Logos

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Il Prologo, il primo inno al Logos, così come appare nel Papiro 66, risalente all'anno 200 ca.

Il concetto di Logos (traslitterazione del greco λόγος) è molto importante nella tradizione filosofica greco-ellenista, dove sta a indicare l'ordine razionale del cosmo. È presente anche nella tradizione sapienziale dell'Antico Testamento, ed è usato dal Vangelo secondo Giovanni in riferimento al Figlio di Dio, che con la sua incarnazione ha operato la salvezza degli uomini.

Il termine ha un ampio campo semantico: può significare "parola", "discorso", "pensiero", razionalità, capacità di connettere e sviluppare i propri pensieri.

Substrato greco

Il termine è formato dalla radice indoeuropea leg´-, di cui sono attestate continuazioni in tre aree: latina, greca, albanese. Vi si può associare il significato originario di "raccogliere". Il campo semantico del verbo greco lègein passa da questo significato originario a quello di "radunare", e quindi "scegliere", e poi "contare", "enumerare", e infine, in senso figurato, "passare in rassegna", "esporre".

Il sostantivo lògos è di formazione più recente, e nasce quando lègein aveva già il valore di "esporre". Dopo Omero esso si contrappone a mythos: questo designa una parola che si ammanta di verità senza esserlo, mentre quello viene usato in riferimento alla verità: il lògos portatore di verità contrapposto al mythos come possibile inganno. Lògos non è la parola singola,[1] ma il discorso risultante dal concatenarsi di parole.

Nella filosofia

Lo stoicismo pone al centro della propria filosofia il concetto di Logos, che viene inteso non solo come pensiero razionale, ma anche come principio costitutivo della vita cosmica e della vita etica. Dunque per gli stoici la scienza e la vita morale hanno un medesimo fondamento, il Logos: l'ideale del saggio stoico è scegliere come norma e fine della propria vita l'obbedienza alla ragione. Come per gli animali è naturale seguire gli istinti, così per l'uomo lo è seguire il Logos. Nel medesimo atto con cui riconosce il proprio Logos, l'uomo ne dà una valutazione positiva ed è spinto a conservarlo e a potenziarlo: in questo potenziamento del Logos consiste il bene dell'uomo.

Nell'Antico Testamento

L'incontro con la cultura semitica fa assumere a Lògos nuovi significati. Nei LXX il termine semitico sottostante dabara volte viene reso con lògos e a volte con rhema: la scelta dipende dal gusto dei traduttori, varia secondo i libri e non comporta sostanziali differenze semantiche.

Diversamente dal greco, la parola ebraica ha un aspetto dinamico: alla parola concreta (dâbâr) si contrappone lo spirito (ruah), e dabar significa sia "parola" che "fatto". È la parola che si realizza e diviene realtà. La parola per eccellenza è quella di Dio: essa crea e si fa promessa e rivelazione. Dabar contiene anche un aspetto noetico: la parola come tramite tra l'uomo e la realtà, come segno che rimanda oltre la parola stessa.

Nel Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento l'uso del termine lògos risente sia dell'influenza semitica che del significato che la parola ha in greco. Il Nuovo Testamento riflette l'ambivalenza del termine lògos in alcuni passi nei quali il termine è usato nel senso tradizionale, con accentuazioni negative: quando Paolo nella Prima lettera ai Corinzi polemizza contro la sophìa del mondo, egli usa la parola lògos. Ma lo stesso Paolo conosce un lògos radicalmente diverso, un lògos che non discende dalla semplice razionalità umana, ed è il Lògos della Croce.

Nel Corpus Giovanneo

Riferito al Figlio di Dio il termine ricorre solo nel Prologo di Giovanni (Gv 1,1.14 ), dove sono affermate la sua preesistenza, la sua unione personale con Dio e la sua divinità (1,1.2a; cfr. v. 18). Il Lógos è il mediatore della creazione da parte di Dio (1,2-3.10) e, in qualità di luce e di vita, determinante per la salvezza degli uomini (1,4; cfr. v. 16); l'affermazione centrale che lo riguarda è al v. 14: "E il Verbo si fece carne", che permane come l'affermazione più profonda di tutto il Nuovo Testamento sul mistero dell'Incarnazione. Il Lògos non è più un principio astratto, ma è il Verbo che crea e da la Vita.

L'affermazione giovannea del Lógos incarnato supera quindi il concetto di Lógos della filosofia greca. Il Lógos giovanneo va visto sullo sfondo di tutta l'opera giovannea, che è caratterizzata dall'idea della rivelazione: il Verbo incarnato, il rivelatore in persona è Gesù di Nazaret (Gv 1,45 ).

L'affermazione dell'incarnazione del Lógos ha dato vita a una lunga storia di approfondimento della fede e di riflessione su di essa, storia iniziata già nel Nuovo Testamento stesso: cfr. 1Gv 1,1 , dove si parla del Verbo della vita, nonché Eb 1,1-4 e Col 1,15-20 [2].

In un altro contesto si colloca il cavaliere sul cavallo bianco di Ap 19,11-16 , che porta il nome di "Lógos di Dio" (19,13): lo si può mettere in relazione con Gv 1,1-14 , ma sembra vada collegato piuttosto con l'immagine di Sap 18,15 e con la profezia del Figlio dell'uomo di Dn 7 , che svolse un grande ruolo nella teologia cristiana primitiva come espressione dell'attesa della parusia.

Gli influssi semitici sono forti nel Prologo, tanto che alcuni hanno proposto[3] un originale aramaico soggiacente.

Nel parlare del Lògos, il Prologo mostra un parallelo con Genesi 1,1 : le prime parole sono uguali, en arché. Ma se la Genesi ci riporta all'inizio del tempo e della storia, l'autore del Prologo ci riporta a un inizio ancora più profondo, a un tempo che non è ancora tempo e che già vede la presenza del Lògos, presentato come principio creatore[4].

Nella storia del pensiero cristiano

Uscendo dal Nuovo Testamento, ritroviamo il Lógos in Sant'Ignazio d'Antiochia, e precisamente nella Lettera ai Magnesi (8,2).

I padri apologeti, in particolare Giustino, Atenagora, Taziano, Teofilo d'Antiochia, cominciarono a recepire la dottrina del Lógos dallo stoicismo e dal platonismo medio, per esprimere con il suo aiuto e rifacendosi al Prologo il mistero di Cristo.

Ireneo († 202) vede nell'incarnazione del Lógos la conclusione di una lunga storia di rivelazioni, che si sono susseguite a cominciare dalla creazione del mondo[5].

Nel III secolo la grande sfida di interpretare ed esprimere in termini corretti la novità del messaggio cristiano porterà alla nascita delle eresie cristologiche e trinitarie; tra di esse vi sono:

Il maggior rappresentante della seconda tendenza fu il presbitero Ario di Alessandria, vissuto nel IV secolo: egli, estremizzando alcune affermazioni di Origene, sosteneva che il Figlio è la prima creatura, e che vi fu un tempo nel quale non era, e che perciò non è della stessa sostanza del Padre.

La reazione dei teologi del Logos a queste dottrine non si fece attendere, e preparò i lavori del Concilio di Nicea (325) che invece, appellandosi alla professione di fede battesimale, pose chiaramente il Figlio dalla parte del Padre[6], mostrando quindi la capacità di recepire criticamente la dottrina greca del Lógos[7].

Con gli antiariani Marcello di Ancira e Atanasio († 373) la dottrina del Lógos venne posta completamente al servizio della Cristologia. Secondo Atanasio il Lógos è il principio attivo dell'umanità di Cristo, il corpo di Cristo è l'organo del Lógos, e la morte di Cristo è la separazione dal Lógos.

Con Cirillo Alessandrino († 444) la dottrina del Lógos trova la sua formulazione valida per quasi tutto l'Oriente: essa diverrà nuovamente virulenta durante il periodo della ricezione del Concilio di Calcedonia (451); nel Secondo Concilio di Costantinopoli[8] (553) e nel Sinodo lateranense (649) condusse, con l'apporto determinante di Massimo il Confessore († 662), a sottolineare la persona del Lógos incarnato.

In Occidente si interessarono della dottrina del Lógos Tertulliano († 220), Ippolito († 235) e Novaziano († 258); il Lógos' quale mediatore della creazione, della rivelazione e della salvezza caratterizzò la ricezione della dottrina cristologica.

Nella Scolastica

Andando più avanti al periodo della Scolastica, in San Bonaventura († 1274) si trova una teologia completa della parola.

San Tommaso d'Aquino († 1274), poi, realizza la sintesi tra la dottrina del Lógos di Cirillo e l'insegnamento del Concilio di Calcedonia: tale sintesi vede l'unità di Cristo nell'essere personale della Parola[9].

Nel Magistero della Chiesa

Il Magistero della Chiesa ha espresso in vario modo la [[fede] che il Lógos è il Figlio di Dio, ovvero che il Lógos incarnato è il Figlio di Dio fatto uomo. Troviamo tale affermazione nella professione di fede riportata da Eusebio di Cesarea come usata per il proprio Battesimo[10], nella formula più lunga del Simbolo riportata da Sant'Epifanio di Salamina († 403 ca.)[11].

Il Concilio Romano del 382 chiarì la terminologia: Verbum, quia Deus, "Verbo, poiché Dio"[12].

Vari papi hanno usato la terminologia del Lógos e contribuito alla sua interpretazione nelle dispute trinitarie e cristologiche:

Più tardi, la fede nell'identità tra Lógos e il Figlio è espressa chiaramente nella professione di fede formulata al Secondo Concilio di Lione del 1274[18].

Arrivando al XVIII secolo, Papa Pio VI († 1799) prese posizione contro la preferenza accordata al termine Verbum rispetto a quello di "Figlio" da parte del Sinodo di Pistoia, e all'uopo si richiamò al linguaggio della Sacra Scrittura, di Sant'Agostino e di San Tommaso[19].

Il Concilio Vaticano II riprese i testi classici (1Gv 1,2-3 ; Eb 1,1-2 ; Gv 1,1-18 ), e ribadì il carattere cristologico di qualsiasi teologia della parola e della rivelazione[20].

Note
  1. Il termine che designa in greco la parola singola è rhèma.
  2. Lothar Ullrich (1990), p. 377.
  3. La maggior parte degli studiosi ritiene che ciò sia senza necessità: il fatto che l'autore fosse di madre lingua semitica basta a spiegare tale influenza.
  4. In maniera sintetica Benedetto XVI così si espresse nel Discorso di Ratisbona:
    « Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. »
  5. Adversus haereses 3,18,3.
  6. DS 250-265.
  7. Cfr. la professione di fede di Eusebio di Cesarea, con la menzione del Lógos, DS 40.
  8. DS 422-437.
  9. Summa Theologiae III, 2-6: De unione Verbi incarnati.
  10. DS 40. I curatori del Denzinger affermano che tale formula può essere datata a metà del III secolo.
  11. DS 45.
  12. DS 178.
  13. DS 113-115.
  14. DS 144-147.
  15. DS 294.
  16. DS 297.
  17. DS 317-138.
  18. DS 852.
  19. DS 2698.
  20. Vedi in particolare Dei Verbum 1-4.
Bibliografia
Voci correlate