei padroni con bastonamento e prigionia, liberazione miracolosa.
- 17,1-10: passaggio per Anfipoli e Apollonia, arrivo a Tessalonica, predicazione e conversioni, avversione dei Giudei e fuga.
- 17,10-14: arrivo a Berea, predicazione e conversioni, avversione di alcuni Giudei, partenza.
- 17,15-34: arrivo ad Atene, discorso all'Areopago, varie conversioni tra cui Dionigi l'Areopagita.
- 18,1-18: arrivo a Corinto, incontro con Aquila e Priscilla appena espulsi da Roma da Claudio (49-50 d.C.[43]), predicazione e conversioni, permanenza "un anno e mezzo", avversione di alcuni Ebrei e incontro col proconsole Gallione (c.a 52 d.C., vedi Iscrizione di Delfi). Probabile stesura di 1-2 Tessalonicesi.
- 18,18-22: partenza da Corinto, passaggio da Cencre, sosta a Efeso, passaggio da Cesarea, saluto a Gerusalemme (quarta visita), ritorno ad Antiochia.
Terzo viaggio
Dopo un periodo imprecisato, Paolo partì (da solo o con altri?[53]) per il terzo viaggio missionario, descritto in At 18,23-21,15. Le regioni toccate sono le attuali Grecia e Turchia, già visitate nei viaggi precedenti. La durata, a seconda delle varie ricostruzioni cronologiche, è circa 5-6 anni, collocabili attorno alla metà degli anni 50 (v. sopra).
- 18,23-28: partenza di Paolo da Antiochia, passaggio per Galazia e Frigia. Parentesi sull'arrivo a Efeso di Apollo e sua partenza per l'Acaia.
- 19,1-41: arrivo di Paolo a Efeso, predicazione per tre mesi nella sinagoga, predicazione per 2 anni nella scuola di un certo Tiranno, guarigioni ed esorcismi, tumulto degli Efesini guidato da un certo Demetrio in difesa del culto (e del commercio legato ad esso) della dea Artemide. Nel racconto di Atti non è descritta una prigionia a Efeso ma è possibile che a questa si riferiscano alcuni accenni delle sue lettere (1Cor 15,32 ; 2Cor 1,8-10 ). In questo prolungato e fruttuoso soggiorno a Efeso i biblisti collocano la redazione di 1 Corinzi, Galati e forse Filippesi (in questa lettera si dice prigoniero, 1,7.13.17, ed è possibile che sia stata scritta nella successiva prigionia di Cesarea o Roma).
- 20,1-2: partenza di Paolo per la Macedonia (attuale Grecia del nord) con probabile soggiorno a Tessalonica e redazione di 2 Corinzi. In Rm 15,19 Paolo menziona l'Illiria, regione che comprendeva la costa dell'attuale Croazia e l'Albania, che avrebbe raggiunto con la sua predicazione. Nelle sue lettere e in Atti non compare un resoconto o accenni più precisi a tale viaggio: è possibile che abbia fatto un breve viaggio in Albania durante il soggiorno a Tessalonica,[54] o più verosimilmente che abbia esagerato la descrizione del suo campo di predicazione, che porterebbe a intendere il passo di Rm come "da Gerusalemme fino ai confini dell'Illiria".
- 20,2-3: arrivo "in Grecia" e soggiorno di tre mesi (verosimilmente a Corinto, con redazione di Romani) interrotto per avversione dei Giudei.
- 20,3-13: ritorno con altri compagni (tra cui Luca?) in Asia passando per la Macedonia, imbarco a Filippi (sic, verosimilmente da Neapolis), sbarco a Troade e breve soggiorno di una settimana, durante la predica di Paolo in una celebrazione eucaristica un ragazzo di nome Eutico si addormenta e muore cadendo dalla finestra, Paolo lo risuscita.
- 20,13-38: Paolo a piedi ad Asso, imbarco per Mitilene, passaggio per Chio, Samo, arrivo a Mileto dove incontra gli "anziani" (presbiteri) di Efeso senza recarvisi (per paura di tumulti?), lungo discorso di addio, imbarco per il ritorno.
- 21,1-15: ritorno passando per Cos, Rodi, Patara, Cipro, Tiro con soggiorno una settimana, Tolemaide, Cesarea con soggiorno presso l' "evangelista" Filippo, pre-annuncio da parte del profeta Agabo dell'arresto di Paolo, arrivo a Gerusalemme (quinta visita).
Durante il suo soggiorno a Efeso Paolo cominciò a organizzare la cosiddetta "colletta dei santi", una raccolta di offerte tra le sue comunità a favore della chiesa giudeo-cristiana di Gerusalemme (che non va confusa con la colletta in vista della carestia descritta in At 11,27-30 ). Il particolare è assente nella descrizione di Atti ma ricorre con insistenza nelle lettere alle varie comunità (vedi in particolare 1Cor 16,1-4 ; 2Cor 8-9 ; Rm 15,25-27 ) e sembra una "clausola" del concilio di Gerusalemme (Gal 2,10 ). È verosimile che Paolo abbia portato il frutto della raccolta a Gerusalemme al termine del viaggio (Rm 15,25-26 ), nella sua quinta e ultima visita che lo vedrà imprigionato. Oltre al valore meramente assistenziale per i poveri della città santa, la colletta aveva un forte significato simbolico-teologico: i giudeo-cristiani potevano vedere le comunità paoline come eretiche, in quanto staccate dalla Legge ebraica e Paolo con questo gesto affermava tangibilmente la sottomissione delle sue comunità alla chiesa madre di Gerusalemme.
Arresto e viaggio verso Roma
Il motivo dell'arrivo a Gerusalemme è dettato verosimilmente dalla necessità di portare alla chiesa locale i frutti della "colletta dei santi". Gli eventi successivi all'arrivo sono ampiamente descritti a partire da 21,15. Viene narrato un nuovo incontro con Giacomo, dal quale traspare la tensione e il sospetto che ancora, nonostante le decisioni del concilio di Gerusalemme ribadite dallo stesso Giacomo in 21,25, dovevano esserci tra i giudeo-cristiani e le comunità paoline: "hanno sentito dire di te che vai insegnando a tutti i Giudei sparsi tra i pagani che abbandonino Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le nostre consuetudini" (21,21). Giacomo gli consiglia di recarsi nel tempio per purificarsi assieme a quattro uomini che avevano fatto un voto (verosimilmente il nazireato), testimoniando così pubblicamente la sua adesione formale all'ebraismo.
Dopo una settimana, mentre si trovava nella spianata del tempio Paolo fu riconosciuto da alcuni Ebrei dell'Asia (probabilmente Efeso) e fu accusato, oltre di aver predicato "contro la legge e contro questo luogo", di aver introdotto un pagano (l'ellenista Trofimo di Efeso) nel recinto del tempio riservato agli Ebrei. L'accusa era falsa (Paolo era accompagnato da Trofimo ma non nel tempio) ma il reato era grave, prevedendo la morte per il trasgressore.
Ne derivò un tumulto nel quale Paolo rischiò il linciaggio. Intervenne un tribuno romano, un certo Claudio Lisia (23,26;24,7;24,22), che dalla vicina fortezza Antonia poteva controllare la spianata del tempio e salvò Paolo dalla morte. Questi chiese all'ufficiale di rivolgersi alla folla inferocita e tenne un discorso nel quale raccontava la sua chiamata da parte di Gesù a predicare ai pagani, ma non riuscì a calmare il tumulto. Il tribuno lo portò al sicuro nella fortezza e stava per flagellarlo, ma Paolo rivelò di essere cittadino romano. Il giorno seguente il tribuno dispose un regolare processo del Sinedrio e Paolo riuscì abilmente a risvegliare i conflitti che intercorrevano tra sadducei e farisei, principali componenti del Sinedrio, conquistando il favore di questi ultimi. Risolto il processo con un nulla di fatto, alcuni giudei ordirono un piano per uccidere Paolo e il tribuno lo fece traferire a Cesarea, sede del governatore Felice, allegando una lettera nella quale specificava che "in realtà non c'erano a suo carico imputazioni meritevoli di morte o di prigionia".
A Cesarea lo raggiunsero il sommo sacerdote Anania e alcuni Giudei che lo accusarono formalmente di fronte al governatore, ma Felice non si pronunciò né per la condanna né per la scarcerazione, permettendogli di godere durante la sua detenzione di una certa libertà (24,23) fino allo scadere del suo mandato, due anni dopo (24,27). Il motivo di questo attesa può essere dovuto all'incertezza e alla prudenza con la quale i governatori romani esitavano a pronunciarsi circa le questioni religiose ebraiche, a loro indifferenti (vedi anche il caso di Gesù e Pilato, 18,31 e Paolo con Gallione, 18,15). Non sembra comunque che Felice lo trovasse colpevole, apparendo al contario ben disposto nei suoi confronti (24,24-27), anche se lo lasciò in prigione "volendo dimostrare benevolenza verso i Giudei".
Allo scadere del mandato di Felice gli successe Porcio Festo (circa 59/60 d.C.) e avvenne un secondo processo contro Paolo da parte dei capi dei Giudei. Anche in questo caso il governatore mostrò incertezza, non pronunciandosi né per una condanna né per la scarcerazione e Paolo si appellò al giudizio dell'imperatore, suo diritto in quanto cittadino romano, al quale Festo dovette acconsentire (verosimilmente con sollievo): "Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai" (25,12).
Dopo un tempo indeterminato ("diversi giorni") giunse a Cesarea il re Agrippa con sua moglie Berenice, discendente di Erode e sovrano di un limitato territorio nel nord dell'attuale Giordania e chiese di poter ascoltare Paolo. Al termine del suo lungo racconto, nel quale narrò nuovamente la sua chiamata da parte di Gesù risorto, sia il re che il governatore sembrano convinti della sua innocenza (26,30-32).
Verso autunno Paolo si imbarcò verso Roma con altri prigionieri (e con Luca?), sotto la custodia di un certo Giulio.[56] Anche in questo viaggio Paolo sembra godere di una discreta libertà e indulgenza (v. p. es. 27,3;27,43), come era stato trattato in precedenza dalle varie autorità romane. Le tappe del viaggio furono Sidone, la costa nord di Cipro, Mira di Licia, Buoni Porti e Lasea a Creta. Al largo di Creta la sua nave, un ponto , incappò in una tempesta e andò alla deriva per 14 giorni, durante i quali Paolo sembra essere stato la guida carismatica di passeggeri, marinai e soldati. Approdarono infine a Malta. Nell'isola è conservato il ricordo toponomastico del luogo dello sbarco nella Baia di San Paolo.
Secondo il resoconto di Atti, a Malta Paolo compì numerosi miracoli (28,1-10). Dopo tre mesi, finita la brutta stagione, il viaggio per mare verso Roma riprese passando per Siracusa,[57] Reggio,[58][59] Pozzuoli e quindi a piedi per il Foro di Appio e le Tre Taverne. A Roma la tradizione conserva il ricordo del luogo dove avrebbe dimorato Paolo agli arresti domiciliare per (almeno) due anni (28,30), nel quale è stata poi costruita la Chiesa di San Paolo alla Regola.
Durante questi arresti domiciliari a Roma scrisse probabilmente le lettere agli Efesini, ai Colossesi e forse Filemone.
Ipotesi sugli ultimi anni: quarto viaggio?
Il dettagliato resoconto degli Atti degli Apostoli termina con l'arrivo di Paolo a Roma, dove rimase almeno due anni (28,30). Quello che successe dalla fine di questi due anni (circa 62/63) alla morte di Paolo (tra il 64-67, vedi dopo) non è noto con certezza e dipende in particolare dal riconoscimento o meno dell'autenticità delle lettere pastorali, 1-2 Timoteo e Tito. Gli scenari possibili sono quattro e tutti ammettono la scarcerazione di Paolo dalla prigionia, particolare storicamente verosimile: secondo Atti, tutte le autorità incontrate da Paolo si mostrarono ben disposte verso di lui e non trovarono nel suo comportamento motivi che potessero portare a una condanna.[60]
Roma
Dopo i primi blandi arresti domiciliari seguì una seconda prigionia, più dura, causata dalla persecuzione anti-cristiana di Nerone collegata all'incendio di Roma, che terminò con la morte di Paolo.
A favore di questo scenario romano è la descrizione di Atti: l'autore nelle parti conclusive riporta due discorsi di addio di Paolo (ai "presbiteri" di Efeso in 20,17-38 e agli Ebrei di Roma in 28,17-31), suggerendo che il viaggio verso Roma rappresenti il capitolo conclusivo della vita dell'apostolo. D'altro canto, questo argomento del silenzio non tiene conto del fatto che numerosi eventi accennati nelle autografe lettere paoline non sono descritti nella narrazione di Atti (p. es. il viaggio in Arabia in Gal 1,17 , la prigionia a Efeso in 15,32;2Cor1,8-10, l'incidente di Antiochia in 2,11 e altri accenni generici in 11,24-27). In tale scenario non vi è spazio per le lettere pastorali, le quali accennano a eventi collegati a un quarto viaggio in oriente e che vanno pertanto considerate come pseudoepigrafe.
Spagna
Dopo la liberazione (o come condanna all'esilio) Paolo si recò in Spagna (quarto viaggio), come era sua intenzione (15,24.28), quindi tornò a Roma dove morì. Una conferma di questo viaggio può essere trovata in Clemente romano (fine I secolo), il quale riporta che la predicazione di Paolo avvenne "in oriente e occidente" e raggiunse "il confine dell'occidente".[61] L'accenno è antico ma troppo generico e caratterizzato da stile iperbolico e non può essere assunto come testimonianza certa del viaggio in Spagna. Il tardivo Canone muratoriano (circa 170) invece riferisce esplicitamente di una partenza di Paolo per la Spagna.[62] Anche l'apocrifo Atti di Pietro (seconda metà del II secolo) accenna a una partenza di Paolo dall'Urbe (Roma) per la Spagna.[63] Se il viaggio avvenne non è chiaro quando ebbe luogo (nel 63?), quali città visitò (Tarraco?) e con quali risultati.
In definitiva non esistono chiare indicazioni storiografiche antiche circa un quarto viaggio in Spagna e le opinioni degli studiosi sono variegate.[64]
Oriente
L'ipotesi di un quarto viaggio missionario in Oriente è un'opzione necessaria se si ammette l'autenticità delle lettere pastorali (1-2 Timoteo e Tito). Sulla base di accenni sporadici di queste tre lettere è possibile ricostruire alcune tappe del viaggio: Creta; Efeso; Macedonia, probabilmente Filippi e Tessalonica; Nicopoli; Corinto; Mileto; Troade. L'itinerario del viaggio comprendente queste tappe non è chiaro e rimane del tutto ipotetico. Una recente proposta,[65] in parte coincidente con l'itinerario suggerito dalla Catholic Encyclopedia (1911),[66] ipotizza:
- dopo la liberazione, da Roma Paolo e Tito si recano a Creta, dove Tito rimane (1,5);
- Paolo e Timoteo si recano a Efeso, dove Timoteo rimane (1,3);
- Paolo prosegue per la Macedonia (1,3) dove forse scrive 1 Timoteo e Tito;
- si reca (o intende recarsi) a Nicopoli in Epiro per svernare (3,12);
- probabile ritorno a Efeso (3,14) passando da Corinto e Mileto (4,20);
- probabile arresto a Troade (4,13-15): per turbamento dell'ordine pubblico? Dietro l'accusa di "Alessandro il ramaio"?
- secondo viaggio per Roma in prigionia dove scrive 2 Timoteo e attende la morte (1,16-17;2,9;4,6-8.16-18), forse per il clima anticristiano instaurato da Nerone.
Spagna e Oriente
Un quarto scenario, derivante dall'accettazione di tutte le indicazioni dei testi biblici e delle tradizioni cristiane antiche, ipotizza dopo liberazione a Roma sia il viaggio in Spagna che in Oriente (così la Catholic Encyclopedia). Questa ipotesi non gode attualmente di largo consenso tra i principali biblisti.
Morte
Secondo la tradizione cristiana Paolo morì durante la persecuzione di Nerone, decapitato (pena di morte dignitosa riservata ai cittadini romani) presso le Aquæ Salviæ, poco a sud di Roma, probabilmente nell'anno 67 dopo Cristo.
Dalle lettere di Paolo così dagli Atti degli Apostoli, scritti attorno all'80 (che terminano la narrazione con l'arrivo a Roma e con la prima blanda prigionia, una sorte di "custodia cautelare", in attesa di comparire di "fronte a Cesare") si possono ricavere informazioni utili per collocare dal punto di vista cronologico la vita di Paolo, ma, ovviamente, non per chiarire le circostanze della morte dell'apostolo.
La già citata Lettera ai Corinzi di Clemente romano (fine I secolo) accenna a un martirio di Paolo "sotto i prefetti", ma non esplicita il nome dei prefetti né luogo, data, motivo e modalità del martirio.[61]
Tertulliano (fine II secolo) riporta che a Roma "vinse la sua corona morendo come Giovanni" (Battista, cioè decapitato).[67]
L'apocrifo Martirio di San Paolo apostolo[68], facente parte degli Atti di Paolo (fine II secolo), descrive dettagliatamente la morte di Paolo per esplicito volere di Nerone. Come per gli altri apocrifi il testo viene giudicato leggendario dagli storici contemporanei.
« | In piedi, rivolto verso Oriente, Paolo pregò a lungo. Dopo aver protratta la preghiera intrattenendosi in ebraico con i padri, tese il collo senza proferire parola. Quando il carnefice gli spiccò la testa, sugli abiti del soldato sprizzò del latte. Il soldato e tutti i presenti, a questa vista, rimasero stupiti e glorificarono Dio che aveva concesso a Paolo tanta gloria; e al ritorno annunziarono a Cesare [i.e. Nerone] quanto era accaduto. Anch'egli ne rimase stupito e imbarazzato » | |
(Cap. 5)
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Secondo il testo apocrifo, dopo la morte Paolo apparve all'imperatore e ad altri cristiani.
Importante, per la sua antichità, è anche la testimonianza del presbitero Gaio, ecclesistico vissuto al tempo di papa Zefirino (199-217). In un suo scritto contro Proclo, capo della setta dei Montanisti (Catafrigi), parla dei luoghi ove furono deposte le sacre spoglie dei detti Apostoli (Pietro e Paolo) dicendo: "Io posso mostrarti i trofei degli Apostoli. Se vorrai recarti al Vaticano, o sulla via Ostiense, troverai i trofei dei fondatori di questa Chiesa".[69]
Eusebio attorno al 325 riporta che fu decapitato a Roma sotto Nerone (regno 54-68, che va verosimilmente ristretto al periodo 64-68 seguente al grande incendio di Roma e alla persecuzione anticristiana connessa) e citando la perduta Lettera ai Romani di Dionigi di Corinto (fine II secolo) colloca il martirio di Pietro e Paolo nello stesso giorno, senza però specificarlo.[70] Girolamo verso fine IV secolo precisa che fu decapitato a Roma e fu sepolto lungo la via Ostiense nel 14º anno di Nerone (67),[71] due anni dopo la morte di Seneca.[72]
L'apocrifo Atti di Pietro e Paolo (dopo il IV secolo) riferisce che la decapitazione di Paolo avvenne presso la via Ostiense lo stesso giorno della morte di Pietro, precisando la data del martirio al 29 giugno. La Storia di Perpetua, aggiunta contenuta in alcuni manoscritti greci, precisa che il luogo della decapitazione era chiamato Aquæ Salviæ ed era situato "vicino al pino". La data deriva probabilmente dal fatto che il 29 giugno 258, sotto l'imperatore Valeriano (253-260), le salme dei due apostoli furono trasportate nelle Catacombe di San Sebastiano e solo quasi un secolo dopo papa Silvestro I (314-335) fece riportare le reliquie di Paolo nel luogo della prima sepoltura. In questa data la tradizione cattolica celebra la solennità dei santi Pietro e Paolo.
Nel luogo dove secondo la tradizione avvenne il martirio, le Aquæ Salviæ, in seguito fu edificata l'Abbazia delle Tre Fontane, mentre sul luogo del sepolcro è stata costruita la Basilica di San Paolo fuori le mura. Per secoli il sepolcro era stato rimasto nascosto sotto al pavimento della basilica. Lavori archeologici svolti tra il 2002 e il 2006 sotto la guida di Giorgio Filippi lo hanno riportato alla luce.[73].
Il 29 giugno 2009, nella cerimonia ecumenica conclusiva dell'anno paolino, Benedetto XVI ha annunciato i risultati della prima ricognizione canonica effettuata all'interno del sarcofago di San Paolo.[74] Il pontefice ha riferito che "nel sarcofago, che non è mai stato aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per produrre una speciale sonda mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato di oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. È stata anche rilevata la presenza di grani di incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree". Il papa ha poi proseguito affermando che i "piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all'esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il primo e il secondo secolo [...] Ciò sembra confermare l'unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell'apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione".
Apocrifi e leggende successive
Come per altri personaggi del Nuovo Testamento la devozione cristiana ha elaborato numerose leggende e testi apocrifi relativi alla figura di Paolo.
- Negli vari manoscritti pervenutici (talvolta mutili) degli Atti di Paolo (seconda metà del II secolo) sono narrati vari discorsi e miracoli (guarigioni, esorcismi, risurrezioni) ambientati nelle località visitate da Paolo durante i suoi viaggi, incluso il quarto viaggio in oriente: Mira, Sidone (crollo del tempio di Apollo), Tiro, Efeso (dove viene inscenato un processo presso il governatore contro Paolo sulla base di 1,8-10), Filippi, Corinto, Damasco, Gerico (battesimo di un leone). Il testo contiene anche la descrizione leggendaria del martirio di Paolo (v. sopra).
- Gli Atti di Paolo e Tecla (facenti parte degli Atti di Paolo ma con tradizione autonoma) si inseriscono nella narrazione degli Atti degli Apostoli, a partire dalla predicazione di Paolo a Iconio (13,51-14,6), nel corso del primo viaggio missionario. L'apocrifo narra la vita di Santa Tecla descritta in maniera leggendaria e agiografica e il ruolo rivestito da Paolo è poco più che l'evangelizzatore della ragazza.
- La Lettera agli Alessandrini, citata nel Canone muratoriano (circa 170) come apocrifa, è andata perduta.
- Anche la Lettera ai Laodicesi è citata nel Canone muratoriano e sulla sua natura vi sono dubbi (probabilmente coincide con Efesini).
- La Lettera dei Corinzi a Paolo (seconda metà del II secolo) è un breve scritto nel quale i Corinzi informano Paolo dell'arrivo di Simone e Cleobio che portano nella comunità idee docetiste e gnostiche. La risposta pseudoepigrafa dell'apostolo è la Terza lettera ai Corinzi, nella quale ribadisce la dottrina cristiana.
- L'Apocalisse di Paolo copta (periodo imprecisato tra metà II secolo e IV secolo), prodotta in ambiente gnostico e pervenutaci frammetariamente, descrive in prima persona un viaggio di Paolo attraverso i sette cieli (sulla base di 12,2-4).
- L'Apocalisse di Paolo greca (metà III secolo) descrive in prima persona un viaggio in paradiso e inferno di Paolo guidato da Gesù. Questo testo ha ispirato la cosmologia ultraterrena della Divina Commedia di Dante.
- Le Lettere di Paolo e Seneca (IV secolo) sono 14 brevi epistole pseudoepigrafe relative a uno scambie epistolare che sarebbe intercorso tra Seneca e l'Apostolo durante la sua prigionia romana tra il 58 e il 64.
- Gli Atti di Pietro e Paolo (posteriori al IV secolo) narrano le vicende dei due apostoli a Roma. Qui descrivono la sfida davanti a Nerone con Simon Mago (che riecheggia la sfida di Paolo con Elimas Bar-Iesus davanti a Sergio Paolo di 13,6-12), che si conclude con la morte di questi caduto dopo un volo miracoloso. L'apocrifo termina con la descrizione della morte degli apostoli (v. sopra). La Storia di Perpetua racconta la sua miracolosa guarigione a un occhio in occasione della decapitazione di Paolo.
- La Legenda Aurea (XIII secolo) tratta della conversione di Paolo al cap. 28 (en) e della sua vita al cap. 90 (en) riprendendo notizie contenute nei testi biblici, nell'apocrifo Atti di Paolo e in alcuni Padri della Chiesa.
- Il Capitolo 29 degli Atti degli Apostoli (XIX secolo) racconta che da Roma, scagionato dalle accuse di Gerusalemme, Paolo si recò in Spagna e quindi in Britannia. Arrivò in una città e predicò sul monte Lud (attuale Ludgate Hill a Londra, sito della Cattedrale di San Paolo). Quindi partì e andò in Belgio, Svizzera dove incontrò Pilato, Illirico, Macedonia e Asia.
Opere di Paolo
Per approfondire, vedi la voce Lettere di San Paolo |
Le tredici lettere di Paolo del Nuovo Testamento sono scritte in greco. Tradizionalmente sono considerate redatte tra gli anni 50 e 60, durante il suo ministero itinerante e la prigionia a Cesarea e/o Roma. In epoca contemporanea, con lo svilupparsi del metodo storico-critico, sono stati sollevati dubbi circa l'autenticità di alcune di queste lettere:[75]
- Romani, 1-2 Corinzi, Galati, Filippesi, 1 Tessalonicesi e Filemone sono considerate dalla maggior parte dei biblisti come autentiche.
- per 2 Tessalonicesi, Efesini e Colossesi sono stati proposti alcuni dubbi.
- per le cosiddette "lettere pastorali", cioè 1-2 Timoteo e Tito i dubbi sono più seri e condivisi.
I dubbi sono dettati principalmente da motivi di ordine filologico: per alcune lettere, il vocabolario, lo stile narrativo e gli argomenti trattati sono diversi da quelli delle lettere considerate sicuramente autentiche. Tale diversità può comunque essere ricondotta a diversi periodi storici (anni 50 contro anni 60), diverso atteggiamento di Paolo (energico e combattivo nelle prime lettere, stanco e affaticato nelle lettere pastorali), diverso contesto dei destinatari (sistematizzazione della dottrina cristiana nelle prime lettere, attenzione alla comunità e ai ruoli nelle lettere successive).
Pensiero
Paolo rappresenta, dal punto di vista cronologico e anche per importanza rivestita nella tradizione successiva, il primo teologo cristiano. Le sue lettere sono state composte negli anni 50 e 60, prima dei vangeli sinottici (Mt, Mc, Lc, che contengono nozioni teologiche le quali sono però soprattutto implicite, non sviluppate ampiamente e sistematicamente e non riguardano il valore teologico della risurrezione che è solo narrata), del Vangelo di Giovanni (l'evangelista teologo per eccellenza, che esalta la natura divina di Gesù-Logos) e della Lettera agli Ebrei (il cui autore, probabilmente Apollo, interpreta il valore salvifico dell'operato di Gesù con categorie proprie della tradizione ebraica, concentrandosi però più sulla sua morte che sulla sua risurrezione).
Il punto centrale del pensiero teologico di Paolo, il quale si inserisce nella tradizione ebraica farisaica, è Gesù Cristo morto e risorto. Attorno a questo fulcro si concentra il "vangelo paolino"[76] annunciato durante le sue predicazioni missionarie e ad esso sono collegate le intuizioni teologiche contenute nelle sue lettere circa teologia, cosmologia, antropologia, soteriologia, morale, ecclesiologia, escatologia.
Nelle sue lettere queste intuizioni non sono strutturate in maniera organica, alla maniera dei catechismi cristiani moderni, ma compaiono in maniera frammentaria e talvolta ambigua: la successiva tradizione cristiana si è divisa sull'interpretazione di alcuni concetti paolini, in particolare circa la questione fede/opere che sta alla base della Riforma protestante di Lutero.
Gesù e Paolo
Per approfondire, vedi la voce Gesù |
Gesù, che Paolo indica comunemente con l'epiteto "Cristo" (cioè Messia) usato come nome proprio, rappresenta il centro del pensiero paolino. Il rapporto Gesù-Paolo può essere esaminato sotto tre punti di vista: tra le due persone fisiche, tra il messaggio di Paolo e il messaggio di Gesù, tra il messaggio di Paolo e Gesù.
Circa il rapporto fisico tra Gesù e Paolo, nei vangeli canonici non compare mai Paolo e sia dalle sue lettere che dagli Atti non pare che abbia conosciuto personalmente Gesù durante la sua predicazione in Palestina attorno all'anno 30 (probabilmente 28-30, vedi Data di morte di Gesù), nonostante Paolo vivesse in quel periodo a Gerusalemme. Il legame Gesù-Paolo è dunque principalmente un legame teologico, basato sulla fede nel risorto che, secondo la descrizione di Atti, incontrò sulla via di Damasco.
Circa il rapporto tra il messaggio diffuso da Paolo durante la sua predicazione e nelle lettere e il messaggio predicato da Gesù, questo non è di immediata comprensione. Le lettere paoline non riportano esplicitamente episodi (come nascita, vita, morte, miracoli) o detti o parabole relativi a Gesù, a parte sporadiche eccezioni (come la descrizione dell'istituzione dell'Eucaristia in 11,23-26) o alcuni sporadici riecheggiamenti, impliciti o espliciti.[77] Anche il Regno di Dio, vero oggetto della predicazione di Gesù, compare in Paolo solo alcune volte e in forma di poco più che accenni.[78] Questa mancanza nelle lettere di citazioni gesuane viene vista dai biblisti moderni non come una discontinuità storica tra i due messaggi ("Paolo non predicò né la vita né il messaggio di Gesù, il Regno di Dio"),[79] ma come dovuta alla mancanza di una inutile ripetizione di un messaggio che era comunque predicato (v. p. es. 5,2: "Voi ben sapete...") attraverso tradizioni orali e/o le prime raccolte scritte (i quattro vangeli furono definitivamente redatti dopo Paolo).
Il terzo aspetto, quello tra il messaggio di Paolo e Gesù, è quello più significativo. È innegabile che vi sia una certa continuità tra vita e messaggio di Gesù e pensiero di Paolo, ma il vero centro del messaggio paolino è rappresentato dalla risurrezione di Gesù, aspetto che non poteva essere esplicitamente presente nella sua predicazione itinerante palestinese. Attorno a Gesù risorto si collocano le principali intuizioni teologiche dell'apostolo.
Cristologia
Per approfondire, vedi le voci Cristologia, Messia, Dio e Trinità |
Come gli altri autori neotestamentari Paolo considera Gesù come il Cristo, cioè il Messia atteso dalla tradizione ebraica, ma non lo considera un semplice uomo in quanto gli attribuisce, oltre alla natura umana, anche quella divina. In questo il Cristianesimo si colloca in netto contrasto con la tradizione ebraica (secondo le descrizioni dei vangeli, il motivo ufficiale della condanna a morte di Gesù fu proprio la sua pretesa di essersi equiparato a Dio, vedi Processo di Gesù). I passi paolini che attribuiscono a Gesù la natura divina lo fanno in maniera esplicita, implicita, o gli attribuiscono caratteristiche proprie della natura divina.
L'unico passo chiaro ed esplicito relativo alla divinità di Gesù è 2,13, che lo definisce "grande Dio e salvatore". Nelle altre accezioni in cui Paolo usa il termine Dio è riferibile a Dio Padre, talvolta esplicitamente distinto da Gesù. Il valore teologico di questo passo viene sminuito da alcuni biblisti cristiani che negano l'origine paolina della Lettera a Tito (e delle altre lettere pastorali), considerandola pseudoepigrafa e datandola a fine I secolo e da biblisti di movimenti religiosi che negano la piena divinità di Gesù, i quali interpretano o modificano diversamente il passo paolino.[80]
Più controversa è l'interpretazione di 9,5 a causa anche della mancanza dei segni di punteggiatura nei manoscritti neotestamentari greci più antichi (onciali). La costruzione grammaticale della frase porta a interpretarla come un'esplicita affermazione della divinità di Gesù ("Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli").[81] È possibile però ipotizzare una punteggiatura diversa ("Cristo secondo la carne. [Sia] Dio, che è sopra ogni cosa, benedetto nei secoli"),[82] che distingue Cristo da Dio, ma corrisponde a una struttura grammaticale atipica nel greco neotestamentario.
La natura divina viene implicitamente attribuita a Gesù nell'inno cristologico di Filippesi, dove in Fil 2,6 , dove viene detto essente "in forma divina" (ἐν μορφῇ Θεοῦ) e "essere uguale a Dio (Padre)" (εἶναι ἴσα Θεῷ). Nell'inno cristologico di Colossesi (Col 1,15 ) viene detto "immagine del Dio invisibile" (εἰκὼν τοῦ Θεοῦ τοῦ ἀοράτου) e così anche in 2Cor 4,4 .
In altri passi vengono attribuite a Gesù caratteristiche proprie della natura divina, incompatibili con la natura umana, come la preesistenza e l'essere artefice della creazione (1,15-17; 1Cor 8,6 ). Entrambe queste caratteristiche venivano, nella tradizione ebraica precristiana, attribuite alla Sapienza di Dio.[83] Paolo, oltre ad attribuirle a Gesù, lo definisce esplicitamente come Sapienza in 1Cor 1,24.30 .
Lo Spirito Santo riveste nel pensiero di Paolo un ruolo fondamentale circa la vita e l'organizzazione della Chiesa (vedi dopo Ecclesiologia), non tanto in quanto realtà preesistente e compartecipe della creazione. In 2Cor 13,13 Paolo nomina assieme il Signore Gesù Cristo, Dio (Padre) e lo Spirito Santo. Non chiarisce la natura del legame tra i tre, considerati in maniera in qualche modo paritaria e la tradizione cristiana ha interpretato questo passo (assieme al simile 28,19 e altri) come fondamento scritturale del dogma della Trinità, già implicito nel riconoscimento della divinità di Gesù.
Antropologia
Circa l'antropologia di Paolo, al pari di tutte le altre cose l'uomo è stato creato tramite Gesù Cristo (v. sopra), ed era caratterizzato da una bontà originaria. Tuttavia in seguito al peccato originale di Adamo e ai successivi peccati degli uomini la condizione della natura umana è sostanzialmente negativa: "Non c'è nessun giusto, neppure uno" (3,10, vedi anche Rm 2,7-10.14 ; Rm 3,10-12.23 ;Rm 5;6,17.20 ; Rm 8,19-23 ; Ef 4,18 ; Col 1,21 ). Questa componente negativa è però bilanciata, nel pensiero di Paolo, dalla possibilità di salvezza nell'adesione a Cristo (giustificazione, vedi dopo).
Una parte della tradizione cristiana successiva ha enfatizzato il pessimismo antropologico paolino: in particolare Agostino definisce l'umanità come una "massa dannata", ripreso poi da Lutero e dalla tradizione protestante (vedi Depravazione totale).
Particolare è l'antropologia tripartita di 5,23: "spirito, anima e corpo" (πνεῦμα, ψυχὴ, σῶμα). Essa non ha altri riscontri né nell'Antico né nel Nuovo Testamento. Dai biblisti contemporanei il versetto viene inteso non come una vera e propria tripartizione, ma come indicazione dell'uomo nella sua totalità: spirito (rapporto con Dio), anima (rapporto con i propri stati mentali), corpo (rapporto con le cose).
Soteriologia
Per approfondire, vedi la voce Risurrezione di Gesù |
La soteriologia (cioè il discorso teologico relativo alla salvezza) paolina si fonda sulla crocifissione ("scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani" 1Cor 1,23 ) e soprattutto risurrezione di Gesù, tema dominante nelle lettere paoline.[84] Nel riconoscere la risurrezione di Gesù, della quale non mette in dubbio la storicità (1Cor 15,3-8 ), Paolo non si allontana dalla tradizione ebraica farisaica, la quale (a differenza dei Sadducei) accettava la dottrina della risurrezione come premio futuro per i giusti. Anche l'attribuzione del valore salvifico alla crocifissione non è il proprium teologico paolino: la Lettera agli Ebrei interpreta la morte in croce di Gesù con categorie proprie della tradizione ebraica, considerando Gesù vittima (agnello di Dio) e sacerdote, il cui sacrificio volontario è il compimento e superamento dei riti sacrificali tipici della religiosità dell'Antico Testamento necessari per riconciliare gli uomini peccatori con Dio.
Il punto di discontinuità di Paolo e del Cristianesimo con l'Ebraismo, oltre al riconoscimento della divinità di Gesù, è l'importanza fondamentale che la sua risurrezione riveste per i singoli credenti, tanto da costituire il centro della fede cristiana: "Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede" (1Cor 15,14 ). Il motivo di questa importanza sta nel fatto che il credente, in maniera misteriosa[85] e grazie al battesimo, diventa compartecipe del destino di Cristo di morte e risurrezione: "Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,3-11 , vedi anche Rm 4,25 ; Fil 3,10-11 ; 1Cor 15,20-22 ; Col 2,12-13 ). Grazie alla risurrezione di Gesù l'uomo ottiene la cosiddetta "adozione filiale", diventando Figlio di Dio come lo è Gesù (Gal 4,4-7 ).
Grazie alla risurrezione di Cristo il pensiero di Paolo esce dal pessimismo antropologico che lo caratterizza (v. sopra): "laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia, perché come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore" (Rm 5,20-21 ).
Giustificazione e grazia
Per approfondire, vedi le voci Giustificazione (teologia) e Grazia (teologia) |
Il concetto teologico-soteriologico che fa da tramite tra la risurrezione di Cristo e la vita dei credenti in lui è la giustificazione (δικαίωσις, dikàiosis), "l'articolo per mezzo del quale la Chiesa si regge o cade".[86] Esso è, nella sostanza, equivalente a "redenzione", "santificazione", "glorificazione", "salvezza" e comporta la realizzazione di un cambiamento nel rapporto tra Dio e l'umanità corrotta dal peccato originale e dagli altri peccati degli uomini, operato da Dio stesso, in vista del ristabilimento dello stato di giustizia originario. Nell'esistenza presente si manifesta con una "vita nuova" del cristiano e nella vita futura dopo la risurrezione comporta la compartecipazione alla gloria di Dio (paradiso).
La grazia (χάρις, chàris) è un concetto paolino strettamente collegato con la giustificazione: si tratta del favore o benevolenza che Dio mostra nei confronti dell'uomo peccatore, nonostante questi non se lo meriti. La giustificazione è l'effetto della grazia: "tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù" (Rm 3,24 ). Nella vita della Chiesa la grazia è correlata ai doni dello Spirito o carismi (vedi dopo Ecclesiologia).
Connesso ai temi della grazia e della giustificazione è quello della predestinazione. Dio ha concesso la grazia e la giustificazione a coloro che ha predestinato alla salvezza: "Quelli che egli [Dio] da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29 ). Questa predestinazione di alcuni va considerata, in maniera complementare, con la volontà di Dio di una salvezza universale: "[Dio] vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1Tim 2,4 ).
La successiva tradizione cristiana ha sottolineato della giustificazione caratteristiche distinte: a grandi linee e con notevoli distinguo tra i vari autori, mentre la tradizione protestante (luterana ma soprattutto calvinista, vedi elezione incondizionata) ha posto l'accento sull'operato di Dio, esaltandone la gratuità della giustificazione-grazia-salvezza (è Dio che salva chi vuole, alla nascita l'uomo è già predestinato o meno alla salvezza), la tradizione cattolica ha posto l'accento sull'operato dell'uomo, esaltando l'importanza del libero arbitrio e dell'impegno nella vita terrena (è l'uomo che si salva volendo).
L'interpretazione del rapporto tra fede e opere nell'ambito della dottrina della giustificazione è stata al centro dello scisma tra cattolici e protestanti nel XVI secolo.
Fede e opere
Il rapporto tra fede e opere in Paolo va relativizzato alla predicazione di Gesù e al vivace clima del cristianesimo apostolico. La maggior parte dei primi cristiani, tra i quali anche Paolo, appartenevano alla tradizione religiosa ebraica (definiti perciò giudeo-cristiani dai moderni), la quale era caratterizzata dall'osservanza una lunga serie di precetti (vedi 613 mitzvòt) contenuti nella Torah (Legge). Gesù, durante la sua predicazione itinerante, in linea di principio non si mostrò contrario ai precetti della legge (vedi in particolare Mt 5,17-20 ), ma ne criticò aspramente la modalità esteriore e formale con la quale le autorità farisaiche li applicavano e insegnavano ad applicarli, arrivando di fatto a rigettarne alcuni (come la rigida osservanza del riposo sabbatico e i numerosi precetti alimentari). Per Gesù, in questo non dissimile dai molti profeti veterotestamentari, il centro della Legge era l'amore a Dio e al prossimo (Mt 22,35-40 ), gli altri precetti erano importanti nella misura in cui erano conformi a questo duplice comandamento.
Durante la sua predicazione rivolta principalmente ai pagani greco-romani, Paolo mise al centro del suo annuncio la morte e la risurrezione di Gesù, trascurando di fatto la lunga precettistica ebraica (in primis la circoncisione) che era estranea dalla tradizione religiosa pagana. Facendo questo si attirò le critiche dei giudeo-cristiani. La situazione fu formalmente risolta durante il Concilio di Gerusalemme (circa 48-49), nel quale fu stabilito che i nuovi convertiti non dovessero osservare i precetti ebraici, neanche la circoncisione, ma solo astenersi "dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia" (At 15,28-29 ). La soluzione però fu tutt'altro che pacifica e diversi falchi della componente giudeo-cristiana continuarono negli anni seguenti la loro opposizione a Paolo (At 21,21 , circa 57-58).
La concettualizzazione teorica paolina del problema è presente principalmente nella Lettera ai Galati e ai Romani. Alle "opere della Legge" (cioè l'attualizzazione esteriore dei riti e precetti ebraici) Paolo contrappone la fede (cioè l'adesione interiore a Gesù Cristo morto e risorto), assegnando valore soteriologico prevalentemente a questa. Il valore soteriologico della Legge viene dunque quanto meno relativizzato: "La legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo" (Gal 3,24-25 ); "Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge; siete decaduti dalla grazia. Noi infatti per virtù dello Spirito, attendiamo dalla fede la giustificazione che speriamo" (Gal 5,4-5 ); "Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge" (Rm 3,28 ). La successiva tradizione cristiana ha accolto questa interpretazione paolina rigettando l'estesa precettistica formale ed esteriore contenuta nell'Antico Testamento (per esempio, per il cristianesimo non è necessaria la circoncisione).
Nel XVI secolo il tema del rapporto tra fede e opere tornò alla ribalta con la predicazione di Lutero. La vita cristiana nella Chiesa cattolica di allora era caratterizzata, come è noto, da una eccessiva attenzione posta al culto delle reliquie (che venivano talvolta considerati come oggetti magici e/o amuleti), alla venerazione dei santi (che venivano talvolta visti come semi-divinità) e alla "pia devozione" (de facto, una sorta di commercio) delle indulgenze (che potevano essere considerate come una sorta di "salvacondotta" da acquistare mentre si poteva condurre una vita dissoluta). Lutero si scagliò energicamente contro questi eccessi, considerandoli una nuova versione di "opere della Legge", mettendo al centro nuovamente l'adesione interiore del cristiano, tramite la fede, al mistero di Gesù Cristo (sola fide[87]). Nei cinque secoli successivi, a grandi linee, la tradizione protestante ha continuato a mettere al centro della vita cristiana la fede, intesa adesione interiore a Cristo, mentre la tradizione cattolica ha sottolineato l'importanza delle opere, intese come azioni fattive di carità. La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (Augusta, 31 ottobre 1999), redatta da teologi cattolici e luterani, ha chiuso il dibattito secolare stabilendo la complementarità e non l'esclusività delle due interpretazioni.[88]
Morale
Alla condotta morale Paolo dedica gli ultimi capitoli di alcune delle sue lettere (cosiddette sezioni "parenetiche", cioè esortative), mentre le parti iniziali si concentrano sui concetti dogmatici sopra esposti. Anche in questi testi la trattazione non è propriamente sistematica ma si tratta di indicazioni di vario genere, spesso contestualizzate in problemi che riguardavano i credenti e le comunità alle quali scriveva.
Il fondamento della morale sociale paolina è l'uguaglianza degli esseri umani in Cristo Gesù, che ha creato e redento tutti indistintamente: "Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3,28 ). Questa uguaglianza, presente già nel messaggio di Gesù, rappresenta una notevole discontinuità con la tradizione religiosa e sociale sia ebraica che pagana. Paolo riprende da Gesù anche il nucleo centrale della morale: l'agape (αγάπη), soltamente tradotto con "carità" ma che ha un significato semantico più ampio della semplice elemosina che il termine italiano solitamente indica (Rm 13,8-10 e soprattutto lo splendido "inno all'agape" di 1Cor 13 ).
Dal punto di vista pratico, Paolo (come Gesù) non fu un rivoluzionario, cioè non propose l'abolizione delle strutture ingiuste della società. Non predicò direttamente l'abolizione della guerra, né della schiavitù (Ef 6,5 ; Col 3,22-25 ), né la ribellione contro governi iniqui (Rm 13,1-3 ), né l'emancipazione delle categorie socialmente svantaggiate (donne Ef 5,24 ; Col 3,18-19 , figli Ef 6,1 , poveri). Tuttavia alcuni passi delle sue lettere portano il cristiano a rigettare di fatto l'ingiustizia nelle relazioni sociali: Paolo predicò l'amore per i nemici (Rm 12,20 ), un trattamento giusto e umano nei confronti degli schiavi (Ef 6,9 ; Col 4,1 ; Fm 15-16 ), il dovere dei mariti di amare le mogli come loro stessi (Ef 5,28 ) e di non essere severi coi figli (Ef 6,4 ), il dovere di aiutare i poveri (tema centrale della cosiddetta "colletta dei santi" ricorrente in alcune sue lettere).
Circa la morale sessuale, Paolo si trova in continuità con gli insegnamenti della tradizione ebraica e di Gesù, esaltando il valore del matrimonio e condannando i comportamenti sessuali extraconiugali. Diversamente dalla predicazione di Gesù, rivolta a Ebrei saldamente radicati nella Legge ebraica, il tema delle condanne sessuali è particolarmente presente nelle lettere paoline, in quanto nel mondo greco-romano in cui sono inserite le sue comunità erano comuni varie forme di licenza sessuale. Ricorrente è la condanna della porneia, che indica genericamente ogni tipo di relazione sessuale extraconiugale o contro natura, variamente tradotta con "prostituzione", "fornicazione", "impurità", "adulterio". Anche l'omosessualità è espressamente condannata da Paolo (Rm 1,26-27 ; 1Cor 6,9-10 ; 1Tim 1,9-10 ).
Un elemento presente nel pensiero paolino, che non poteva trovarsi nella tradizione ebraica e nell'insegnamento di Gesù, è quello dell'accostamento della relazione moglie-marito a quella Cristo-Chiesa (Ef 5,31-32 ; 2Cor 11,2 ). Diversamente dalla Legge ebraica, che ammetteva il ripudio della moglie da parte del marito e seguendo Gesù, Paolo considera il matrimonio indissolubile da ambo le parti (1Cor 7,10 ). Fa però eccezione il cosiddetto "privilegio paolino", il divorzio nel caso di un coniuge non credente (1Cor 7,15 ), assente nell'insegnamento di Gesù e accolto dalla successiva tradizione cristiana.[89]
Diversamente dalla tradizione ebraica (a eccezione degli esseni) Paolo, come Gesù, ammette la superiorità del celibato: sposarsi è bene, non sposarsi è meglio (1Cor 7 ). Questa preferenza è stata accolta dalla successiva tradizione cristiana (vedi il celibato che caratterizza chierici, monaci e frati) e in seguito rigettata dalla tradizione protestante.
Ecclesiologia
Circa l'ecclesiologia, cioè la riflessione su struttura, vita e scopo della Chiesa, si notano nella vita e nelle lettere di Paolo le due tendenze che segneranno la riflessione teologica successiva:
- ecclesiologia gerarchica o verticale. In questa accezione la Chiesa è una struttura verticale rigidamente gerarchica con ruoli prestabiliti. Secondo i testi biblici, Paolo è stato chiamato da Gesù sulla via di Damasco, è stato scelto con Barnaba tramite l'imposizione delle mani per il primo viaggio missionario (At 13,1-3 ), a sua volta durante le visite nelle sue comunità ha istituito guide delle chiese locali (vescovi = controllori e presbiteri = anziani). Questo modello, ripreso e sviluppato in particolare da Ignazio di Antiochia, dai teologi contemporanei viene detto "istituzionale" o "monarchico", ossia con un solo principio, il vescovo (anche se nelle comunità paoline la distinzione tra vescovo e presbitero non appare netta), che nella sua comunità dirige-comanda i fedeli i quali hanno il dovere di servirlo. La successiva tradizione cristiana ha organizzato una propria gerarchia sull'esempio di quella presente nelle prime comunità paoline.
- ecclesiologia carismatica o orizzontale. In questa accezione la Chiesa è una comunità paritaria (orizzontale) di fedeli in Cristo, ognuno dei quali è caratterizzato da compiti, propensioni, caratteristiche proprie utili alla vita ecclesiastica. Nelle primitive comunità cristiane, secondo i testi biblici, erano numerosi i "carismi" (= doni in greco) di natura soprannaturale, infusi dallo Spirito Santo sui credenti: sapienza, miracoli, guarigioni, profezia, parlare in lingue. Celebre è la definizione allegorica che diede Paolo della Chiesa in tal senso, quella di "corpo di Cristo", dove ogni membro/credente fa parte in maniera complementare dell'unico corpo/Chiesa (vedi in particolare 1Cor 12 ). In quest'ottica le guide della comunità hanno il dovere di servire i carismi presenti nella comunità, riconoscendoli e valorizzandoli.
La Riforma protestante ha rigettato in blocco la dimensione verticale-gerarchia-monarchica che ha continuato a sussistere nelle altre chiese. Nella Chiesa cattolica, il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha riconsiderato la dimensione gerarchica rivalutando la dimensione ecclesiologica carismatica.
Escatologia
Circa l'escatologia, cioè "il discorso sulle cose ultime", Paolo si inserisce nella tradizione ebraica propria anche di Gesù. Alla fine dei tempi ci sarà il "giorno del Signore Gesù" (giorno del giudizio), in seguito al quale cesserà il male nelle creazione e gli uomini (sia quelli in vita che quelli già morti che saranno risuscitati) saranno destinati, in base alla loro condotta durante la vita, o alla gloria eterna (paradiso) o alla perdizione eterna (inferno).
Il proprium paolino e cristiano sta nel fatto che anche in campo escatologico Gesù Cristo è il punto centrale, grazie al quale si compie la risurrezione dai morti e la salvezza eterna (1Ts 4,13-18 ; 1Cor 15,19-58 ; 2Cor 5,1-10 ; Fil 3,20-21 ).
Visioni alternative di Paolo
Ebioniti
Gli Ebioniti, la cui visione del Cristianesimo teneva in grande considerazione la Legge ebraica, ritenevano Paolo originario di Tarso ma di etnia e religione greca e non ebraica. Secondo quanto raccontato da Epifanio di Salamina, eresiologo del IV secolo, gli Ebioniti ritenevano che Paolo, giunto a Gerusalemme, si fosse innamorato della figlia del Sommo Sacerdote e si fosse convertito all'Ebraismo per poterla sposare. Rifiutato, si accostò al neonato movimento cristiano e iniziò a predicare e scrivere contro la circoncisione e la legge ebraica.[90]
Hyam Maccoby
Lo studioso ebreo britannico Hyam Maccoby (1924-2004) in alcune sue opere[91] ha in parte ripreso la concezione di Paolo che era propria degli Ebioniti. Secondo la sua ricostruzione, Paolo non era ebreo ma un gentile, cresciuto in un ambiente influenzato dalle religioni popolari misteriche ellenistiche centrate nella morte e nella risurrezione di divinità salvatrici. Successivamente si convertì al Giudaismo con la speranza di diventare un rabbino fariseo. Paolo trovò poi lavoro a Gerusalemme come un ufficiale di polizia del sommo sacerdote. Questo incarico lo condusse a un conflitto con se stesso, che si manifestò mentre viaggiava verso Damasco per svolgere una missione. Decise di aderire al Cristianesimo. Riuscì a elaborare una religione completamente nuova centrata nella passione e morte di Gesù come un sacrificio mistico, nella quale confluirono elementi delle religioni misteriche elleniste e del Giudaismo.
Nella sua personale elaborazione Paolo avrebbe ideato molti dei concetti chiave del Cristianesimo ripresi poi sia dai vangeli che dai successivi testi cristiani neotestamentari. In tale ottica, il vero fondatore del Cristianesimo sarebbe Paolo, non Gesù. Anche gli scritti dello stesso Paolo, secondo Maccoby, sarebbero stati successivamente alterati.
Michael White
L. Michael White[92] sottolinea degli scritti paolini la componente escatologica (discorso sulle "cose ultime" della storia terrena, 1Ts 1,10 ; 1Ts 4,13 ; 1Ts 5,1-11 ; 1Ts 5,23 ) e apocalittica (la rivelazione di persone, situazioni o eventi ultraterreni, Gal 1,15-16 ; Gal 2,1-2 ; 2Cor 12,1-5 ). L'autore evidenzia la forte attesa messianico-apocalittica presente in parte del giudaismo dell'epoca, testimoniata dal Libro di Daniele e dalle numerose apocalissi apocrife ebraiche redatte attorno all'inizio dell'era cristiana e anche dal tema dell'imminenza dell Regno presente nella predicazione di Gesù.
In questo contesto storico, Paolo era un pio giudeo che riteneva prossima una imminente apocalisse con la conseguente fine del mondo e l'istituzione del Regno di Dio. Secondo l'autore quindi la predicazione di Paolo non fu particolarmente innovativa
« | Paolo non fu il primo cristiano. Infatti, Paolo non usa mai il termine "cristiano". Anzi, si dichiara chiaramente come un pio giudeo chiamato da Dio, attraverso Gesù, alla missione di portare il suo messaggio ai non ebrei. Quindi la visione di sé di Paolo rimane sempre ebraica, anche quando discute con Pietro, Giacomo (il fratello di Gesù), o altri più fedeli giudei tra i seguaci di Gesù. Paolo, quindi, deve essere visto come parte di quella diversità presente tra questi seguaci che diede vitalità e aprì nuovi orizzonti al movimento » | |
(L. Michael White. From Jesus to Christianity, pagina 145)
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Joseph Atwill
Joseph Atwill, nel suo libro Il Messia di Cesare (Caesar's Messiah, 2005), sostiene che Paolo fu un agente dell'Impero romano, e in particolare degli stessi imperatori romani. Paolo fu usato, insieme a Giuseppe Flavio, per dare vita a un movimento messianico pacifico per minare e arrestare la ribellione della Giudea, al tempo provincia romana.
Paolo nel Cristianesimo
Tradizione cattolica
- solennità dei Santi Pietro e Paolo il 29 giugno
- festa della Conversione di San Paolo il 25 gennaio
Per ricordare la figura di Paolo di Tarso, papa Benedetto XVI ha indetto l'Anno Paolino nel bimillenario di quella che è considerato, simbolicamente e con una certa arbitrarietà, l'anno di nascita del santo.[93] L'anno paolino è iniziato il 28 giugno 2008 e si concluderà il 29 giugno 2009.
Tradizione ortodossa
Il mondo ortodosso ha riservato a Paolo attenzione non minore di quello cattolico, anche perché esiste una ricca letteratura dei padri greci su di lui. Un esempio lo abbiamo in San Basilio 330 ca - 379), che in una lettera dice:
« | Io suppongo pertanto che Paolo, il vaso di elezione, abbia pensato che non fosse sufficiente soltanto proclamare Dio il Padre, Dio il Figlio e Dio lo Spirito Santo, cosa che ha mostrato per mezzo dell'espressione «un solo Dio», se non mostrava anche, con l'aggiunta della parola «Padre», colui dal quale vengono tutte le cose e se non indicava, con la menzione del Cristo, il Verbo per mezzo del quale tutte le cose esistono; e ancora, se non faceva conoscere l'incarnazione facendo appello a Gesù Cristo e se non metteva sotto agli occhi la passione e non rivelava la risurrezione. » |
Tradizione protestante
Fra le varie confessioni protestanti-evangeliche la figura di Paolo è vista come personaggio fondamentale della storia del Cristianesimo. Le chiese che hanno un calendario liturgico come quella anglicana o luterana hanno festività dedicate a San Paolo derivate dal calendario cattolico latino. Nelle chiese evangeliche (Pentecostali, Battisti Riformati, ecc..) tale usanza è totalmente assente.
Luoghi di culto
Numerosi sono i luoghi di culto dedicati a San Paolo (vedi parziale elenco). Tra questi i più noti:
- Abbazia delle Tre Fontane a Roma, sul luogo tradizionale del martirio
- Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma, sul luogo tradizionale della sua tomba
- Cattedrale di San Paolo a Londra
Patronati
- Professioni: cordai, cestai, giornalisti, missionari, scout, vescovi
- Stati: Grecia, Malta
- Città: Roma, San Paolo (Brasile)
A San Paolo sono inoltre riferiti numerosi toponomi, in Italia e nel mondo (vedi parziale elenco).
Paolo nell'arte
Paolo è stato una figura particolarmente ricorrente nell'arte cristiana. È stato raffigurato in affreschi, dipinti, mosaici, miniature, icone, statue, bassorilievi, vetrate.[94] In epoca moderna gli sono riferiti romanzi, melodie, film e musical.
Iconografia
Paolo è stato tradizionalmente raffigurato secondo gli elementi presenti nella descrizione dell'apocrifo Atti di Paolo e Tecla (v. sopra). Tuttavia questa descrizione viene attualmente considerata come non storica ma influenzata da diversi stereotipi culturali dell'epoca.[95] Anzianità, barba e calvizie erano associati all'archetipo classico del filosofo. La barba inoltre era una caratteristica fisica costante degli Ebrei, ai quali era associato anche il naso sporgente. L'essere calvo può derivare anche dall'indicazione di At 18,18 , nel testo però riferito al voto di Nazireato. La bassa statura può derivare da 1Cor 10,10;15,9 , oltre che dal nome Paolo. I particolari esteticamente non positivi (gambe arcuate e sopracciglie congiunte) erano attribuiti al filosofo Socrate.
L'attributo più ricorrente nell'antichità era il rotolo o libro nella mano, per indicare le sue lettere. Dal XIII secolo compare come attributo iconografico la spada che richiama sia il suo passato di persecutore che il martirio per decapitazione.
Nelle opere relative alla conversione, soprattutto pittoriche, viene tradizionalmente rappresentato col cavallo dal quale sarebbe caduto, ma il particolare non è esplicitamente menzionato nei tre racconti degli Atti.
Dipinti
- IV secolo: ritratti nelle Catacombe di Praetextatus, Domitilla e Pietro e Marcellino
- 1290 ca.: San Paolo, Giotto
- 1330 ca.: Decapitazione di San Paolo, Giotto
- 1333: San Paolo, Bernardo Daddi
- 1420 ca.: Paolo apostolo, Andrej Rublëv
- 1424 ca.: San Paolo, affresco perduto, Masaccio
- 1426: San Paolo, Masaccio
- 1440 c.a: L'incontro di Sant'Antonio e San Paolo, Sassetta
- 1480 ca.: San Paolo visita San Pietro in prigione, Filippo Lippi
- 1489-1534 (?): Apostoli Pietro, Paolo, Giovanni evangelista, Antonio da Correggio
- 1515: Predica di San Paolo agli ateniesi, Raffaello Sanzio
- 1520 ca.: San Paolo scrittore, Pier Francesco Sacchi
- 1542-45: Conversione di Paolo, Michelangelo Buonarroti
- 1543: San Paolo (trittico di Castello Roganzuolo), Tiziano Vecellio
- 1545 ca.: Conversione di Paolo, Tintoretto
- 1557-58 ca.: Martirio di San Paolo, Taddeo Zuccari
- 1567: Conversione di Paolo, Pieter Bruegel il Vecchio
- 1592: Apostoli Pietro e Paolo, di El Greco
- 1600 ca.: San Paolo a Malta, Adam Elsheimer
- 1600-01: Conversione di San Paolo, Michelangelo Merisi da Caravaggio (prima versione della conversione)
- 1600-01: Conversione di San Paolo, Michelangelo Merisi da Caravaggio (seconda versione della conversione)
- 1606: San Paolo, El Greco
- 1620: San Paolo scrive le sue lettere, Valentin de Boulogne o Nicolas Tournier
- 1627: San Paolo in prigione, Rembrandt Harmenszoon van Rijn
- 1628-29: Estasi di San Paolo, Johann Liss
- 1629-30: San Paolo nel suo scrittoio, Rembrandt Harmenszoon van Rijn
- 1635: Paolo Apostolo, Rembrandt Harmenszoon van Rijn
- 1657: Paolo Apostolo, Rembrandt Harmenszoon van Rijn
- 1661: Autoritratto come Paolo Apostolo, Rembrandt Harmenszoon van Rijn
- 1744: L'Apostolo Paolo predica sulle rovine, Giovanni Paolo Pannini
Sculture
- 1484-93: Decapitazione di San Paolo, Antonio del Pollaiolo
- 1503-04: San Paolo, Michelangelo Buonarroti
- 1585 c.a: San Paolo, Sebastiano Torrigiani
- 1650: Decapitazione di San Paolo, Alessandro Algardi
Letteratura
Musica
- Saule, Saule, quid me persequeris, mottetto di Giaches de Wert
- 1836: Paolo (oratorio), oratorio di Felix Mendelssohn Bartholdy
Film
- 1981: Peter and Paul, di Robert Day
- 1985: A.D., di Stuart Cooper
- 1999: Il mistero Paolo. Il fascino della libertà, di Abraham Segal
- 2000: San Paolo, di Roger Young
Musical
- 2008: Sulla via di Damasco, promosso dall'ANSPI, regia di Michele Casella, con musica di Michele Paulicelli, costumi di Franca Corrado
- 2008: Paolo di Tarso Il Musical, regia di Valerio Buffetti, testi e musiche di Valerio Buffetti, Matteo Scariolo, Paolo Scariolo, Daniele Mauri, Linda Spandri, Fabio Riccardi
- 2009: Fino al terzo Cielo - San Paolo, l'Apostolo delle genti, della Compagnia teatrale "Piccola Comunità". Regia e sceneggiatura di Paolo Prati; testi e musiche di Enrico Franchi e Matteo Gelmini; coreografie di Dimes Busana; costumi di Roberta Paggin, Paolina Molinari, Enrico Franchi.
Note | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Bibliografia | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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Voci correlate | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Collegamenti esterni | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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